In un post pubblicato sul profilo Facebook di +Europa, l’ex deputato Andrea Mazziotti ha lanciato una provocazione. Secondo l’esponente politico, parlamentare nella scorsa legislatura con Scelta Civica, l’aumento del tasso di interesse dei BTP italiani – che si sarebbe verificato dall’insediamento del nuovo governo – comporterebbe una spesa annuale superiore al costo netto di partecipazione del nostro Paese all’Unione Europea.
La maggior spesa per i BTP ammonterebbe, secondo Mazziotti, a 2,5 miliardi di euro annui, contro i 2 miliardi spesi per essere membri dell’Unione (pari alla differenza tra l’ammontare dei contributi versati dall’Italia e i fondi ricevuti dall’UE).
Vediamo cosa c’è di vero, punto per punto, in quest’affermazione.
Che cos’è un BTP?
I Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) sono titoli di credito di medio-lungo termine che hanno scadenze diverse: 3, 5, 7, 10, 15, 30 e – dal 2016 – 50 anni. Sono caratterizzati da cedole fisse semestrali: questo significa che, a differenza di altri titoli di stato quali i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), la remunerazione che si ottiene non è dovuta solo alla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita, ma anche da una percentuale fissa che viene versata ogni sei mesi al possessore del BTP.
I Buoni del Tesoro Poliennali costituiscono quindi uno specifico tipo di obbligazione e sono solo una delle diverse categorie di titoli emesse ogni anno dal Dipartimento del Tesoro del Ministero delle Finanze.
Il tasso dei BTP
Non esiste un solo “tasso dei BTP”, anche se di solito il titolo a cui si fa riferimento – ad esempio per calcolare il famoso spread, ma questa è un’altra storia – è quello con scadenza a dieci anni (lo stesso a cui, come vedremo, si riferisce Mazziotti).
Ad ogni modo, ogni titolo possiede un diverso tasso a seconda della scadenza: il BTP a 3 anni non ha lo stesso rendimento, come è logico che sia, di quello a 15. Lo stesso rendimento, poi, varia periodicamente: a scadenza regolare il Ministero tiene delle aste pubbliche – questo è il calendario per il 2018 – nelle quali le diverse categorie di BTP vengono messe all’asta. L’incontro tra domanda e offerta ne determina il prezzo e, di conseguenza, il tasso di interesse.
Quest’ultimo dunque non è fisso, bensì varia da asta in asta e da titolo a titolo. Per fare un esempio, il BTP a 3 anni ha un tasso che varia sia nel corso del tempo – in base a un meccanismo di prezzo/quantità – sia rispetto ai BTP con scadenze diverse dai 3 anni – con tassi che solitamente crescono all’aumentare della scadenza.
L’ammontare dei BTP emessi ogni anno non è di 400 miliardi
I BTP venduti ogni anno ammontano all’incirca a 170 miliardi di euro. Nello specifico, come riportato dal Dipartimento del Tesoro, equivalevano a 173,15 miliardi nel 2017, 170,22 nel 2016 e 164,56 nel 2015.
Ciò che invece si aggira intorno a 400 miliardi, cifra cui fa riferimento Mazziotti, è il totale di tutte le categorie di titoli di stato italiani (BOT, CTZ 2°, BTP ITALIA, BTP, BTP €i e CCTeu) emesse sul mercato dal Dipartimento del Tesoro annualmente e acquistate dagli investitori (vedi qui sotto i dati per il 2017).
Tabella 1: Totale dei titoli emessi dal Tesoro nel 2017 per categoria – Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro
I BTP a dieci anni
A supporto della sua dichiarazione, il post firmato da Mazziotti allega l’immagine sottostante.
Grafico 1: Andamento dei BTP italiani con scadenza 10 anni – Fonte: Andrea Mazziotti, pagina Facebook di +Europa
Come si può vedere dalla sigla in alto a destra (GTITL10YR) questo grafico si riferisce all’andamento di una particolare categoria di BTP nei mercati finanziari, quella dei BTP con scadenza a 10 anni. Mazziotti si concentra solo su questi, ma nel 2017 i BTP a 10 anni hanno rappresentato solamente il 20,6% di tutti i BTP venduti in quell’anno – e l’8,4% del totale dei titoli di Stato, come si può facilmente vedere dalla tabella riportata più in alto.
Come calcolare l’andamento dei tassi dei BTP
Il modo più corretto per riassumere le fluttuazioni dei tassi dei BTP è quello di prendere una categoria di Buono del Tesoro Poliennale (ad esempio il BTP a 10 anni), registrarne i tassi per un dato periodo e fare una media ponderata con i tassi di tutti gli altri BTP a diversa scadenza, utilizzando come peso il volume d’acquisto di ogni categoria di titoli nel corso di quello stesso periodo.
È un’operazione complicata che solitamente il Dipartimento del Tesoro compie alla fine di ogni anno. Tramite questo calcolo, il Dipartimento ha stabilito che nel 2017 la media ponderata del tasso di tutti i BTP era pari a 1,55%, mentre il tasso medio ponderato dei BTP a 10 anni venduti nel corso dell’anno equivaleva al 2,14%.
Se quindi intendiamo letteralmente la frase di Mazziotti – e quindi quanto sono aumentati i rendimenti di tutti i BTP a partire dal 1° giugno -, si dovrebbe calcolare la media delle variazioni dei tassi di ogni categoria di BTP (scadenza a 3, 5, 7, 10, 15, 30 e 50 anni) e pesarla con il volume di vendita di ogni categoria di BTP registrata nei mercati finanziari a partire da quel giorno. Ma limitiamoci all’andamento del titolo a dieci anni: in quel caso, come mostra anche il grafico, l’aumento dei tassi dei BTP a 10 anni dal 1° giugno riportato è corretto.
La stima di 2,5 miliardi
Il ragionamento di Mazziotti è: poiché il rendimento dei BTP a 10 anni è aumentato dello 0,6 per cento, e lo Stato emette circa 400 miliardi di debito l’anno, un aumento dello 0,6 per cento corrisponde a un costo di circa 2,5 miliardi in più.
Ma, come abbiamo visto, l’aumento dal 2,5% al 3,1% riguarda una sola categoria di titoli di stato (i BTP), e solo di un tipo di titoli di questa categoria (il BTP con scadenza a 10 anni). Mazziotti generalizza a partire da una parte minoritaria dei titoli di stato emessi ogni anno dal Dipartimento del Tesoro. Ricordiamo infatti che i BTP con scadenza a 10 anni costituivano solo l’8,5% circa di tutte le obbligazioni italiane acquistate sui mercati nel 2017, pari a 35,75 miliardi.
Per questo motivo, se questo incremento dei tassi dello 0,6% dovesse persistere fino alla fine dell’anno, esso costituirebbe una spesa maggiore di 200 milioni di euro circa. Questi equivalgono infatti ad un aumento dello 0,6% del tasso dei BTP a 10 anni, ipotizzando che il volume di vendita del 2018 si aggiri intorno a quello del 2017 (35,75 miliardi di euro). Naturalmente, ai 200 milioni bisognerebbe aggiungere separatamente i costi degli assai probabili aumenti paralleli degli altri titoli di Stato italiani.
Ma possiamo stimare quanto sia aumentato – se è aumentato – il costo medio del debito pubblico italiano negli ultimi mesi?
Non precisamente, ma abbiamo qualche indizio. Il Dipartimento del Tesoro ha pubblicato infatti un grafico (riportato sotto) che riporta il tasso medio all’emissione dei titoli di Stato dal 1990 alla fine di giugno del 2018. Questo viene calcolato come la media dei tassi di tutte le obbligazioni emesse dal nostro Stato, pesata per il volume di vendita. Questa estrema semplificazione ci aiuta ad apprezzare come il nostro paese abbia di anno in anno pagato interessi mediamente minori rispetto all’anno precedente.
Il grafico include i dati dal 1° gennaio al 30 giugno 2018, “coprendo” quindi anche il primo mese di insediamento del nuovo governo. Si scopre che, rispetto al 2017, il tasso medio nei primi sei mesi dell’anno è aumentato di appena lo 0,07%, passando dallo 0,68 allo 0,75 per cento.
Se l’incremento dello 0,07% del giugno 2018 rispetto all’anno 2017 continuerà fino alla fine dell’anno, l’aumento assoluto di spesa per lo Stato sarebbe marginale. Se assumessimo infatti per il 2018 un ammontare di titoli venduti pari al valore di quelli emessi nel 2017 (413,68 miliardi), un aumento dello 0,07% costituirebbe un maggiore esborso per lo Stato di soli 30 milioni di euro.
Grafico 2: Tasso medio all’emissione dei titoli di stato dal 1990 a oggi – Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro
Quanto spende e versa l’Italia all’Unione Europea
Nonostante il ragionamento dell’ex deputato abbia quindi più di un difetto, andiamo a verificare se le cifre da lui citate riguardo alla spesa che l’Italia sostiene annualmente per partecipare all’Unione Europea sono corrette.
Se facciamo riferimento ai dati della Commissione Europea, possiamo constatare come l’Italia nel 2017 abbia versato all’UE una quantità di contributi poco superiore a 12 miliardi di euro, ricevendone indietro all’incirca 9,8 (-2,2 miliardi). Una differenza che si avvicina molto ai 2 miliardi citati dal membro del consiglio di +Europa.
Grafico 3: Totale dei contributi versati dall’Italia all’Unione Europea per il 2017 – Fonte: Commissione Europea
Grafico 4: Totale dei fondi trasferiti all’Italia dall’Unione Europea per il 2017 – Fonte: Commissione Europea
Il verdetto
L’ex deputato Andrea Mazziotti ha affermato che l’aumento del tasso dei BTP dello 0,6% dal 1° giugno 2018 (data del giuramento del governo Conte) costerà al Paese, quest’anno, 2,5 miliardi di euro di maggiori interessi sul debito. Questa cifra, calcolata sui 400 miliardi di debito emesso annualmente dal Dipartimento del Tesoro, supererebbe i 2 miliardi che l’Italia versa ogni anno all’Unione Europea in qualità di membro.
I dati evidenziano come l’aumento dello 0,6% citato da Mazziotti riguardi solo una parte minoritaria dei titoli di Stato (circa l’8,5% del totale, se guardiamo ai numeri del 2017) e non l’intero ammontare emesso ogni anno dal Dipartimento del Tesoro. Non si può essere certi che questa crescita nei tassi persista nel tempo e generalizzare a partire dai soli BTP a 10 anni sembra un’operazione ardita. L’eventuale maggior spesa per interessi deve tener conto anche di tutti gli altri numerosi titoli emessi dallo Stato italiano.
Dunque, sebbene la differenza tra ciò che versiamo e ciò che riceviamo dall’Unione si aggiri intorno ai 2 miliardi citati dall’ex-deputato Mazziotti, il paragone non ha base molto solida. Per questa ragione l’esponente di +Europa merita un “Nì”.