Il leader della Lega Matteo Salvini, ospite a Radio Anch’io su Rai Radio 1 il 20 maggio, ha affermato (min. 31:57) che il Recovery Fund proposto da Francia e Germania il 18 maggio «è un prestito, non sono soldi a fondo perduto (…) è un prestito, come il Mes, è un prestito».
L’affermazione è sbagliata: ci può essere un margine di interpretazione su cosa si intenda con “prestito”, ma il parallelo con il Mes – che invece è un prestito a tutti gli effetti – rende la dichiarazione più scorretta.
Andiamo a vedere i dettagli.
Il Mes è un prestito
Come abbiamo scritto in una nostra precedente analisi, il nuovo strumento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), chiamato Pandemic crisis support e a cui fa probabilmente riferimento Salvini, si concretizza in effetti in prestiti agli Stati. Anche gli altri strumenti del Mes, preesistenti alla pandemia di nuovo coronavirus, sono dei prestiti.
Più precisamente, tramite il Pandemic crisis support lo Stato può chiedere che gli vengano prestate risorse pari al massimo al 2 per cento del suo Pil nel 2019 (per l’Italia circa 36 miliardi di euro), a condizione di impiegarle in spese sanitarie direttamente o indirettamente collegate all’emergenza creata dalla pandemia di Covid-19.
Questi soldi, secondo quanto si legge sul sito del Mes stesso, devono essere spesi in due anni e restituiti – con tassi di interesse particolarmente vantaggiosi – nei dieci anni successivi.
Insomma, sul fatto che il nuovo strumento del Mes si concretizzi in prestiti agli Stati non c’è alcun dubbio. Si tratterebbe di cifre da contabilizzare nel debito pubblico nazionale, per esempio.
Lo stesso non si può però dire del Recovery Fund proposto da Angela Merkel e Emmanuel Macron.
Come funziona la proposta di Recovery Fund
Come si legge nel comunicato stampa congiunto franco-tedesco, il Recovery Fund si inserirebbe nel bilancio pluriennale della Ue (il Multiannual financial framework, o Mff) e ne aumenterebbe la potenza di fuoco durante i suoi primi anni di funzionamento. Il bilancio pluriennale della Ue 2021-2027 poteva contare, nella proposta della Commissione di dicembre 2019 su cui stavano trattando gli Stati membri prima dell’epidemia di Covid-19, su risorse per 1.087 miliardi di euro. I 500 miliardi proposti da Berlino e Parigi per il Recovery Fund aumenterebbero insomma questo bilancio quasi del 50 per cento. Se poi venissero usati soprattutto nei primi anni, l’aumento percentuale potrebbe anche essere più consistente.
Per quanto riguarda dove reperire le risorse da impiegare, si legge ancora, «Francia e Germania propongono di consentire alla Commissione europea di finanziare questo recovery support tramite indebitamento sui mercati per conto dell’Ue».
I 500 miliardi che verrebbero così reperiti a debito dalla Ue sui mercati, verrebbero poi destinati ai settori e alle regioni maggiormente colpiti dalla crisi causata dalla pandemia, come ad esempio l’Italia, tramite i programmi del budget dell’Ue – come ad esempio i fondi coesione o sviluppo regionale – e in linea con le sue priorità (in particolare, transizione digitale ed ecologica).
Quindi, in parole semplici, l’Ue reperisce 500 miliardi di euro creando debito che vende sui mercati. Poi distribuisce quei soldi agli Stati in base a chi ne ha maggiormente bisogno per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia (ad esempio, l’Italia di più e la Germania di meno).
Chi paga?
Ma, e veniamo qui al punto centrale della questione, gli Stati che ricevono questi soldi, poi li dovrebbero restituire?
La risposta è “non direttamente” e soprattutto non proporzionalmente. Secondo la proposta franco-tedesca, infatti, il debito creato per finanziare il Recovery Fund andrebbe rimborsato attraverso un piano di rientro che si proietti anche oltre la durata del bilancio pluriennale dell’Ue.
Su come questo si tradurrà in concreto ci sono ancora margini di incertezza ma, come ha spiegato ad esempio l’analista dell’Economist Intelligence Unit – la divisione di ricerca e analisi del gruppo Economist – Ana Andrade alla Cnbc il 18 maggio stesso, le possibilità sono sostanzialmente due: la Ue potrà creare nuove risorse proprie, come ad esempio la web tax, oppure gli Stati dovranno finanziare tramite propri contributi il rimborso del debito fatto dalla Ue per finanziare il Recovery Fund.
Una posizione analoga è stata espressa su Twitter anche da David Carretta, giornalista di Radio Radicale esperto di istituzioni comunitarie: «Il debito Ue si ripaga nel lungo periodo con bilancio Ue finanziato con risorse proprie e contributi nazionali».
Anche nel caso venissero utilizzati i contributi nazionali per ripagare nel lungo termine il debito fatto dalla Ue, e non le risorse proprie, non sarebbe comunque corretto parlare di “prestito” per le risorse erogate dal Recovery Fund tramite i programmi del bilancio della Ue.
Se infatti i contributi degli Stati fossero, come accade per il bilancio Ue e anche per il Mes, collegati ai rispettivi Pil, la Germania contribuirebbe più di tutti, seguita dalla Francia. Ma visto che, come abbiamo detto, i 500 miliardi verrebbero distribuiti in base a chi è stato più colpito dalla crisi, certamente la Germania non sarebbe la prima beneficiaria e probabilmente la Francia non sarebbe la seconda.
Abbiamo appena citato, nuovamente, il Mes. Evidenziamo allora le principali differenze con il Recovery Fund proposto da Germania e Francia: il capitale del Mes è costituito direttamente dai contributi dei vari Stati (collegati al Pil); il capitale del Recovery Fund verrebbe costituito da emissione di debito da parte dell’Unione europea, il cui costo di rimborso negli anni a venire potrebbe essere messo – in parte o integralmente – a carico degli Stati membri. Il Mes, soprattutto, serve in effetti per garantire prestiti agli Stati membri in difficoltà economica; il Recovery Fund servirebbe per iniettare 500 miliardi nel bilancio dell’Unione europea, che vengano spesi nei settori e nei Paesi più colpiti dalla crisi causata dalla pandemia.
Tiriamo le fila
Quindi, ricapitolando, uno Stato che chiede assistenza al Mes sta in effetti chiedendo un prestito (anche tramite il nuovo strumento, pensato per rispondere all’emergenza Covid-19, del Pandemic crisis support), mentre uno Stato che riceva assistenza dal Recovery Fund sta ricevendo un trasferimento di risorse non diverso da quelli che vengono dati normalmente dall’Ue tramite i suoi programmi inseriti nel bilancio Ue (ad esempio, i fondi per l’agricoltura o per la coesione).
È vero che il debito contratto dalla Ue per dotare di 500 miliardi di euro il Recovery Fund debba essere prima o poi ripagato, e che questo costo potrebbe ricadere in parte sugli Stati. Sui dettagli tecnici non ci sono ancora certezze. Ma se anche ricadesse per intero e in modo proporzionale alla ricchezza di ogni singolo Paese, non ci sarebbe però proporzione tra quanto ricevuto tramite il Recovery Fund (che dà di più a chi viene colpito di più dalla crisi causata dalla pandemia) e quanto versato per finanziare il ripagamento del debito contratto dalla Ue.
Il debito, poi, resterebbe formalmente in capo all’Unione europea e non ai singoli Stati nazionali. Siamo di fronte a un meccanismo redistributivo, almeno in parte: e questo perché ci sarebbe una differenza, in favore dei Paesi più colpiti, tra il contributo ricevuto da ogni Paese e quanto dovrà essere restituito per il pagamento degli interessi e il rimborso del debito. E questo è il motivo per cui alcuni Paesi del Nord Europa sono contrari alla proposta.
Il verdetto
Matteo Salvini ha dichiarato il 20 maggio che il Recovery Fund è un prestito, come il Mes. Si tratta di un’affermazione sbagliata, in senso stretto. I soldi che uno Stato potrebbe ricevere tramite il Mes, in particolare tramite il nuovo strumento del Mes Pandemic crisis support, sono in effetti un prestito che va restituito. I soldi che uno Stato riceverebbe tramite il Recovery Fund, per come è stato delineato dalla proposta franco-tedesca, sarebbero invece distribuiti tramite il bilancio dell’Ue, in base a chi ne ha maggiore necessità. Non andrebbero restituiti direttamente (chi ha ricevuto 100 non dovrà restituire 100 più gli interessi, per intenderci) e quindi è sbagliato parlare di “prestito”.
Salvini ha comunque ragione nel dire che non si tratta di soldi dati «a fondo perduto». Gli Stati, anche quelli che hanno ricevuto aiuto dal Recovery Fund, sarebbero chiamati in futuro a contribuire con risorse proprie per sostenere il costo del debito da 500 miliardi che l’Ue dovrebbe contrarre sui mercati per dare le risorse iniziali al Recovery Fund stesso. Per Salvini, dunque, un “Nì”.
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7 dicembre 2024
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