Il 7 luglio, in un’intervista con il Corriere della Sera, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha accusato i partiti che sostengono il governo Meloni di aver provato a «tassare le vacanze degli italiani». Il riferimento è a «un emendamento firmato da tutta la maggioranza», che poi è stato ritirato. Ma come sono andate davvero le cose? Che cos’è questa “tassa” di cui parla Schlein e di cui si è discusso negli ultimi giorni?

A maggio, il governo ha approvato il decreto “Infrastrutture”, che ha iniziato il suo percorso di conversione in legge alla Camera. L’esame del testo è stato affidato alla Commissione Trasporti e alla Commissione Ambiente, dove i partiti hanno presentato alcuni emendamenti, cioè proposte di modifica del decreto. Uno di questi emendamenti ha suscitato particolare attenzione: era stato firmato dai quattro relatori del disegno di legge per la conversione del decreto, cioè Francesco Battistoni (Forza Italia), Elisa Montemagni (Lega), Antonio Baldelli e Massimo Milani (Fratelli d’Italia). I relatori – che rappresentano i partiti della maggioranza – hanno il compito di seguire l’iter del disegno di legge, esprimere il parere della maggioranza sugli emendamenti e riferire in commissione e in aula sull’andamento dei lavori. 

L’emendamento firmato dai relatori – di cui Pagella Politica ha preso visione – proponeva di inserire nel decreto “Infrastrutture” un nuovo articolo, intitolato “Disposizioni relative alla società ANAS S.p.A.”. ANAS è una società che fa parte del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane e, tra i suoi compiti, ha quello di occuparsi della manutenzione delle autostrade. I relatori hanno proposto di integrare un canone già esistente (art. 1, comma 1020), che le società concessionarie delle autostrade italiane versano ogni anno ad ANAS fin dai primi anni Novanta. Dopo varie modifiche approvate nel tempo, questo canone è stato fissato nel 2,4 per cento dei proventi netti dei pedaggi di competenza dei concessionari e, dal 2010, è stato integrato con un versamento aggiuntivo calcolato sulla percorrenza chilometrica.

L’emendamento dei partiti di maggioranza proponeva qualcosa di simile: a partire dal 1° agosto 2025, chiedeva di integrare il canone con un «ulteriore importo», pari a 1 millesimo di euro a chilometro per tutte le classi di pedaggio. Le classi di pedaggio sono le categorie usate per determinare quanto deve pagare un veicolo quando percorre un tratto di autostrada a pagamento. In concreto, il nuovo importo avrebbe comportato un costo di un euro ogni mille chilometri percorsi: chi fa mille chilometri in autostrada avrebbe generato per la concessionaria un costo aggiuntivo di un euro.

Inoltre, l’emendamento prevedeva che l’aumento del canone fosse aggiornato ogni due anni dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulla base dell’inflazione. Secondo fonti stampa, l’obiettivo era raccogliere circa 90 milioni di euro da destinare alla manutenzione delle strade. Tuttavia, anche se l’emendamento non stabiliva esplicitamente un aumento dei pedaggi per gli automobilisti, il timore era che le concessionarie – per compensare il nuovo costo – potessero decidere di scaricarlo sugli utenti, aumentando così i pedaggi e rendendo più costose le vacanze in macchina.

Dopo le proteste dei partiti di opposizione e di alcuni esponenti della maggioranza, il contestato emendamento è stato ritirato, e i relatori ne hanno presentato uno alternativo, che sarà approvato in commissione. Il nuovo emendamento consente ad ANAS di usare le risorse di un fondo già esistente (un tempo chiamato “Fondo centrale di garanzia per le autostrade e per le ferrovie metropolitane”) non solo per nuovi progetti, ma anche per integrare risorse già stanziate nei contratti di programma esistenti, e per coprire maggiori costi legati a contenziosi con le imprese appaltatrici. I contratti di programma sono accordi, basati su più anni, stipulati tra il Ministero delle Infrastrutture e ANAS, che definiscono finanziamenti, obiettivi e opere da realizzare. A differenza del primo emendamento, il nuovo non prevede nuove entrate, e dunque le coperture per finanziare gli interventi risultano più incerte.