Il “Patto repubblicano” di Azione e Più Europa sotto la lente del fact-checking

Dalle pensioni all’istruzione, abbiamo verificato 14 affermazioni contenute nel documento presentato dai partiti di Carlo Calenda ed Emma Bonino per le elezioni del 25 settembre
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Il 25 luglio il segretario di Azione, Carlo Calenda, e la leader di Più Europa, Emma Bonino, hanno presentato il “Patto repubblicano”, un documento formato da 14 punti, con una serie di proposte in vista delle elezioni politiche del 25 settembre, nelle quali Azione e Più Europa presenteranno un’unica lista. Lo stesso Calenda ha precisato che non si tratta di un programma ma di un «appello che rivolgiamo a partiti e cittadini per fermare il declino italiano». 

Dalle pensioni alla spesa in istruzione al Sud, passando per il tema delle alleanze, abbiamo verificato 14 affermazioni contenute nell’appello. Ci siamo limitati alle affermazioni verificabili, come sempre: il “Patto” è fatto soprattutto di promesse (come è ragionevole che sia) che per loro natura, riguardando il futuro, non possono essere sottoposte a un vero e proprio fact-checking.

In generale, la maggior parte delle affermazioni verificabili nel documento riportano dati per lo più corretti, ma non mancano alcune imprecisioni (e un errore).

Le alleanze con «populisti» e «sovranisti»

 «Azione e +Europa sono gli unici due partiti a non aver mai fatto alleanze politiche con populisti e sovranisti»

L’affermazione è sostanzialmente vera, anche se vanno fatte alcune precisazioni. 

Partiamo innanzitutto da Più Europa. Il partito, fondato tra gli altri da Emma Bonino e dall’attuale presidente Benedetto Della Vedova, è nato inizialmente come una lista elettorale per le elezioni politiche del 2018 e si è poi trasformato in un vero e proprio partito nel 2019. 

Alle elezioni politiche del 2018, Più Europa ha fatto parte sia alla Camera che al Senato della coalizione di centrosinistra, insieme al Partito democratico. La coalizione non includeva il Movimento 5 stelle (che potrebbe rientrare nella categoria dei “‘populisti” citata nell’appello), che ha presentato liste autonome sia alla Camera sia al Senato, mentre la Lega e Fratelli d’Italia (che potrebbero rientrare nella categoria dei “sovranisti”) hanno fatto parte della coalizione di centrodestra. Un anno dopo, in occasione delle elezioni europee del 2019, Più Europa ha invece presentato una lista unitaria con Italia in comune, il movimento politico dell’ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti, e la sezione italiana del Partito democratico europeo, di ispirazione centrista. 

Per quanto riguarda invece Azione, il discorso è diverso. Il partito di Calenda è nato nel 2019, in dissenso con la decisione del Partito democratico di sostenere insieme al M5s il secondo governo Conte. Azione non ha dunque mai partecipato a elezioni politiche nazionali ed europee, ma ha preso parte sia alle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre 2021 sia a quelle del 12 giugno 2022. In quest’ultima tornata elettorale, benché Calenda abbia più volte ripetuto di non fare alleanze con populisti e sovranisti, Azione ha di fatto sostenuto lo stesso candidato del M5s a Verona, Padova e Viterbo (anche se quando è avvenuto non ha mai presentato il suo simbolo a fianco a quello del M5s). 

I problemi della giustizia: processi in arretrato…

«4,5 milioni di procedimenti civili e penali arretrati»

In questo caso l’appello di Azione e Più Europa fa un po’ di confusione con i termini. Il dato è infatti corretto se riferito a tutti i giudizi “pendenti”, e non solo a quelli “arretrati”. 

Nella prima categoria, quella dei “giudizi pendenti”, rientrano tutte le vicende giudiziarie penali o civili per le quali non è ancora stato emesso un provvedimento finale, come una sentenza. Nel primo trimestre del 2022, i procedimenti pendenti afferenti alla giustizia civile erano quasi tre milioni, a cui si aggiungono circa 1,6 milioni di procedimenti pendenti relativi alla giustizia penale. 

Secondo la definizione del Ministero della Giustizia i giudizi “in arretrato”, citati nel “Patto” di Azione e Più Europa, sono invece un sottogruppo di quelli pendenti, e si riferiscono ai procedimenti di giustizia ordinaria che non sono stati risolti entro i termini previsti dalla legge “Pinto”, che si occupa della ragionevole durata dei processi. Questa è stabilita in tre anni per i procedimenti in primo grado, due anni per quelli in Appello e un anno per la Cassazione. I dati sui procedimenti in arretrato sono disponibili solo per la giustizia civile: a marzo 2022, circa 322 mila processi erano fermi al primo grado da più di tre anni, circa 82 mila erano bloccati da più di due anni in Corte d’Appello, e più di 78 mila aspettavano da più di un anno in Cassazione, per un totale di quasi 483 mila processi in arretrato. 

… e risarcimenti per i tempi irragionevoli

«Tra il 2015 e il 2021 lo stato ha pagato 644 milioni di euro per risarcire oltre 103 mila persone per irragionevole durata del processo»

Il dato è sostanzialmente corretto ed è riportato nella relazione annuale del Ministero della giustizia per il 2021. Tra il 2015 e il primi sei mesi del 2021, il Ministero ha accolto più di 104 mila richieste di risarcimento per irragionevole durata dei processi, così come stabilita dalla legge “Pinto”. Di conseguenza, nel periodo considerato lo Stato ha pagato ai cittadini indennizzi per 644 milioni di euro. 

I giovani: i dati su lavoro e istruzione…

«In Italia abbiamo tra i tassi più alti d’Europa di dispersione scolastica e Neet»

L’affermazione è corretta. Secondo i dati Eurostat, nel 2021 in Italia il 24,4 per cento dei giovani tra i 15 e i 34 anni rientravano nella definizione di “Neet” (dall’inglese Not in Education, Employment or Training), ossia non studiavano e non lavoravano. Il tasso più alto tra i 27 Paesi dell’Unione europea, dove la media per lo scorso anno era del 14,3 per cento. In termini assoluti, in base ai dati Istat più aggiornati, alla fine del 2020 in Italia i residenti tra i 15 e i 34 anni che non lavoravano e non studiavano erano oltre 3 milioni, su un totale di circa 12 milioni in quell’età anagrafica nel nostro Paese [1].

Per quanto riguarda la dispersione scolastica, Eurostat definisce il fenomeno come l’insieme dei giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno terminato al massimo le scuole medie e che non hanno proseguito gli studi. In Italia, nel 2o21 il tasso di dispersione scolastica era pari al 12,7 per cento: il terzo dato più alto dell’Ue, dopo la Romania (15,3 per cento) e la Spagna (13,3 per cento).

… con la povertà minorile ai «massimi storici»

«La povertà minorile è ai suoi massimi storici e riguarda oltre 1 milione 300 mila bambini»

L’affermazione è corretta. Secondo i dati Istat più recenti, nel 2021 in Italia 1 milione 348 mila minori erano in condizione di povertà assoluta, il 14,2 per cento del totale. Il dato più alto dal 2005, quando sono iniziate le rilevazioni. 

I problemi del Mezzogiorno: la spesa per l’istruzione…

«[Nel Mezzogiorno] la spesa in istruzione […] è diminuita del 19% negli ultimi 10 anni»

Quest’ultimo dato è sostanzialmente corretto ed è contenuto nell’ultimo rapporto annuale dello Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Secondo lo studio, che si basa prevalentemente su dati forniti dall’Istat, nel biennio 2007-2008 lo Stato ha speso in istruzione circa 60 miliardi, cifra poi scesa a circa 50 miliardi tra il 2020 e il 2021 (circa il 15 per cento in meno). Più nel dettaglio, secondo lo Svimez, il calo della spesa in istruzione ha raggiunto il 13 per cento al Centro-Nord e il 19 per cento al Sud. 

… il Pil e la disoccupazione giovanile…

«Il Pil per abitante (del Sud) è circa il 55% rispetto alle regioni del centro Nord e la disoccupazione giovanile è più del doppio rispetto al resto del paese»

I dati in questione sono riportati dall’Istat. Secondo l’ultimo studio sui Conti economici territoriali, rilasciato a dicembre 2021, nel 2020 le regioni del Centro-nord avevano un Pil pro-capite di 32,7 mila euro, contro i 18,3 mila degli abitanti del Mezzogiorno: il 56 per cento, una percentuale quasi identica al 55 per cento indicato nel documento di Azione e Più Europa.

Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, l’affermazione dei due partiti è invece imprecisa perché sembra riferirsi solo al confronto con il Nord Italia. Nel 2021, i giovani tra i 15 e i 24 anni (la fascia d’età considerata dall’Istat per questo indicatore) disoccupati nelle regioni del Mezzogiorno rappresentavano il 43,1 per cento del totale. Il dato era il più alto tra le macroregioni italiane, ed effettivamente risultava “più che doppio” rispetto al 21,1 per cento rilevato nel Nord. Al centro però il tasso di disoccupazione giovanile era del 29,3 per cento, mentre la media italiana era del 29,7 per cento. 

… e le autostrade

«Aumentare la rete autostradale che [al Sud] è circa il 30% inferiore a quella del resto del Paese»

Il dato citato nel “Patto repubblicano” di Azione e Più Europa è sottostimato. In base ai dati più aggiornati raccolti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2019 la rete autostradale italiana era lunga in totale 6.977 chilometri: 3.631 chilometri nell’Italia settentrionale (il 52 per cento), 1.187 nell’Italia centrale (il 17 per cento) e 2.159 nell’Italia meridionale (il 31 per cento). 

Se si somma la lunghezza delle autostrade del Nord e del Centro (4.818 chilometri), la rete autostradale nel Sud Italia è circa il 55 per cento in meno rispetto al resto del Paese. Un dato molto più alto rispetto a quello citato nel documento di Azione e Più Europa. 

Il potere d’acquisto delle famiglie

«Il potere d’acquisto delle famiglie è ancora drammaticamente al di sotto dei livelli del 2007 di oltre 10 punti percentuali»

L’affermazione è sbagliata. In base ai dati Istat più aggiornati, alla fine del primo trimestre del 2022 (che corrisponde ai mesi di gennaio, febbraio e marzo) il potere d’acquisto delle famiglie italiane – il reddito disponibile in termini reali, ovvero la quantità di beni e servizi che può essere comprata con un determinato reddito – era di circa 281,5 miliardi di euro. In base alle serie storiche pubblicate dall’Istat, qui scaricabili, quest’ultimo dato supera quelli sul potere d’acquisto di tutti e quattro i trimestri del 2007.

Nel primo trimestre del 2007 il potere d’acquisto delle famiglie era di circa 278,07 miliardi di euro (-1,25 per cento rispetto al primo trimestre 2022), nel secondo era salito a 280,44 miliardi (-0,4 per cento rispetto al dato attuale), nel terzo era sceso a 275,33 miliardi (-2,3 per cento rispetto a oggi) e nel quarto trimestre era circa di 278,1 miliardi (-1,2 per cento rispetto al dato attuale). 

La spesa pensionistica…

«In Italia la spesa per pensioni è tra le più alte al mondo»

Questo è vero. Secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), aggiornati al 2019, su 38 Paesi considerati l’Italia era quello che spendeva di più per le pensioni in rapporto al Prodotto interno lordo. La nostra spesa pensionistica toccava infatti il 15,6 per cento del Pil, contro per esempio il 13,6 per cento della Francia, il 10,9 per cento della Spagna e il 10,2 per cento della Germania. Il Paese con la spesa pensionistica più bassa era l’Islanda, dove le pensioni pesano per il 2,6 per cento circa del Pil. 

… e per la ricerca

«L’Italia spende per la ricerca circa la metà di quello che spendono i Paesi del Nord Europa»

L’affermazione è corretta, almeno se guardiamo alla spesa in rapporto al Prodotto interno lordo. Secondo dati Eurostat, nel 2020 l’Italia ha speso in attività di ricerca e sviluppo circa l’1,5 per cento del Pil, contro il 3,5 per cento della Svezia, il 3 per cento della Danimarca e il 2,9 per cento della Finlandia. 

L’importanza dei treni ad alta velocità

«Nel periodo 2008-2018 nelle città intorno alla rete dell’alta velocità il Pil è cresciuto del 7-8% in più di quelle fuori dal servizio»

Il dato citato è sostanzialmente corretto e fa riferimento ai risultati di una ricerca condotta nel 2020 dall’Università Federico II di Napoli e coordinata da Ennio Cascetta, professore ordinario di pianificazione dei trasporti ed ex coordinatore della Struttura tecnica di missione per l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’alta sorveglianza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 

In base a questa ricerca, nelle regioni più ricche, ossia quelle con reddito pro-capite sopra la media, le province con città dotate di stazioni ferroviarie ad alta velocità hanno visto crescere il proprio Prodotto interno lordo del 10 cento nel decennio 2008-2018, mentre nelle province che hanno una distanza superiore alle due ore da una stazione con l’alta velocità il Pil è cresciuto del 3 per cento: sette punti percentuali di differenza. 

Un discorso simile vale per le regioni con il reddito pro capite sotto la media. In questo caso, le città con stazioni predisposte per l’alta velocità sono cresciute dell’8 per cento, contro lo 0,4 per cento delle città distanti più di due ore da queste strutture.

La gestione della rete idrica

«Anche in questo caso gli slogan “acqua pubblica” hanno portato l’Italia ad avere la peggiore rete idrica europea, gestita da 2.500 società (di cui l’83 per cento pubbliche)»

Al di là del giudizio sulla rete idrica («la peggiore» in Europa»), difficilmente verificabile, i dati citati sono corretti e fanno riferimento al censimento delle acque per uso civile pubblicato dall’Istat nel 2018. Secondo questo studio, quattro anni fa i soggetti che gestivano la rete idrica italiana per uso civile erano 2.552: 2.119 (l’83 per cento) erano i cosiddetti “gestori in economia”, ossia gli enti pubblici locali come i comuni, mentre 433 (il 17 per cento) erano società private del settore. Al netto della valutazione del documento di Più Europa e Azione, è bene comunque precisare che negli anni il numero dei soggetti che gestiscono la rete idrica è diminuito considerevolmente, basti pensare che nel 1999 erano 7.826. 

Il problema degli appalti

«Il 93% dei servizi pubblici locali oggi attivi è stato affidato senza gara».

In questo caso l’affermazione è sostanzialmente corretta. Il dato si ritrova in una relazione della Corte dei Conti pubblicata nel 2021. Per quanto riguarda gli appalti, lo studio ha raccolto i dati aggiornati al 31 dicembre 2018 e relativi ai servizi che 5.636 enti pubblici, come i Comuni, hanno affidato ad aziende terze in ambiti come i trasporti, l’energia, la gestione dei rifiuti o la rete idrica.

Su più di 18 mila affidamenti, quasi 17 mila – il 93 per cento del totale – sono stati conclusi per via diretta o “in house”: in altre parole, nella quasi totalità dei casi i Comuni hanno affidato i servizi alle proprie aziende, senza avviare una vera e propria gara.

È bene comunque tener conto che i dati sono aggiornati alla fine del 2018 ed è probabile che nel frattempo siano state avviate altre procedure di affidamento. 

[1] Alla voce “età iniziale” selezionare “15” e alla voce età finale selezionare “34”

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