I giovani e il divario tra Nord e Sud in cinque mappe

Dal livello di istruzione ai servizi per l’infanzia, passando per il mercato del lavoro: le divergenze tra le aree del Paese sono ancora molto ampie
Pagella Politica
Due delle priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sono la riduzione dei divari territoriali tra Nord e Sud Italia e l’aumento delle opportunità per il futuro dei giovani che vivono in aree diverse del Paese. In entrambi i casi in Italia ci sono ancora «divari rilevanti e persistenti», ha spiegato di recente l’Istat: «Il Mezzogiorno è il territorio arretrato più esteso dell’area euro, che ha sofferto in modo accentuato la grande crisi del 2008 e, da ultimo, l’impatto della pandemia».

Dal livello di istruzione ai servizi per l’infanzia, passando per il mercato del lavoro, abbiamo raccolto in cinque mappe i dati Istat che danno un’idea dei divari territoriali, con particolare attenzione ai giovani.

Il Prodotto interno lordo

Prima di concentrarci sui giovani, è utile avere a mente quali sono le differenze del Pil pro capite tra le regioni del Nord e quelle del Sud, un indicatore che dà una misura del tenore di vita registrato nelle varie aree del Paese. Secondo i dati Istat più aggiornati, nel 2021 in Italia il Pil pro capite era pari a 28,4 mila euro: nel Centro-Nord era pari a 33,4 mila euro, mentre nel Mezzogiorno a 18,5 mila euro.

A livello regionale si va dai 40,9 mila euro del Trentino-Alto Adige e ai 16,2 mila della Calabria. La regione meridionale con il Pil pro capite più alto è l’Abruzzo con 24,4 mila euro, quasi 5 mila euro in meno della regione del Nord con il Pil pro capite più basso, la Liguria.

A livello provinciale si registrano divari ancora più ampi: si va infatti dai 55,6 mila euro di Milano, in Lombardia, ai 15,7 mila di Agrigento, in Sicilia. La provincia italiana al primo posto ha quindi un Pil pro capite pari a 3,5 volte di quella all’ultimo posto. 

Tra 2001 e 2021 il Pil italiano pro capite a prezzi costanti, ossia senza tenere conto dell’aumento dell’inflazione, è passato da 29,2 mila a 28,4 mila euro, un calo di quasi il 3 per cento. Nel Nord-Ovest e nel Nord-Est è sceso del 3 per cento circa, nel Centro del 9 per cento, nel Sud dell’8 per cento e nelle Isole dell’11 per cento.

Il livello di istruzione

Nel 2020 in Italia era laureato il 26 per cento della popolazione tra i 25 e i 49 anni, mentre il 47 per cento si era fermato al diploma. Poco più di un italiano su quattro in quella fascia d’età dunque aveva al massimo la terza media. 

Il 28 per cento della popolazione tra i 25 e i 49 anni nel Centro-Nord aveva una laurea o un titolo di studio superiore e il 23 per cento nel Mezzogiorno. Per chi aveva al massimo il diploma di scuola superiore le percentuali erano pari rispettivamente al 48 e al 45 per cento, mentre al Mezzogiorno un cittadino su tre tra i 25 e i 49 anni aveva al massimo la licenza di terza media (al Centro-Nord la percentuale era del 25 per cento).

Il tasso di occupazione giovanile

Nel 2021 il tasso di occupazione giovanile, ossia la percentuale di occupati nella fascia di popolazione tra i 25 e i 34 anni, era in media pari al 62,6 per cento. Nel Centro-Nord era al 72,4 per cento, nel Mezzogiorno al 45,7 per cento: quasi 30 punti percentuali in meno. 

Veneto e Friuli-Venezia Giulia sono le regioni con il maggior tasso di occupazione (76 per cento), seguite con poco distacco da Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Lombardia (75 per cento). Sono invece sotto il 50 per cento Molise, Puglia, Calabria, Campania e Sicilia.

In diverse province, come Palermo, Siracusa, Napoli o Foggia, il tasso di occupazione è tra il 35 e il 40 per cento e a Vibo Valentia si ferma al 31 per cento. Tutte le province meridionali, con l’eccezione di Teramo e Pescara, in Abruzzo, sono sotto la media nazionale per tasso di occupazione. Al lato opposto ci sono province come Vicenza, Pordenone o Piacenza, dove arriva a essere superiore all’80 per cento.

L’emigrazione dal Mezzogiorno

Nel corso del 2020 il tasso migratorio dell’Italia è stato pari a 4,4. Questo indicatore si calcola rapportando il saldo migratorio dell’anno, ossia la differenza tra iscritti e cancellati all’anagrafe per trasferimento, e l’ammontare medio della popolazione residente, moltiplicato per mille. 

Le differenze tra le macroaree sono molto marcate. Nel Nord-Ovest e nel Nord-Est il tasso migratorio è positivo e intorno a un valore pari a 3: significa che arrivano più persone di quante ne vadano via. Nel Centro il tasso è pari a -1, mentre nel Mezzogiorno è a -15. A livello regionale i maggiori dati negativi si hanno in Molise, Calabria e Basilicata con -20, mentre le regioni che attirano più emigrati sono l’Emilia-Romagna e la Lombardia. 

Nel complesso sono 24 le province con un tasso migratorio positivo (i più elevati sono a Bologna e Milano) e 83 quelle con un tasso negativo (i più bassi sono a Matera, Isernia e Reggio Calabria).

I servizi per l’infanzia

In Italia il 59 per cento dei comuni ha attivato servizi per l’infanzia, tra cui ci sono gli asili nido tradizionali e i servizi integrativi per la prima infanzia. Al Centro-Nord la percentuale dei comuni è pari al 64,7 per cento mentre nel Mezzogiorno al 48,6 per cento.

A livello di regione si va dal 100 per cento della Valle d’Aosta e dal 99 per cento del Friuli-Venezia Giulia al 22,8 per cento della Calabria, passando per il 25,2 per cento della Sardegna. Sono complessivamente sette le regioni sotto il 50 per cento. 

A livello provinciale sono 9 le province al 100 per cento, 19 quelle tra il 90 e il 100 per cento e 39 quelle sopra il 50 per cento. Le peggiori sono prevalentemente nel Mezzogiorno, seppur con qualche eccezione.

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