Sabato 18 febbraio la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli si è dimessa dal suo incarico di sottosegretaria al Ministero dell’Università e della Ricerca. Si tratta delle prime dimissioni di un membro del governo guidato da Giorgia Meloni.

Il giorno prima una sentenza della Corte di cassazione aveva confermato a Montaruli la condanna a un anno e sei mesi di reclusione per peculato nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria ribattezzata “Rimborsopoli”. L’inchiesta condotta dalla Procura di Torino aveva coinvolto vari consiglieri regionali ed esponenti della giunta della Regione Piemonte, tra cui il presidente Roberto Cota (Lega Nord), accusati di aver usato in modo illecito tra il 2010 e il 2014 i fondi pubblici destinati ai gruppi consiliari. All’epoca Montaruli era consigliera regionale di Fratelli d’Italia in Piemonte ed è stata condannata definitivamente per aver usato circa 25 mila euro di fondi pubblici per pagare cene e acquistare vestiti, gioielli e altri oggetti. 

Montaruli era stata condannata dalla Corte di appello di Torino a luglio 2018. Nel 2019 la Corte di cassazione, il terzo e ultimo grado della giustizia in Italia, aveva annullato la sentenza, obbligando la Corte di appello di Torino a tenere un nuovo processo contro Montaruli e altri imputati, tra cui lo stesso Cota. Il 14 dicembre 2021 il nuovo processo si è concluso con una nuova condanna per peculato nei confronti di Montaruli, Cota e gli altri imputati, che è stata poi confermata dalla Corte di cassazione nella sentenza del 17 febbraio scorso. 

Montaruli ha deciso di dimettersi dall’incarico di sottosegretaria (ma non da quello di deputata) in seguito alle pressioni di alcuni esponenti della maggioranza che sostiene il governo Meloni, come per esempio il deputato e vicepresidente della Camera Giorgio Mulè (Forza Italia). In sostanza, secondo questi esponenti della maggioranza la presenza di Montaruli avrebbe compromesso l’immagine del governo.

Nonostante la condanna definitiva per peculato, Montaruli non era obbligata a dimettersi e avrebbe potuto mantenere il suo incarico di sottosegretaria. Secondo la cosiddetta “legge Severino”, che prende il nome dalla ministra della Giustizia del governo Monti Paola Severino, non possono essere candidati o decadono dalla carica di deputato, di senatore e di parlamentare europeo le persone condannate in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione o la concussione, con una pena superiore a due anni. Questa regola vale anche per chi detiene cariche di governo, come il presidente del Consiglio, i ministri e, per l’appunto, i sottosegretari. Il reato di peculato, per cui è stata condannata in via definitiva Montaruli, è compreso tra i reati contro la pubblica amministrazione, ma come detto in precedenza la pena inflitta a Montaruli è stata di un anno e sei mesi, inferiore dunque alla soglia dei due anni che avrebbe fatto scattare la decadenza in automatico sia dall’incarico di sottosegretaria sia dall’incarico di parlamentare. 

Dopo la condanna e le dimissioni da sottosegretaria, Montaruli ha ricevuto il sostegno di diversi esponenti del suo partito, tra cui il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan. Montaruli non ha escluso la possibilità di ricorrere alla Corte di giustizia europea, l’organismo europeo che ha il compito di valutare la legittimità delle sentenze nei vari Stati membri dell’Unione europea.