Conte gonfia i benefici del Superbonus per le casse dello Stato

In televisione il presidente del Movimento 5 stelle ha mostrato alcuni dati che sovrastimano il gettito nel settore dell’edilizia
Pagella Politica
Il 20 febbraio, ospite a Quarta repubblica su Rete 4, il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha duramente criticato il nuovo decreto-legge del governo Meloni che ha bloccato la cessione dei crediti d’imposta dei bonus edilizi, tra cui il Superbonus 110 per cento. Tra le altre cose Conte ha difeso il Superbonus, introdotto nel 2020 dal suo secondo governo, mostrando un cartello (Immagine 1). 
Immagine 1. Il cartello mostrato da Conte a Quarta repubblica
Immagine 1. Il cartello mostrato da Conte a Quarta repubblica
Secondo il leader del Movimento 5 stelle alla fine di gennaio 2023 gli investimenti per il Superbonus ammontavano a 65 miliardi di euro, di cui 45 miliardi, ossia il 70 per cento, sarebbero rientrati nelle casse dello Stato attraverso le imposte. Il «costo reale per lo Stato» del Superbonus sarebbe dunque di 26,5 miliardi di euro, e non di 65 miliardi di euro. 

Ma è davvero così? Quanto sono affidabili le stime di Conte? Abbiamo verificato che cosa dicono gli esperti e i numeri a disposizione, e possiamo dire che il presidente del Movimento 5 stelle esagera i benefici del Superbonus per le casse dello Stato.

I dati sul Superbonus

Innanzitutto ricordiamo che cos’è il Superbonus 110 per cento. Stiamo parlando di una misura introdotta dal secondo governo Conte con cui lo Stato ha rimborsato interamente i lavori di riqualificazione edilizia e di efficientamento energetico, con un bonus aggiuntivo del 10 per cento. Chi accedeva a questo bonus poteva chiedere allo Stato di vedersi restituire i soldi sotto forma di detrazione d’imposta, ossia una sorta di sconto sulle tasse spalmato su più anni, oppure chiedere direttamente lo “sconto in fattura” all’impresa edile o cedere a un istituto finanziario il credito d’imposta verso lo Stato, per esempio a una banca. Il governo Meloni ha prima deciso di abbassare il valore del bonus al 90 per cento e in seguito di bloccare lo “sconto in fattura” e la cessione dei crediti.

Veniamo adesso ai costi. Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), al 31 gennaio 2023 gli investimenti ammessi a detrazione per il Superbonus 110 per cento ammontavano a 65,2 miliardi di euro. Gli oneri a carico dello Stato, considerando le detrazioni previste a fine lavori, salivano a 71,8 miliardi di euro (i 65 miliardi citati più il 10 per cento di bonus aggiuntivo). 

Conte sostiene che il 70 per cento della spesa per il Superbonus rientri nelle casse dello Stato attraverso imposte come l’Iva, l’Irpef, l’Ires e i contributi previdenziali dell’Inps. L’idea alla base di questo ragionamento è intuitiva: se lo Stato incentiva i lavori edilizi, il settore delle costruzioni lavora di più e in questo modo aumentano le imposte e i contributi versati dalle società e dai lavoratori di questo settore. Stimare con precisione e affidabilità qual è il “ritorno” per lo Stato è però tutt’altro che semplice.

La fonte di Conte

La percentuale del 70 per cento viene da un rapporto pubblicato a novembre 2022 dal Censis, un istituto di ricerca socioeconomica, che si occupa anche di consulenza e assistenza tecnica. Come abbiamo spiegato in passato, ci sono vari motivi per cui questo rapporto va preso con cautela. Innanzitutto c’è un potenziale rischio di conflitto di interessi. La ricerca è stata infatti condotta dal Censis in collaborazione con la Harley&Dikkinson Consulting, una società attiva nel settore dell’efficientamento energetico degli edifici, e varie organizzazioni del settore delle costruzioni. Stiamo dunque parlando di realtà direttamente coinvolte dal Superbonus 110 per cento e dalle risorse economiche mobilitate da questa misura. Per esempio, sul sito della Harley&Dikkinson Consulting si trovano annunci di lavoro per la ricerca di figure professionali nel settore della cessione dei crediti di imposta, ossia quegli strumenti con cui lo Stato rimborsa i cittadini o le imprese che hanno eseguito lavori di efficientamento.

In secondo luogo c’è poca trasparenza su come sia stata ottenuta la stima del 70 per cento, che comunque secondo alcuni esperti sembra essere esagerata.

Le altre stime

Per esempio, il 24 novembre 2022 Il Foglio ha pubblicato un’analisi di Leonzio Rizzo, professore di Scienza delle finanze all’Università di Ferrara, che spiega perché le stime del Censis dedicate all’impatto del Superbonus sul gettito fiscale sono «eccessive». Senza entrare troppo nei dettagli tecnici, il Censis – sulla base di un calcolo del Centro studi Cni, un dipartimento della Fondazione del Consiglio nazionale degli ingegneri (anch’essa, dunque, operativa nel settore dell’edilizia) – ha provato a quantificare il cosiddetto “effetto moltiplicatore” del Superbonus. Detto in parole semplici, il Censis ha tentato di stimare il valore della produzione attivata dagli investimenti legati al Superbonus. Secondo Rizzo, però, il centro di ricerca avrebbe sovrastimato il gettito fiscale di «più del doppio rispetto a quello effettivo». Dunque non è vero che allo Stato tornerebbero indietro sotto forma di imposte e contributi 45 miliardi di euro, come dice Conte, ma meno della metà.

Ricordiamo che stiamo parlando di stime in cui le variabili in gioco sono molte e da maneggiare con cautela. Discorso analogo vale per un altro calcolo, contenuto nel rapporto “L’impatto economico del Superbonus 110 per cento e il costo effettivo per lo Stato dei bonus edilizi”, pubblicato alla fine di dicembre 2022 dalla Fondazione nazionale dei commercialisti. Utilizzando un modello di stima differente rispetto a quello del Censis, questa fondazione ha calcolato (pag. 32) che «per ogni euro speso dallo Stato in bonus edilizi, ne ritornano sotto forma di maggiori imposte 43,3 centesimi». Anche in questo caso siamo lontani dalla percentuale del «70 per cento» indicata da Conte.

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