Il 22 marzo, il vicepresidente del Consiglio, nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio (M5s) ha celebrato su Facebook una notizia che, a suo parere, «fa parte di quelle piccole grandi rivoluzioni di cui l’Italia ha bisogno».
Nel suo post, Di Maio fa riferimento al primo trasporto via aereo di arance siciliane in Cina, che avverrà il prossimo 2 aprile e sarà commercializzato da Alibaba, una delle più grandi piattaforme di e-commerce al mondo.
L’evento è stato pubblicizzato anche dal Blog delle Stelle, che in un articolo del 24 marzo ha scritto che «alle chiacchiere del Pd e dei professoroni da salotto tv» il Movimento 5 stelle risponde con «fatti concreti»: se con i governi precedenti gli agricoltori siciliani «erano costretti a lasciare sugli alberi» i frutti perché non avevano un adeguato ritorno economico, il nuovo accordo con la Cina segnerebbe un rilancio per l’export del nostro Paese.
La stessa Regione Sicilia (a guida centrodestra) ha pubblicato sui social un video promozionale sul mercato delle arance verso l’Oriente.
Le critiche
La questione degli agrumi ha però suscitato anche critiche e ironie.
«Le arance spiccano il volo. Anni di lavoro per non riconoscere il Mes alla Cina, contro mezza Ue, per mettere dazi su acciaio e costruire relazione alla pari e ci siamo venduti per le arance. Export incrementale 10 milioni di euro», ha scritto su Twitter l’ex ministro Carlo Calenda il 23 marzo. «E ne vanno anche fieri».
La critica sarebbe quindi di aver modificato in modo sensibile la politica commerciale italiana in cambio di benefici economici ridotti. Anche altri esponenti dell’opposizione, come la capogruppo di Forza Italia al Senato Anna Maria Bernini hanno fatto commenti tra il critico e il sarcastico.
Ma in che cosa consiste il “successo” rivendicato dal M5s? Ed è davvero tutto merito dell’attuale governo? Infine, che cosa dicono i numeri sull’export italiano in Cina? Andiamo con ordine.
Perché si parla tanto della Cina?
Il 23 marzo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping hanno firmato un memorandum d’intesa tra i due Paesi nell’ambito del grande progetto infrastrutturale cinese noto come Belt and Road Initiative (Bri).
L’Italia è stato il primo membro del G7 a firmare un accordo preliminare per partecipare alla Bri, suscitando diverse critiche a livello internazionale per la decisione di politica estera e commerciale del nostro Paese.
In occasione della visita ufficiale di Xi Jinping, sono state sottoscritte anche 19 intese istituzionali tra i due Stati.
In particolare, il 23 marzo, il ministro delle Politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo Gian Marco Centinaio (Lega) e l’ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia Li Ruiyn hanno siglato un documento intitolato “Protocollo sui requisiti fitosanitari per l’esportazione di agrumi freschi dall’Italia alla Cina”, per garantire – ha dichiarato Centinaio – «una collaborazione sempre maggiore, anche in relazione ai sistemi di controllo della qualità, tracciabilità e trasparenza».
Quest’ultima intesa è stata definita dalla stampa come «importante e simbolica», perché arriva dopo mesi di trattative.
Davvero prima le arance non si potevano esportare?
Oltre quattro mesi fa – il 5 novembre 2018 – il ministro dello Sviluppo economico, nella sua seconda visita ufficiale nel Paese asiatico, aveva infatti scritto un articolo sul Blog delle Stelle intitolato «Buone notizie per gli agricoltori siciliani: le nostre arance ora si possono esportare in Cina».
In sostanza, si trattava dell’annuncio che era stata trovata l’intesa tra Roma e Pechino per il trasporto degli agrumi per via aerea, dal momento che per nave era già possibile.
Come aveva spiegato all’epoca anche lo stesso Di Maio, in una diretta Facebook dal China International Import Expo di Shanghai, mancava però ancora la firma sull’accordo. Il ministro dello Sviluppo economico si augurava sarebbe arrivata a breve grazie al ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio. Il 23 gennaio 2019, Centinaio ha poi firmato il nuovo protocollo sugli agrumi all’Agenzia delle dogane di Pechino.
Quindi, la possibilità di esportare arance in Sicilia non era una novità. L’accordo per questo tipo di commercio era già stato ultimato nei primi mesi del 2017 – oltre due anni fa – dalla Regione Sicilia e dal Ministero dell’Agricoltura, con a capo Maurizio Martina. Quest’ultimo, il 16 maggio 2017, aveva infatti firmato un primo protocollo d’intesa per superare le barriere fitosanitarie e garantire i controlli dei prodotti esportati in Asia da parte delle autorità italiane.
In questo modo, erano stati stabiliti i requisiti (per esempio, di imballaggio, di lavorazione a freddo, di quarantena e ispezione) per consentire l’esportazione delle arance in Oriente, ma solo via mare.
Uno dei problemi più seri per il commercio riguardava infatti il rischio di endemicità di alcuni parassiti degli agrumi – che avrebbero potuto diffondersi in Cina – che richiedeva un trattamento diverso nel caso in cui fossero stati coinvolti gli aerei e non le navi.
In ogni caso, il protocollo per il trasporto via mare non aveva però avuto grande successo dal punto vista commerciale. Come spiegava a settembre 2017 Corriere Ortofrutticolo (un quotidiano online del settore), si erano accreditate per il commercio solo tre aziende, a causa proprio della modalità di trasporto.
«Esistono delle difficoltà logistiche oggettive legate all’export dell’arancia Tarocco di Sicilia», aveva dichiarato al quotidiano Salvo Laudani, marketing manager di Oranfrizer (un’azienda del settore). «Vista la delicatezza del prodotto, è impensabile affrontare un transito di 45 giorni di nave. Inutile accreditarsi finché non saranno praticabili delle alternative logistiche. In questo senso stiamo guardando con molta attenzione agli sviluppi su questo fronte».
In tutto questo, il primo carico di arance siciliane via mare è arrivato in Cina soltanto il 20 marzo 2019, dopo essere partito a fine gennaio dal porto di Catania.
Sono merito di Di Maio le esportazioni via aereo?
L’articolo di novembre 2018 sul Blog delle Stelle spiegava appunto che uno degli obiettivi delle visita di settembre 2018 di Di Maio in Asia era stato quello di “sbloccare” il commercio aereo, più veloce rispetto a quella marittimo.
In realtà, già a gennaio 2018 – con il precedente governo, dunque – la visita di due ispettori cinesi in Italia aveva di fatto già avviato a una conclusione positiva l’iter che apriva il canale di commercializzazione degli agrumi siciliani in Cina per via aerea.
In quell’occasione, infatti, era stata certificata la possibilità di trattare a freddo la frutta prima della partenza, elemento necessario per permetterne un successivo trasporto sicuro in aereo.
Il contributo del governo Conte è stato dunque quello di portare a termine un lungo percorso di trattative iniziate dal precedente esecutivo (in fase di conclusione già dal 2016), completando gli accordi rimasti in sospeso con il cambio di legislatura.
Di che giro di affari stiamo parlando?
In generale, da quando si parla di arance italiane in Cina, il messaggio principale che Di Maio e M5s vogliono trasmettere è che questo “sblocco” delle esportazioni aeree favorirebbe i produttori di agrumi siciliani (e quelli italiani in generale), ora in grado di raggiungere un mercato così grande come quello cinese. Ma che cosa dicono i numeri sull’export italiano verso la Cina?
Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo economico (Mise), nel 2018 l’Italia ha esportato verso il Paese asiatico beni per un valore complessivo di 13,169 miliardi di euro, in calo rispetto ai 13,489 miliardi dell’anno prima. Sul totale delle esportazioni italiane, quelle verso la Cina pesano per un 2,8 per cento, al pari, per esempio, di quelle verso Belgio e Polonia.
Esiste inoltre un gap sull’export rispetto ad altri Paesi Ue. Secondo i dati Eurostat, Paesi come la Germania (oltre 87 miliardi di euro) e Francia (poco meno di 19 miliardi di euro) esportano molto di più verso il colosso asiatico.
Ma che cosa vendiamo ai cinesi? Secondo l’Observatory of Economic Complexity del Mit di Boston, che usa i dati sui commerci mondiali delle Nazioni unite (Un Comtrade database), l’11 per cento dell’export italiano in Cina è costituito dalla vendita di auto, seguito da quelle di farmaci (5,2 per cento) e macchinari (2,5 per cento).
Il settore agroalimentare occupa una fetta simile a questi ultimi (per un valore di poco inferiore ai 400 milioni di euro), mentre il sottosettore di frutta e verdura (Vegetables) – quello di cui fanno parte anche gli agrumi – vale meno di 80 milioni di euro.
Come dimostra un accordo del 22 marzo tra il Ministero delle Politiche agricole, il Distretto degli agrumi di Sicilia e Alibaba (la piattaforma di e-commerce più grande della Cina), il mercato delle arance italiane mira però a raggiungere una percentuale ristretta della popolazione cinese, in una fascia di mercato cosiddetta “premium”.
A questo commercio, «siamo interessati ma come valore simbolico più che economico, perché servirà a mettere una bandierina sul mercato cinese», ha dichiarato a novembre 2018 al magazine di settore Freshpoint Salvatore Rapisarda, presidente del Consorzio Euroagrumi (che raccoglie oltre 1.200 produttori). «Non sono quelli però i mercati che possono dare veramente sfogo alle nostre produzioni».
La Cina, a oggi, non ha infatti “bisogno” di agrumi: è già il produttore più grande al mondo in questo settore.
Secondo le statistiche più aggiornate dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), nel 2016 la Cina ha prodotto 32,7 milioni di tonnellate di agrumi, oltre il 25 per cento della produzione mondiale (che ammonta a 124,2 milioni di tonnellate) e più di quanto prodotto da tutta l’area del Mediterraneo messa insieme (25,2 milioni). Nello stesso anno, l’Italia ne aveva raccolti 3,1 milioni di tonnellate, un decimo della quantità cinese.
In conclusione
Nei giorni della firma del memorandum d’intesa tra Italia e Cina sulla cosiddetta “Nuova via delle Seta”, il Movimento 5 stelle e il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio hanno rivendicato un successo del loro operato: lo “sblocco” del commercio per via aerea degli agrumi italiani verso la Cina.
Le esportazioni via mare erano infatti già possibili da un paio di anni, ma non avevano ottenuto un grande successo, soprattutto per gli eccessivi costi logistici.
La nuova intesa tra Roma e Pechino ha stabilito dunque che esistono tutti i requisiti sanitari per permettere alle arance siciliane e italiane di essere mandate in Cina via aereo, in tempi più brevi. Le dimensioni economiche dell’accordo saranno comunque ridotte, come hanno dichiarato anche operatori del settore.
Di Maio e il M5s hanno legittimamente festeggiato la conclusione definitiva dell’accordo, anche se la critica ai governi precedenti è senz’altro eccessiva: le basi erano state infatti gettate negli anni scorsi già dai precedenti governi, e dall’allora ministro Martina.
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