La sera del 4 ottobre si sarebbe dovuta giocare a Torino la partita di Serie A tra Juventus e Napoli. L’incontro però non si è disputato perché la squadra partenopea non si è presentata allo stadio.
La Juventus si era recata all’incontro dichiarando che le regole non giustificavano un rinvio della partita; il Napoli invece, che negli ultimi giorni ha registrato due casi di nuovo coronavirus tra i suoi giocatori, è rimasto in Campania, sostenendo che le autorità sanitarie locali ne avessero bloccato la partenza.
Alle ore 10 del 6 ottobre non è ancora stato deciso se il Napoli perderà 3 a 0 a tavolino o se la partita verrà in qualche modo recuperata.
La politica si è subito inserita nel dibattito, dividendosi in due schieramenti, pro e contro lo svolgimento dell’incontro.
Il “tifo” della politica
Il 4 ottobre, ad esempio, il leader della Lega Matteo Salvini ha scritto su Facebook che «se anche nel calcio esistono delle regole che prevedono che si giochi, tutti le devono rispettare», lanciando una critica implicita al Napoli. Il ministro della Salute Roberto Speranza (LeU), ospite lo stesso giorno a Mezz’ora in più su Rai 3, ha invece cercato di smorzare le polemiche, dicendo che «la priorità è la salute delle persone», e non il calcio.
Nel mezzo, il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora (M5s) ha mostrato in una nota un atteggiamento più sfumato. In primo luogo, Spadafora ha delegato le responsabilità al mondo del calcio, scrivendo che «spetta ora agli organismi sportivi decidere sugli aspetti specifici del campionato, sia sulla decisione di stasera che su eventuali ricorsi futuri». In secondo luogo, ha però sottolineato la «chiara responsabilità» e «precisa azione di vigilanza» delle autorità sanitarie locali. Responsabilità delle squadre, insomma, ma ancor di più delle autorità pubbliche.
Ma davvero esistono «regole» precise sullo svolgimento delle partite di calcio durante l’emergenza coronavirus, come ha scritto Salvini? È vero che le autorità hanno compiti «precisi», come evidenziato invece da Spadafora, e che la palla ora è nelle mani del mondo del calcio?
Abbiamo dato una risposta a queste domande: nonostante la confusione degli ultimi giorni, il quadro che ne esce è abbastanza chiaro dal punto di vista normativo; meno invece dal punto di vista sportivo e dello sviluppo futuro del campionato. Vediamo il perché.
Che cosa hanno detto il Cts e il Ministero della Salute
Il 18 giugno il Ministero della Salute ha pubblicato una circolare con le disposizioni relative alla quarantena per i contatti di soggetti risultati positivi al virus Sars-CoV-2 durante l’«attività agonistica di squadra professionistica» (quella, tra gli altri, delle squadre di Serie A di calcio). Questo documento ha ripreso quanto già indicato dal Comitato tecnico scientifico (Cts) in un verbale del 12 giugno.
Qui, in virtù dell’allora «evoluzione epidemica favorevole» nel Paese, il Cts aveva considerato (pag. 5) «ricevibile dal punto di vista squisitamente medico scientifico» la proposta di introdurre un’eccezione, valida solo per le squadre professionistiche di calcio, per le regole relative all’isolamento dei contatti con un positivo, che di norma prevedono una durata di 14 giorni.
L’eccezione consentita dal Cts – e ribadita dalla circolare del Ministero della Salute del 18 giugno – prevedeva un isolamento più “leggero”, che poteva essere disposto dal Dipartimento di prevenzione «territorialmente competente». Ogni autorità locale sanitaria ha un dipartimento di questo tipo (qui, per esempio, la pagina relativa all’Ats di Milano) che si occupa, tra le altre cose, della prevenzione delle malattie infettive, come la Covid-19.
Che cosa prevede questo isolamento “leggero”, validato dal Cts e chiamato nel gergo sportivo la “bolla”?
Se una squadra di calcio rileva un soggetto positivo al nuovo coronavirus, deve mettersi in isolamento, ma può comunque continuare gli allenamenti (per esempio dando come domicilio il proprio centro sportivo) e partecipare alle partite successive, nel rispetto di una specifica regola. Questa prevede che a giocare possano essere solo i giocatori risultati negativi a tamponi eseguiti entro quattro ore dallo svolgimento dell’incontro. Dopo la partita, la squadra deve poi tornare in isolamento, continuando gli allenamenti ed evitando contatti con esterni.
Sottolineiamo che nella circolare del Ministero della Salute si legge che il Dipartimento di prevenzione «può prevedere» questa disposizione alternativa all’isolamento classico: non c’è dunque nessun obbligo di isolamento “leggero”.
Insomma, queste disposizioni sembrano molto chiare: anche con un giocatore positivo (messo subito in isolamento), le squadre di Serie A possono continuare la loro normale attività in una forma di isolamento più “leggera”, rispetto agli standard nazionali. E questa alternativa non è un qualcosa di garantito alle società di calcio ma, come abbiamo detto, una facoltà che può essere data solo dalle autorità sanitarie (il Dipartimento di prevenzione) competenti.
Con l’inizio del campionato 2020-2021 è però subito emerso un problema: che cosa succede se il numero di giocatori positivi è tale da compromettere le normali attività di una squadra?
Le nuove regole della Lega
Il 27 settembre il portiere del Genoa Mattia Perin è risultato positivo al nuovo coronavirus. Nonostante questo si è giocata comunque la partita Napoli-Genoa, posticipata di alcune ore – dalle 15 alle 18 – per permettere di eseguire i test e rispettare le regole viste in precedenza.
Il problema lasciato vacante dalle disposizioni di giugno si è subito posto nelle ore e nei giorni seguenti alla partita, quando il numero dei contagiati tra le fila del Genoa è salito a 22 (17 calciatori e cinque membri dello staff), mettendo a rischio la partecipazione dei rossoblu alla successiva partita con il Torino, in programma il 3 ottobre.
Per colmare il vuoto, è subito intervenuta la Lega di Serie A, che il 2 ottobre ha pubblicato un comunicato con le regole concordate tra le varie società per gestire gli eventuali rinvii di partite con squadre che hanno registrato più casi di contagio. Ricordiamo che stiamo parlando di regole che la Serie A si è data da sola, non di regole stabilite dal Ministero della Salute o dal Cts.
In base a quanto stabilito dalla Lega, una squadra con più positivi può comunque giocare una partita – rispettando sempre le regole imposte dal Ministero della Salute – se ha almeno a disposizione 13 giocatori, compreso un portiere, tra quelli tesserati a cui ha assegnato un numero di maglia a inizio campionato.
Se una squadra registra più di 10 positivi, può chiedere il rinvio della partita, ma solo una volta in tutta la stagione. Altrimenti, anche a fronte di un’impossibilità oggettiva a disputare il match per mancanza di giocatori non positivi, le viene assegnata la sconfitta per 3 a 0 a tavolino.
Questo tentativo di trovare un compromesso – e salvare di fatto lo svolgimento del campionato – è stato introdotto dalla Lega con una precisa limitazione, ossia «fatti salvi eventuali provvedimenti delle autorità statali o locali».
Anche in questo caso, dunque, come per l’isolamento “leggero”, l’ultima parola spetta alle autorità non sportive.
Ricapitolando: salvo diverse disposizioni delle autorità, le attività della Serie A possono proseguire anche se una squadra ha uno o più giocatori positivi (che vengono isolati). Se i giocatori disponibili sono meno di 13, tra cui un portiere, è possibile ottenere un rinvio. Ogni squadra può rinviare una sola partita in tutta la stagione (anche a fronte di una perdurante mancanza di giocatori disponibili).
Vediamo dunque quale fattispecie si è applicata al caso del Napoli e perché la squadra, secondo quanto ricostruito da fonti stampa e dalla stessa società partenopea, non è potuta andare a Torino a sfidare la Juventus.
Che cosa hanno detto le Asl napoletane
Il 2 ottobre – due giorni prima della partita con la Juventus e cinque giorni dopo la partita con il Genoa – è stata comunicata la notizia della positività al nuovo coronavirus del centrocampista del Napoli Piotr Zieliński. Il giorno dopo è risultato positivo anche il suo compagno di squadra Eljif Elmas, durante un giro di tamponi eseguiti al centro sportivo di Castel Volturno in modalità drive-in, per rispettare le prime norme di isolamento.
A circa 24 ore dalla partita con la Juventus, in base alle regole viste finora – sia quelle del Ministero della Salute che quelle nuove della Lega – sembravano dunque esserci tutte le condizioni per svolgere l’incontro, dal momento che i positivi accertati nel Napoli erano soltanto due.
Ma l’isolamento “leggero”, previsto dal Ministero della Salute e concesso su disposizione dei Dipartimenti di prevenzione, era stato attivato, o no? Qui le cose si complicano, dal momento che c’è stata da subito poco chiarezza sui vari passaggi che hanno coinvolto le autorità locali.
Le prime note delle due Asl di Napoli
In base alla ricostruzione di diverse fonti stampa, come La Gazzetta dello Sport e Ansa, il 3 ottobre sono intervenute due autorità locali sanitarie campane, competenti rispettivamente per l’area di Castelvolturno (dove c’è il centro sportivo del Napoli) e per quella dove è residente il calciatore Zieliński: la Asl Napoli 2 Nord e la Asl Napoli 1 Centro.
In un primo momento, la Asl Napoli 2 Nord si è limitata a chiedere i contatti dei giocatori positivi, che avrebbero dovuto rispettare un isolamento di 14 giorni. Nelle disposizioni della Asl non veniva menzionata la circolare del Ministero della Salute del 18 giugno che, come abbiamo visto prima, prevede che l’isolamento possa essere compatibile con il prosieguo dell’attività sportiva.
La Asl Napoli 1 Centro, invece, ha disposto l’isolamento dei giocatori del Napoli, citando in questo caso la circolare del Ministero della Salute e chiedendo anch’essa gli indirizzi di dove sarebbe stata rispettata la quarantena. Dal documento – come ha sottolineato anche Il Post – non è chiaro se fosse stato disposto un isolamento in versione “leggera”, così come prevista dalle regole, oppure nella versione valida per tutti gli altri cittadini.
Nella nota della Asl Napoli 1 Centro – resa pubblica dall’Ansa nella sera del 3 ottobre – si legge infatti che l’isolamento è disposto «alla luce dell’attuale andamento epidemiologico Covid-19 rispetto al quale è in corso la massima attenzione per contenere la diffusione del contagio». Questa frase – vista la non rosea situazione della Campania – potrebbe autorizzare un’interpretazione più restrittiva, per una disposizione di un isolamento di 14 giorni, senza la possibilità di recarsi a Torino; il rimando alla circolare del Ministero della Salute ha però lasciato spazio all’altra interpretazione, quella che avrebbe consentito il regolare svolgimento della partita.
Dunque, durante la giornata del 3 ottobre, c’è stata molta confusione su che cosa di preciso avessero deciso le due Asl competenti.
Lo stop alla partenza e la Pec del Napoli
Nella serata del 3 ottobre, secondo fonti stampa, la Asl Napoli 2 Nord ha poi bloccato la partenza del Napoli, già pronto a Castel Volturno per dirigersi a Torino. Il giorno dopo, il Dipartimento di prevenzione della stessa Asl Napoli 2 Nord ha pubblicato una nota in cui, citando comunque la circolare del 18 giugno del Ministero della Salute, ha scritto che «si ritiene non sussistano le condizioni che consentono lo spostamento in piena sicurezza dei contatti stretti».
La stessa nota dell’Asl Napoli 2 ha inserito tra le sue premesse «quanto già espresso dalla vice capo gabinetto della Regione Campania», l’avvocata Almerina Bove, che nella serata del giorno precedente avrebbe chiarito al Napoli che non poteva abbandonare la città per recarsi a Torino.
Questa ricostruzione dei fatti – le disposizioni delle Asl, più quella della Regione Campania – è stata confermata anche dal Napoli, in un messaggio di posta elettronica certificata (Pec) del 3 ottobre sera, inviata dal presidente Aurelio De Laurentiis alla Lega Serie A.
Quest’ultima, però, si era subito mostrata contraria alla decisione del Napoli.
La posizione della Lega, la replica della Asl e l’indagine della Figc
Nel pomeriggio del 4 ottobre – a poche ore dall’inizio della partita, ma prima della nota di chiarimento della Asl Napoli 2 Nord – la Lega Serie A ha infatti pubblicato un comunicato in cui ha detto che in quel «momento» non sussistevano «provvedimenti di autorità statali o locali» che impedivano «il regolare svolgimento della partita». Secondo la Lega, neppure la disposizione della Regione Campania (di cui si era avuta notizia già la sera del 3 ottobre, prima insomma che venisse citata nella nota della Asl Napoli 2 Nord) teneva conto della possibilità da parte del Napoli di entrare in isolamento “leggero” e di recarsi quindi a Torino.
Ma come abbiamo visto in precedenza, è compito dei Dipartimenti di prevenzione stabilire se concedere l’isolamento “leggero”, oppure no; e in questo caso sembra evidente – sulla base dei documenti riportati dalle fonti stampa e dalle stesse autorità sanitarie – che questa concessione non sia avvenuta, nonostante la confusione iniziale sulle varie comunicazioni delle due Asl.
«Il nostro comportamento è stato corretto, se non avessimo agito sarebbe stata una grave inadempienza», ha detto il 5 ottobre a Radio 24 il direttore della Asl Napoli 2, Antonio D’Amore. «In caso contrario saremmo incorsi in una mancanza di sorveglianza sanitaria».
La Procura della Federazione italiana giuoco calcio (Figc) – di cui fa parte la Lega Serie A – ha però aperto un’indagine per capire se il Napoli ha davvero rispettato i protocolli sanitari stabiliti a giugno scorso. Secondo Ansa, la Figc ha inoltre chiesto «copia della corrispondenza tra la Asl, la Regione e il club», per prendere una posizione sulla vicenda. Come abbiamo visto nell’introduzione, resta ancora da decidere se recuperare Juventus-Napoli in un’altra data, oppure dare la sconfitta a tavolino al Napoli.
Il Napoli ha già comunque annunciato che, nel caso venga decisa la sconfitta a tavolino, farà ricorso ai gradi di giustizia sportiva, dicendosi disposto di arrivare addirittura fino al Tar.
La confusione della politica
Alla luce di quanto detto, vediamo le imprecisioni dei politici italiani che si sono esposti sulla vicenda, prendendo per esempio i casi di Salvini e Spadafora.
Quando il leader della Lega ha scritto che «se anche nel calcio esistono delle regole che prevedono che si giochi, tutti le devono rispettare» – facendo una critica indiretta al Napoli – ha omesso di dire che queste regole ci sono, e prevedono appunto che siano le autorità sanitarie a dire se una squadra può di fatto giocare una partita o meno. Questo “potere” decisionale delle autorità vale sia per quanto riguarda l’isolamento “leggero”, sia per quanto riguarda i rinvii per le squadre con molti contagi, regolati dalle nuove decisioni della Lega Serie A.
Sul fronte del governo, invece, quando il ministro dello Sport Spadafora ha sostenuto che «alle autorità sanitarie locali è demandata una chiara responsabilità e una precisa azione di vigilanza», ha fatto un’affermazione sostanzialmente corretta. Ma è innegabile che da un punto di vista sportivo resta il problema di come conciliare le singole direttive delle autorità sanitarie locali con un regolare svolgimento del campionato di Serie A. Difficilmente, come sostenuto da Spadafora,«spetta ora agli organismi sportivi decidere sugli aspetti specifici del campionato»: come abbiamo visto, le decisioni degli organismi sportivi non possono comunque prevalere su quelle delle autorità sanitarie
Da un lato resta poi possibile, come abbiamo visto, il ricorso al Tar del Napoli, e dunque l’intervento della giustizia non sportiva; dall’altro lato, sembrano troppi gli elementi che gettano dubbi su un futuro “tranquillo” della Serie A. A cominciare dalle scelte già prese gli scorsi giorni.
Per esempio, perché il 4 ottobre non si è potuta giocare la partita tra Juventus e Napoli, mentre il 27 settembre quella tra Napoli e Genoa sì, nonostante la positività rilevata nel Genoa? Oppure, perché si sono giocate ben tre partite del Milan, che dopo la positività dell’attaccante Zlatan Ibrahimovic del 25 settembre e quella del 23 settembre del difensore Leo Duarte, si è presentato a Crotone il 27 settembre, in Europa League in Portogallo il 1° ottobre e a Milano contro il La Spezia il 4 ottobre?
Si può rispondere: perché le disposizioni del Cts e del Ministero della Salute lo permettevano. E perché le autorità sanitarie locali non hanno evidenziato rischi per la salute delle persone, tali da non opporsi all’isolamento “leggero”, mentre il caso del Napoli sarebbe diverso.
La Campania negli ultimi giorni ha infatti registrato i numeri peggiori per quanto riguarda l’epidemia nel nostro Paese, ma è anche vero che un discorso analogo valeva anche per la Liguria una settimana fa. I numeri liguri sono così preoccupanti che la regione è stata inserita dalla Svizzera nella lista rossa delle aree a rischio, imponendo l’isolamento a chiunque arrivi da quei territori.
Se da un punto di vista normativo, le regole sembrano chiare – le autorità sanitarie locali hanno l’ultima parola – discorso diverso vale dunque per il piano sportivo, come hanno sottolineato alcuni esperti del settore.
Con questo precedente del Napoli, «si apre la strada al moltiplicarsi di interventi delle Asl, che a questo punto potrebbero sentirsi in dovere di bloccare qualunque altro match (non solo in Serie A e non solo nel calcio) in presenza di contagiati e condizioni ritenute rischiose», ha scritto il 5 ottobre Marco Bellinazzo su Il Sole 24 Ore. «Urge un intervento chiarificatore che coinvolga istituzioni sportive, governo e Regioni per non distruggere quanto fin qui fatto per far ripartire lo sport e allo stesso tempo salvaguardare il bene superiore della salute pubblica».
Ricordiamo che il Cts aveva concesso l’eccezione dell’isolamento “leggero” a giugno, vista l’«evoluzione epidemica favorevole». Oggi lo scenario dell’epidemia è decisamente peggiore, rispetto all’estate, ma resta l’elemento discrezionale delle singole autorità sanitarie (l’isolamento “leggero” non viene concesso, per esempio, se una regione ha numeri preoccupanti? O un’area specifica?).
Al momento, il ministro Spadafora ha sottolineato che le regole per ora vanno bene così, mentre il presidente della Figc Gabriele Gravina ha detto che «se il protocollo viene rispettato nella sua integrità da tutti, possiamo essere tranquilli che il campionato di calcio si potrà disputare in condizioni di sicurezza». Ma così si rimanda la questione al problema visto in precedenza: ossia il rischio che la discrezionalità delle singole Asl – supportato, bene ricordarlo, dalle norme e dallo sviluppo dell’epidemia – possa influenzare lo sviluppo del campionato.
In conclusione
Il 4 ottobre si sarebbe dovuta giocare la partita di Seria A Juventus-Napoli, non disputata perché la squadra partenopea non si è recata allo stadio di Torino.
È nato subito uno scontro: secondo la Juventus le regole consentivano lo svolgimento della partita, mentre secondo il Napoli – che ha due casi di coronavirus in squadra – sono state le autorità sanitarie locali a bloccare la partenza dei giocatori partenopei.
Nel dibattito sono intervenuti anche alcuni politici, come Matteo Salvini e il ministro Vincenzo Spadafora. Il primo ha lasciato intendere che le regole erano a favore dello svolgimento della partita, mentre il secondo ha sì difeso l’operato delle autorità, ma anche lasciato la palla alle società calcistiche per risolvere l’attuale impasse.
Abbiamo verificato che cosa dicono le regole e se il quadro è abbastanza chiaro dal punto di vista normativo, lo è meno da quello sportivo.
È vero che in caso di una o più positività, le squadre di Serie A possono seguire un isolamento “leggero” e continuare ad allenarsi e giocare le partite. Il rinvio di un incontro può avvenire solo se una squadra ha meno di 13 giocatori disponibili. L’ultima parola su queste disposizioni spetta sempre alle autorità sanitarie locali.
Da un lato, a differenza di quello che dice Salvini, nel caso di Juventus-Napoli, le regole imponevano di non giocare la partita, dal momento che le autorità hanno bloccato per motivi di salute pubblica la partenza del Napoli.
Dall’altro lato, non è chiaro da un punto di vista sportivo come le squadre di Serie A possano consentire da sole, sulla base delle vigenti regole, il regolare svolgimento del campionato, come lasciato intendere da Spadafora.
Il rischio concreto, infatti, è che senza un aggiornamento dei protocolli concordato con gli organi scientifici e il Ministero della Salute, la discrezionalità delle autorità sanitarie locali possa portare a decisioni diverse a livello nazionale.
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