Il 21 dicembre l’Ufficio di presidenza della Camera, che gestisce gli aspetti amministrativi e finanziari della Camera, ha prorogato fino al 31 dicembre 2025 il «blocco dell’adeguamento dell’indennità parlamentare», ossia lo stipendio dei deputati. Senza la proroga di questa misura, «la spesa per il 2025 avrebbe registrato un incremento pari a 29,4 milioni di euro», spiega un comunicato della Camera. Il provvedimento è stato attuato su proposta del Collegio dei questori, composto da tre deputati (uno del Movimento 5 stelle, uno della Lega e uno di Fratelli d’Italia) che hanno il compito di vigilare sull’applicazione del regolamento dell’aula.
Il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha cercato di intestarsi la paternità del provvedimento: ha definito l’approvazione della proroga una «vittoria» del suo partito e si è complimentato con l’«instransigente» deputato e questore del Movimento 5 stelle Filippo Scerra. Lo stesso Scerra ha scritto su Twitter: «No agli aumenti degli stipendi dei parlamentari a partire dal 2025. Da questore di Montecitorio mi sono opposto fortemente e oggi raccogliamo i frutti della nostra tenacia. È una vittoria del Movimento 5 stelle. Sempre dalla parte di cittadini». In questa ricostruzione, c’è però qualcosa che non torna.
Come spiega il già citato comunicato della Camera, l’approvazione della proroga è arrivata con un voto all’«unanimità» e senza «nessuna distinzione né differenziazione di carattere politico». Il deputato e membro dell’Ufficio di presidenza Giorgio Mulè (Forza Italia) ha chiarito che «nessuno si è mai sognato di avanzare anche solo l’ipotesi di un aumento» degli stipendi per i deputati. Allo stesso modo, in un intervento alla Camera, il deputato di Italia viva Roberto Giachetti, anche lui membro dell’Ufficio di presidenza, ha definito «miserabili, politicamente parlando», il Movimento 5 stelle e Conte per essersi intestati un provvedimento che è «una prassi degli ultimi 16 anni dell’Ufficio della presidenza della Camera». La ricostruzione di Mulè e Giachetti è stata confermata a Pagella Politica dal deputato della Lega Alessandro Manuel Benvenuto, uno dei tre questori della Camera. «La misura era già stata prorogata in precedenza e il blocco era già previsto per il 2023 e il 2024», ha aggiunto Benvenuto.
Nel dettaglio, che cosa è stato votato dall’Ufficio di presidenza della Camera? E che cosa c’è di vero nella ricostruzione fatta dai politici menzionati? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.
Il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha cercato di intestarsi la paternità del provvedimento: ha definito l’approvazione della proroga una «vittoria» del suo partito e si è complimentato con l’«instransigente» deputato e questore del Movimento 5 stelle Filippo Scerra. Lo stesso Scerra ha scritto su Twitter: «No agli aumenti degli stipendi dei parlamentari a partire dal 2025. Da questore di Montecitorio mi sono opposto fortemente e oggi raccogliamo i frutti della nostra tenacia. È una vittoria del Movimento 5 stelle. Sempre dalla parte di cittadini». In questa ricostruzione, c’è però qualcosa che non torna.
Come spiega il già citato comunicato della Camera, l’approvazione della proroga è arrivata con un voto all’«unanimità» e senza «nessuna distinzione né differenziazione di carattere politico». Il deputato e membro dell’Ufficio di presidenza Giorgio Mulè (Forza Italia) ha chiarito che «nessuno si è mai sognato di avanzare anche solo l’ipotesi di un aumento» degli stipendi per i deputati. Allo stesso modo, in un intervento alla Camera, il deputato di Italia viva Roberto Giachetti, anche lui membro dell’Ufficio di presidenza, ha definito «miserabili, politicamente parlando», il Movimento 5 stelle e Conte per essersi intestati un provvedimento che è «una prassi degli ultimi 16 anni dell’Ufficio della presidenza della Camera». La ricostruzione di Mulè e Giachetti è stata confermata a Pagella Politica dal deputato della Lega Alessandro Manuel Benvenuto, uno dei tre questori della Camera. «La misura era già stata prorogata in precedenza e il blocco era già previsto per il 2023 e il 2024», ha aggiunto Benvenuto.
Nel dettaglio, che cosa è stato votato dall’Ufficio di presidenza della Camera? E che cosa c’è di vero nella ricostruzione fatta dai politici menzionati? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.