Il 19 febbraio, ospite a Porta a Porta su Rai1, il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha commentato l’ipotesi di voto anticipato, dicendo (min. -51:04) che «anche se si rompesse la maggioranza di governo […] non si può votare fino più o meno all’autunno».
La causa, secondo l’ex presidente del Consiglio, sarebbe il «referendum sulla riduzione dei parlamentari e la conseguente ridefinizione dei collegi elettorali».
«Per altro non si è mai votato in autunno nella storia repubblicana – ha poi aggiunto Renzi – quindi è presumibile pensare che fino al 2021 non si voti».
Ma le cose stanno davvero così? Analizziamo punto per punto l’eventuale scenario in cui si dovesse aprire una crisi di governo.
Il referendum sul taglio dei parlamentari
Il 28 gennaio 2020, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato un decreto con cui è diventata ufficiale la data per il referendum confermativo (che non necessita del quorum) sulla riforma costituzionale per il taglio dei parlamentari: il 29 marzo 2020.
Se il governo cadesse domani, non ci fossero altre maggioranze possibili e prima del 29 marzo venissero sciolte le Camere e indette elezioni anticipate, in base all’articolo 34 della legge n. 352 del 1970 il referendum verrebbe sospeso e rinviato automaticamente a 365 giorni dopo le elezioni. Questo sembra uno scenario poco realistico, anche considerato il poco tempo che manca alla data fissata per il referendum e le probabili resistenze del Quirinale, ma non è comunque vero che sia “impossibile” a livello teorico votare prima dell’autunno.
Ipotizziamo comunque che, come sembra probabile, la data del 29 marzo sia troppo ravvicinata per consentire a questo Parlamento di far cadere il governo, rifiutare di sostenere un governo di scopo per affrontare il referendum, e quindi obbligare il presidente della Repubblica a indire elezioni anticipate che avrebbero l’effetto di far slittare la data prevista per il referendum.
Secondo i sondaggi più recenti, la stragrande maggioranza degli elettori sarebbe propensa per il sì alla riduzione del numero di deputati e senatori (da 945 a 600 parlamentari eletti).
Il testo del disegno di legge di riforma costituzionale, approvato definitivamente in seconda lettura dalla Camera a ottobre 2019, stabilisce (articolo 4) che, in caso di vittoria dei “sì” nel referendum, il taglio dei parlamentari diventerà effettivo dopo la data del primo scioglimento delle Camere, ma «comunque non prima che siano decorsi 60 giorni dalla predetta data di entrata in vigore».
Come spiega un dossier del Parlamento, «la previsione del termine di 60 giorni è volta a “consentire l’adozione del decreto legislativo in materia di determinazione dei collegi elettorali”, come emerso nel corso del dibattito parlamentare».
Dunque, se al referendum di fine marzo prossimo vincessero i sì, bisognerà comunque aspettare altri due mesi per poter sciogliere eventualmente le Camere.
Le scadenze e il voto in autunno
Come abbiamo spiegato durante la crisi di governo di agosto 2019, una volta sciolte le Camere, le nuove elezioni devono tenersi entro un minimo di 60 giorni e un massimo di 70 giorni. Queste sono le scadenze tecniche da rispettare per tornare alle urne.
In sostanza, dal sì al referendum bisognerebbe aspettare almeno quattro mesi prima di andare al voto. Ci troveremmo così in piena estate.
Si potrebbe, per esempio, votare legittimamente ad agosto 2020, ma questa resta solo un’ipotesi di scuola: durante le vacanze estive, l’esercizio del voto in questo mese dell’anno sarebbe difficile per moltissimi elettori italiani.
La prima data più plausibile sarebbe dunque la domenica del 6 settembre 2020, a pochi giorni dall’inizio dell’autunno. Altrimenti si potrebbe votare in quelle successive. Ma si è mai votato in questo periodo dell’anno? La risposta è no. Le 18 elezioni politiche – dal 1948 a oggi – si sono tenute sempre nella prima metà dell’anno: tra febbraio (una volta, il 24 febbraio 2013) e giugno (cinque volte, con la data più “lontana” il 26 giugno 1983). Mai dunque a settembre o in autunno, come ricordato da Renzi.
Bisogna però sottolineare che, in base alla Costituzione, si può votare in qualsiasi periodo e giorno dell’anno, quindi l’assenza di precedenti rende «presumibile», come dice l’ex presidente del Consiglio, che si andrà a votare nel 2021, ma non è impossibile che questo avvenga prima. Il rischio di posticipare il voto ad autunno inoltrato è quello di non rispettare le scadenze con l’Ue per l’approvazione della legge di Bilancio, finendo dunque in esercizio provvisorio.
Ovviamente, se a marzo vincesse il no al referendum e se si sciogliessero successivamente le Camere, si potrebbe andare al voto entro i 60-70 giorni previsti dalle scadenze tecniche, dal momento che non servirebbero più i due mesi per ridisegnare i collegi elettorali. Ma questo esito elettorale sembra improbabile.
Il verdetto
Secondo Matteo Renzi, se il governo dovesse cadere, non si potrebbe andare a votare più o meno fino all’autunno. Il leader di Italia Viva ha poi aggiunto che, sempre in caso di crisi dell’esecutivo e in assenza di altre maggioranze, è «presumibile» che le elezioni saranno indette nel 2021.
In sintesi, non è vero che sia teoricamente impossibile andare al voto prima dell’autunno, e a maggior ragione prima del 2021. In concreto, viste le tempistiche e le prassi, è però praticamente certo che non si potrebbe votare prima dell’autunno e anche votare nella seconda metà dell’anno in corso sarebbe un inedito nella storia repubblicana che porrebbe una serie di problemi.
“C’eri quasi” per Renzi.
«Da quando c’è questo governo, abbiamo votato in 11 tra regioni e province autonome, forse 12 tra regioni e province autonome. È finita 11 a uno»
30 ottobre 2024
Fonte:
Cinque minuti – Rai 1