Perché il senatore filorusso Petrocelli continua a essere presidente della Commissione Esteri del Senato

Se ne parla da settimane, ma le regole non permettono una sua rimozione, anche dopo l’espulsione dal M5s, annunciata da Conte
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Il 24 aprile il senatore del Movimento 5 stelle Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri del Senato, ha augurato su Twitter una «buona festa della LiberaZione», suscitando subito diverse critiche. La “Z” maiuscola è stata infatti interpretata da molti come un chiaro riferimento al simbolo usato in sostegno dell’invasione russa dell’Ucraina. Da settimane lo stesso Petrocelli è al centro di polemiche, tra le altre cose, per non aver votato a fine marzo la fiducia a sostegno del governo, durante la votazione del decreto “Ucraina”, e per le sue posizioni esplicitamente filorusse.

Il presidente del M5s Giuseppe Conte ha subito commentato il tweet di Petrocelli, scrivendo che il senatore «è fuori» dal partito. «Stiamo completando la procedura di espulsione. Il suo ultimo tweet è semplicemente vergognoso», ha dichiarato Conte su Twitter. «Il 25 aprile è una ricorrenza seria. Certe provocazioni sono inqualificabili».

Ma come mai, nonostante da settimane Petrocelli sia criticato da quasi tutti i partiti in Parlamento, ricopre ancora la carica di presidente della Commissione Esteri? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.

Che cosa (non) dice il regolamento del Senato

Innanzitutto, va sottolineato che il ruolo di Petrocelli ha una certa rilevanza nel funzionamento del Senato. Le commissioni sono infatti piccole assemblee di senatori che riproducono in scala ridotta la composizione politica di Palazzo Madama. Dal 21 giugno 2018, ossia quando al governo c’erano Lega e M5s, Petrocelli presiede la Commissione Esteri, che esamina i provvedimenti in questo ambito prima che vengano messi al voto dell’aula. Petrocelli è stato poi riconfermato nel suo ruolo anche a luglio 2020, quando al governo c’erano Partito democratico, M5s, Italia viva e Liberi e uguali.

Il Capo VI del regolamento del Senato, che disciplina le disposizioni per le commissioni, non prevede la possibilità di sfiduciare un presidente di commissione. Detta altrimenti, anche se tutti i senatori membri della Commissione Esteri del Senato volessero votare a favore di una destituzione di Petrocelli dalla sua carica, non potrebbero. 

Un’ipotesi messa in campo nelle ultime settimane da alcuni senatori riguarderebbe le dimissioni in massa dei membri della Commissione Esteri del Senato, obbligando di fatto la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati a intervenire. Si tratterebbe però di uno scenario non codificato dal regolamento e quindi soggetto a diversi possibili sviluppi.

L’espulsione di Petrocelli dal M5s

In base al regolamento interno del gruppo parlamentare del Movimento 5 stelle del Senato, Petrocelli potrebbe essere espulso dal partito, tra le altre cose,  per i suoi «comportamenti suscettibili di pregiudicare l’immagine o l’azione politica del M5s o di avvantaggiare i partiti». Il regolamento del M5s non può dare, per così dire, l’ultima parola sul futuro del senatore: a fine dicembre scorso, sei espulsioni dal partito sono state dichiarate nulle dal Consiglio di Garanzia del Senato, l’organo di appello di Palazzo Madama. Dunque, pure Petrocelli potrebbe fare ricorso, con la conseguente incertezza sulla sua effettiva espulsione.

Ma in ogni caso, anche se venisse ufficializzata la fuoriuscita dal gruppo, Petrocelli non perderebbe automaticamente il suo incarico di presidente di commissione. In base all’articolo 27, comma 3-bis, del regolamento del Senato, i componenti dell’ufficio di presidenza di una commissione «che entrano a far parte di un gruppo diverso da quello al quale appartenevano al momento dell’elezione decadono dall’incarico». Ma questa disposizione, specifica il regolamento, «non si applica quando la cessazione sia stata deliberata dal gruppo di provenienza», ossia il caso che si applicherebbe a Petrocelli, che molto probabilmente passerebbe al gruppo Misto.

Le posizioni di Petrocelli

Il tweet con la “Z” maiuscola è stato solo l’ultimo dei messaggi filorussi del senatore del M5s, che da anni ha mostrato posizioni molto vicine alla presidenza russa di Vladimir Putin. Oltre al voto contrario sul decreto “Ucraina”, a inizio marzo Petrocelli – che in passato si è espliticitamente definito anche «filocinese» – aveva votato contro la risoluzione parlamentare che chiedeva al governo di inviare armi per aiutare l’Ucraina. E il 22 marzo aveva disertato l’intervento in videocollegamento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in Parlamento.

Secondo alcuni, queste decisioni erano in larga parte prevedibili, visti gli atteggiamenti adottati in passato da Petrocelli, soprannominato da alcuni compagni di partito “Petrov”. «Lui ha sempre espresso quelle posizioni, erano note anche quando è stato eletto. Sono gli altri che hanno fatto un’inversione a U», ha per esempio dichiarato il 7 marzo scorso in un’intervista con la Repubblica Emanuele Dessì, ex senatore del M5s, dal 2021 passato al Partito comunista.

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