Perché alcuni comuni rinunciano ai fondi del PNRR

Tra tempi molto stretti e aumento dei costi, gli ostacoli dei progetti finanziati con i soldi dell’Europa sono parecchi. E alcune amministrazioni preferiscono rinunciare
Ansa
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A Caravaggio sembra che il tempo si sia fermato. Nel bar Centrale, che affaccia su piazza Garibaldi, accanto al Comune, una decina di pensionati prende il primo caffè della giornata rigorosamente con il quotidiano locale in mano e commenta la coltre di nebbia mattutina che avvolge la città. Nelle vie intorno molti passeggiano nonostante ci siano appena quattro gradi.

Caravaggio è la cittadina di cui erano originari i genitori del pittore Michelangelo Merisi, da cui questi prese il soprannome con cui passò alla storia: il Caravaggio, appunto. Una volta faceva parte del territorio di Milano, mentre oggi appartiene alla provincia di Bergamo. È composta dal centro principale e da due frazioni, Masano e Vidalengo, per un totale di oltre sedicimila abitanti.

Come tante altre piccole città italiane, Caravaggio deve fare i conti con la denatalità. «Se non cambierà nulla perderemo una classe delle elementari. Ma anche le scuole di Masano e Vidalengo si giocheranno la sopravvivenza», dice il sindaco Claudio Bolandrini. Bolandrini è in carica dal 2016, poi confermato a ottobre 2021 ed è stato eletto con la lista civica “Bolandrini sindaco per Caravaggio”, sostenuta dal Partito Democratico. Parla dal suo ufficio in Comune, una bella sala dominata dal legno, con grandi quadri appesi alle pareti e finestre che affacciano sulla nebbiosa piazza principale. Bolandrini racconta che stanno cercando di invertire la tendenza e contrastare la denatalità, in particolare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che, secondo il sindaco, è «un’ottima occasione», anche se in alcuni casi rischia di essere «un cane che si morde la coda».

A Caravaggio sono stati finanziati numerosi progetti con il PNRR. Tra i principali c’è la messa in sicurezza antisismica delle scuole medie, che ha ottenuto un finanziamento di 1,2 milioni di euro, e la costruzione di un nuovo asilo, per cui il Comune ha ottenuto 1,8 milioni. Al contempo però hanno dovuto rinunciare ad altri fondi del PNRR, quelli per la costruzione di una nuova mensa nella scuola di Masano. E su questa decisione ha pesato anche la denatalità.

Il caso di Caravaggio

Caravaggio ha rinunciato a un finanziamento del PNRR pari a circa 500mila euro per la realizzazione di una mensa scolastica. «Nella nostra decisione ha pesato il consistente aumento dei costi sia della manodopera che delle materie prime», spiega il sindaco. «Consideriamo che ad esempio per l’asilo che stiamo realizzando abbiamo ricevuto 1,8 milioni, ma alla fine ci costerà circa 2,5 milioni. Dovevamo quindi scegliere, non potevamo fare tutto e abbiamo deciso di non realizzare la mensa», conclude.
Comune di Caravaggio - Foto: Pagella Politica
Comune di Caravaggio - Foto: Pagella Politica
Nella decisione del comune ha avuto però un ruolo importante anche una clausola del PNRR che prevede che la destinazione d’uso degli edifici interessati dagli interventi rimanga la stessa per almeno cinque anni. «È un vincolo sacrosanto, ma questo significa che per i prossimi cinque anni a Masano, che è una frazione di poco meno di mille abitanti, l’edificio avrebbe dovuto ospitare la mensa. La mensa sarebbe stata attiva dall’anno scolastico 2026/2027, ma è probabile che non avremo bambini a sufficienza per aprire il servizio perché per le scuole primarie il numero minimo per avviare una classe è 15 bambini (come stabilito dal Ministero dell’Istruzione, ndr), ma noi probabilmente ne avremo tre», ha aggiunto Bolandrini. Secondo il sindaco quindi sarebbe stata «una temerarietà lasciata in eredità all’amministrazione successiva, che avrebbe dovuto garantire il servizio della mensa con numeri che non giustificano l’investimento».

Sulla decisione hanno pesato i costi, il vincolo dei cinque anni e soprattutto la scarsa natalità. Lo spirito della misura del PNRR andava nella direzione di favorire il tempo pieno, soprattutto nei centri a rischio spopolamento. È un intervento che ha l’obiettivo di incentivare il servizio della scuola e in qualche modo la natalità, garantendo ai genitori la possibilità di avere un lavoro full time. Dall’altro lato però il rischio in alcuni paesi e piccole città è quello di investire soldi in progetti che poi non hanno una platea di persone a cui rivolgersi. 

«All’inizio la situazione non era così chiara, con i decreti attuativi e le varie FAQ del governo è stato chiarito l’obbligo dei cinque anni della destinazione d’uso dell’edificio. Inoltre, ragionando sulla denatalità che colpisce il nostro territorio e sugli extra costi che avremmo dovuto affrontare, abbiamo ritenuto opportuno rinunciare a malincuore al contributo ottenuto», ha aggiunto il sindaco. A questo si aggiunge che per mandare avanti le strutture costruite, come in questo caso la mensa, saranno necessari ulteriori soldi, che non sempre le amministrazioni hanno.

«C’è apprensione, c’è ansia, non nascondo che qualche volta di notte non dormo. I tempi sono cambiati, non è più l’amministrazione da Prima Repubblica dove il finanziamento arrivava perché avevi il parlamentare della tua città o della città vicina eletto che andava a tirare il giacchino per ottenere i soldi, e questo è un bene», ha commentato Bolandrini. «La speranza quando si tireranno le somme è che emerga che questo sistema ha contribuito a finanziare i progetti più virtuosi, le opere di cui c’era realmente bisogno e che altrimenti non sarebbero state realizzate».

Non solo Caravaggio

Caravaggio non è l’unica città che ha dovuto rinunciare a una parte dei fondi del PNRR a causa della denatalità e dell’aumento dei costi. Bozzolo per esempio è un piccolo comune di 4 mila abitanti in provincia di Mantova, che ha dovuto rinunciare a 740 mila euro del PNRR per i lavori di adeguamento, miglioramento sismico ed efficientamento della scuola dell’infanzia del paese.

«Per noi il problema è la lievitazione dei costi, c’è stato un boom. Se devo trovare un milione di euro in un comune di 4 mila abitanti non ce la faccio perché non ho liquidità. Quindi abbiamo dovuto rinunciare a una parte dell’intervento, ma i Comuni come noi che hanno dovuto rinunciare ai fondi sono tanti». A parlare al telefono è Giuseppe Torchio, sindaco della città ed ex deputato con la Democrazia Cristiana (DC).

Oltre all’aumento dei costi, anche in questo caso la denatalità ha un ruolo nella scelta di rinunciare ai fondi. «L’anno scorso sono nati 21 bambini a Bozzolo. Con 21 bambini possiamo fare una sezione: la A. Ma qualche anno fa c’erano sei sezioni: dalla A alla F», ha aggiunto Torchio. «Quest’anno abbiamo registrato un piccolo aumento demografico, ma una rondine non fa primavera. Bisogna capire che in questo territorio manca tutto, non è un luogo attrattivo, non c’è turismo, basti pensare che si sta realizzando solo ora il raddoppio ferroviario Mantova/Cremona fino a Milano». Di qui, la decisione di fare un passo indietro, anche per la paura del futuro: «Bisogna stare attenti per evitare di trasferire costi enormi sulle spalle delle nuove generazioni».

In altri casi invece non sono la denatalità o gli extracosti a compromettere (o rischiare di compromettere) i progetti del PNRR, bensì i tempi troppo stretti. Come nel caso di Vanzago.

Vanzago e il difficile rapporto con la ferrovia

Vanzago è un comune di circa 9 mila abitanti nella città metropolitana di Milano. È collegato al capoluogo con il passante ferroviario che – salvo ritardi – permette di raggiungere comodamente in mezz’ora il centro di Milano. Proprio i binari sono i protagonisti della difficile gestione del PNRR da parte di RFI (Rete Ferroviaria Italiana) con cui sta facendo i conti l’amministrazione vanzaghese.

La questione in realtà ha origine ben prima del PNRR. Sono circa trent’anni infatti che la tratta Rho-Gallarate, che coinvolge anche Vanzago, è interessata da progetti per migliorare il trasporto su rotaia, che puntualmente incontrano varie difficoltà. «L’ultimo progetto approvato prevede di passare da due a quattro binari tra Rho e Parabiago: si tratta di otto chilometri di tragitto, più il raccordo a Y per collegare la tratta del Sempione con la linea di competenza di Ferrovie del Nord Milano che arriva a Malpensa», ha spiegato l’assessore Guido Sangiovanni, che ha la delega proprio al cosiddetto “IV binario”. «Questo progetto è stato presentato in conferenza di servizi (cioè un tavolo di confronto tra le pubbliche amministrazioni, Ndr) nel 2013 e poi è stato approvato dieci anni dopo, nel giugno 2023», ha aggiunto.
Il Comune di Vanzago - Foto: Pagella Politica
Il Comune di Vanzago - Foto: Pagella Politica
Il progetto quindi non è nato con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma esisteva già ed è stato inserito nel 2021 dal governo Draghi tra gli interventi finanziati dal PNRR all’interno dell’investimento “Linee ad alta velocità nel Nord che collegano all’Europa”. Diventare un progetto finanziato con i soldi europei però significa dover sottostare a tempistiche stringenti, che prevedono che i lavori siano conclusi nel 2026. Come spiega il sindaco Lorenzo Musante, «i tempi del PNRR generano varie preoccupazioni, una di queste è la chiusura di due dei tre sottopassi che ci sono nel comune di Vanzago».

I sottopassi sono fondamentali a Vanzago perché i binari della ferrovia tagliano a metà il paese, quindi servono per collegare un lato del centro abitato all’altro. La loro chiusura implica la difficoltà a muoversi nel territorio comunale, con ricadute negative sulla quotidianità di tutti gli abitanti e sugli esercizi commerciali.
La mappa di Vanzago. In arancione il percorso dei binari che attraversano la città - Fonte: Google Maps
La mappa di Vanzago. In arancione il percorso dei binari che attraversano la città - Fonte: Google Maps
Lorenzo Musante ha 31 anni ed è stato eletto con la lista civica “Insieme in cammino” nel 2024. Parla, insieme all’assessore Sangiovanni, da un tavolo ovale in un’ampia sala affrescata del Comune e racconta tutte le difficoltà della realizzazione di quest’opera, che ha portato a luglio 2024 il consiglio comunale (all’unanimità) a chiedere lo stralcio del PNRR, cioè l’eliminazione del progetto dai finanziamenti europei. «La richiesta è legata al fatto che le tempistiche del PNRR sono molto strette e quest’opera ha difficoltà dal punto di vista della realizzazione», ha aggiunto Musante.

Dopo la richiesta di togliere il finanziamento del PNRR, «non abbiamo avuto riscontri da nessuno degli enti a cui la mozione è stata inviata. Quindi i lavori sono stati avviati, anche se in minima parte», ha spiegato il sindaco. Il 6 dicembre 2024 però il Tribunale amministrativo regionale (TAR) della Lombardia ha accolto il ricorso presentato dal comitato civico dei cittadini che si oppongono al potenziamento della Rho-Parabiago, annullando l’ordinanza che approvava il progetto definitivo della linea ferroviaria. I lavori quindi si sono bloccati, ma RFI ha presentato ricorso in appello al Consiglio di Stato, che il 21 dicembre 2024 ha sospeso la sentenza del TAR della Lombardia, dando nuovamente il via ai lavori. Rimangono molti punti di domanda, in particolare sulle tempistiche, che si sono inevitabilmente allungate.

«Bisogna pensare in primo luogo a tutte le famiglie alle quali verrà portata via la casa», ha aggiunto il sindaco. L’allargamento dei binari comporterà la demolizione di alcune abitazioni che dovranno lasciare il posto ai nuovi binari. Ma anche su queste tempistiche al momento non ci sono certezze. «Se davvero i lavori devono essere fatti con i tempi del PNRR, le Ferrovie hanno dichiarato (qui il documento, ndr) al Consiglio di Stato che a giugno 2025 inizieranno gli abbattimenti delle case dei privati. Ma se non sono ancora terminate le procedure di esproprio, come fanno a dare i soldi alle famiglie e a consentire il tempo per trovare un’altra casa, rogitare, traslocare e tutto il resto? È impossibile ed è drammatico», ha commentato l’assessore.

Se in molti territori il PNRR potrebbe migliorare servizi esistenti e portarne di nuovi ed efficienti, in altre situazioni sembra al momento causare più che altro grandi difficoltà. Tra l’aumento dei costi, i tempi troppo stretti e anche la denatalità i soldi dell’Europa in alcuni casi sembrano non essere così facili da gestire.

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