L’aggressore del capotreno di Genova non è libero: Salvini non dice la verità

Ce l’ha confermato la sua avvocata, smentendo quanto scritto dal leader della Lega
Pagella Politica
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Il 10 marzo il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha scritto sui social network che Fares Kamel Salem al Shahhat, il ventunenne che a novembre 2024 ha accoltellato un capotreno in una stazione di Genova, «è già libero». Secondo Salvini, l’uomo se la sarebbe cavata con «due lettere di scuse e un minirisarcimento». 
«Indegno. Questa NON è giustizia», ha commentato il leader della Lega. Le cose però non stanno come ha scritto Salvini: non è vero che l’aggressore del capotreno è in libertà, e non è vero che è stato punito solo con le scuse e un risarcimento.

L’aggressione

Ricostruiamo brevemente la vicenda. Il 4 novembre 2024 al Shahhat stava viaggiando su un treno regionale senza biglietto, insieme a una ragazza minorenne. Scoperti dal capotreno Rosario Ventura, erano stati invitati a scendere in una stazione di Genova. Secondo le ricostruzioni, la ragazza aveva sputato in faccia al capotreno e lo aveva colpito al volto. Una volta scesi dal convoglio insieme al capotreno, al Shahhat l’aveva accoltellato ed era stato arrestato dopo essere scappato. «Piena solidarietà al ferito, attualmente in gravi condizioni», aveva commentato Salvini su X. «E ora nessuna clemenza per i responsabili: gesti del genere non devono rimanere impuniti».

Il giorno successivo all’aggressione, il capotreno era stato dimesso con una prognosi di 14 giorni e alcuni sindacati avevano indetto uno sciopero di otto ore del personale ferroviario per protestare contro le numerose aggressioni subite.

Il patteggiamento

Secondo Salvini, ora che sono passati più di quattro mesi dall’aggressione, al Shahhat è già tornato in libertà, dopo aver scritto «due lettere di scuse» al capotreno e averlo risarcito con «un minirisarcimento».

La fonte citata nel post dal leader della Lega è un articolo pubblicato il 10 marzo dal quotidiano Il Giornale. Qui si legge che l’aggressore ha inviato al capotreno «due lettere di scuse» e ha versato «un risarcimento da mille euro».

Lo stesso articolo, però, cita una prima informazione importante, omessa da Salvini: la Procura di Genova ha accolto la richiesta di patteggiamento fatta da al Shahhat, per il reato «di lesioni e interruzione di pubblico servizio, che prevede una pena sotto i tre anni». Con il patteggiamento l’accusa e la difesa si accordano sulla pena, chiedendo al giudice di approvare il loro accordo. In particolare, l’imputato rinuncia ad affrontare il processo nelle forme ordinarie e, allo stesso tempo, rinuncia a fruire delle garanzie e dei diritti della difesa che trovano espressione nel processo.

La pena a tre anni di carcere è stata confermata poi l’11 marzo, il giorno dopo il post di Salvini, dalla giudice del Tribunale di Genova Silvia Carpanini. L’indagine nei confronti della ragazza minorenne, che viaggiava sul treno con al Shahhat, è ancora aperta presso il Tribunale per i minorenni di Genova.

L’aggressore è in carcere

C’è un altro errore fattuale nel post di Salvini: non è vero che l’aggressore del capotreno è già libero. 

L’avvocata che ha seguito il caso di al Shahhat, che si chiama Celeste Pallini e non «Clemente Pallini», come hanno scritto molti in questi giorni, ha spiegato a Pagella Politica che il suo assistito «è in carcere a Marassi». La Casa circondariale di Genova Marassi è un carcere che si trova, appunto, a Marassi, un quartiere del capoluogo ligure. 

L’avvocata Pallini ha chiarito che, dopo essere stato in carcere, l’aggressore «è stato messo agli arresti domiciliari, poi è venuta meno la possibilità di avere un domicilio e quindi è tornato in carcere», dove si trova tutt’ora. E dove si trovava il 10 marzo, giorno del post di Salvini.

Alcuni quotidiani, dando la notizia della conferma del patteggiamento, hanno ipotizzato che l’aggressore del capotreno possa chiedere di nuovo gli arresti domiciliari o la cosiddetta “messa alla prova”. Quest’ultima è una misura che permette all’imputato di svolgere lavori di pubblica utilità: se completata con successo, il reato viene estinto e si evita il carcere. Al momento della pubblicazione di questo articolo, queste ipotesi non sono ancora state confermate.

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