Il 1° giugno, in un ricevimento al Quirinale, il leader della Lega Matteo Salvini ha detto ai giornalisti: «Chiedo solo di rispettare il Contratto di governo. L’autonomia c’è, la flat tax c’è, il decreto sicurezza bis c’è. E sulla Tav il progetto è stato rivisto e rifinanziato».

Ma tutti questi temi sono davvero nell’accordo firmato tra Lega e M5s oltre un anno fa? Con Traccia il Contratto – il nuovo progetto di Pagella Politica – abbiamo verificato quanto c’è di vero nella dichiarazione del ministro dell’Interno.

Più autonomia alle regioni

Una parte del Capitolo 20 del Contratto di governo è dedicata alla questione dell’autonomia regionale.

In particolare, il testo stabilisce che «sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell’agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte».

Infatti, la Costituzione – come modificata con la riforma del Titolo V nel 2001 – consente ad alcune amministrazioni regionali di ottenere poteri diversi dalle altre, su una serie di competenze che vanno dall’ordine pubblico alla tutela ambientale.

La cosiddetta “autonomia differenziata” (chiamata anche “regionalismo asimmetrico”) può diventare effettiva però solo dopo una trattativa con lo Stato. Negli ultimi mesi, questo tema – caro soprattutto alla Lega – è tornato d’attualità perché il governo è in fase di discussione con tre regioni che hanno fatto richiesta di maggiore autonomia: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Dopo un anno di lavoro, i due partiti di maggioranza non hanno ancora trovato una soluzione condivisa per trasformare gli accordi di pre-intesa (siglati a febbraio 2018 con il precedente governo) in una vera e propria concessione di maggiore autonomia alle tre regioni.

Una delle questioni centrali su cui Lega e M5s restano in disaccordo riguarda le risorse economiche: quanti soldi saranno assegnati alle regioni con più autonomia in base alle nuove competenze assegnate? Ad oggi, una risposta definitiva ancora non c’è: gli unici documenti ufficiali sono le bozze di accordo pubblicate il 25 febbraio 2019 dal Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie.

La promessa è quindi da ritenersi ancora non mantenuta, ma è vero che la concessione più autonomia ad alcune regioni è nei patti tra Lega e M5s.

Una tassa piatta per tutti

Uno dei temi centrali del capitolo del Contratto di governo dedicato al fisco è quello della cosiddetta flat tax. Con Traccia il Contratto abbiamo isolato tre promesse precise e verificabili su questa questione (tutte ancora non mantenute).

Lega e M5s infatti si sono impegnati ad approvare «una riforma fiscale caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse, con un sistema di deduzioni per garantire la progressività dell’imposta, in armonia con i principi costituzionali».

Il Contratto di governo non propone però l’introduzione di una vera e propria flat tax – ossia una sorta di “tassa piatta”, basata su una sola aliquota – di cui tanto si è parlato in campagna elettorale, quanto piuttosto di due aliquote fisse al 15 per cento e al 20 per cento per persone fisiche, partite Iva, imprese e famiglie.

La legge di Bilancio per il 2019 ha introdotto un’aliquota unica al 15 per cento per le partite Iva che hanno un reddito inferiore ai 65 mila euro all’anno (dal 2019) e una del 20 per cento per coloro che hanno un reddito tra i 65 mila e i 100 mila euro (dal 2020).

Il Documento di economia e finanza 2019 (Def) – pubblicato il 9 aprile 2019 – ha confermato che il governo intende continuare «il processo di riforma delle imposte sui redditi (“flat tax”) e di generale semplificazione del sistema fiscale» e di mantenere così una promessa che, al 3 giugno 2019, è da considerare ancora non mantenuta.

Come ha ribadito a fine maggio il capo politico del M5s Luigi Di Maio, il problema principale per trasformare in realtà la flat tax restano le coperture economiche, ma l’impegno è comunque stato concordato da entrambi nell’accordo di maggio 2018.

Il “decreto sicurezza bis” c’è nel Contratto?

Da circa un mese, uno degli argomenti più dibattuti all’interno della maggioranza riguarda il cosiddetto “decreto sicurezza bis”, un nuovo decreto legge che come quello approvato a ottobre 2018 – e convertito in legge a dicembre 2018 – si occuperebbe di ordine pubblico e immigrazione.

Ad oggi, il Consiglio dei ministri non ha ancora approvato un testo ufficiale delle nuove norme. Da settimane, però, circolano alcune bozze del decreto, il cui contenuto – secondo fonti stampa – è stato in parte modificato su richiesta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Tra le nuove misure, sembrano essere confermate sanzioni pecuniarie per le navi che violano il divieto d’ingresso in acque territoriali; l’aumento dei poteri del Ministero dell’Interno per «limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale»; il potenziamento delle operazioni sotto copertura; l’inasprimento delle pene per chi commette violenza contro i pubblici ufficiali; e l’istituzione di un nuovo fondo per potenziare i rimpatri.

Delle misure più contestate – ossia quelle pensate per limitare l’attività delle Ong nel Mediterraneo – non c’è però traccia nel Contratto di governo. Quest’ultimo infatti non parla né di sanzioni per chi viola i divieti d’ingresso nelle acque territoriali né di potenziare le competenze del Viminale in materia.

Delle 19 promesse sull’Immigrazione, al 3 giugno 2019 ne sono state mantenute tre, mentre per nove gli sforzi dell’esecutivo sono stati ancora insufficienti.

Tra le promesse in corso di realizzazione, ci sono invece un miglioramento in termini di numeri della politica dei rimpatri e l’aumento delle risorse a essi destinati, come previsto dalle bozze del decreto sicurezza bis.

Che cosa ne sarà della Tav

Sulla Tav Torino-Lione, il Contratto di governo è molto vago. Lega e M5s hanno infatti scritto che si impegnano «a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia».

Ma non è chiaro che cosa si intenda per «ridiscussione» e per «integralmente». Ad oggi, alcuni passi in avanti per la realizzazione della tratta ferroviaria sono comunque stati fatti.

Il 12 febbraio 2019, la commissione incaricata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato un’analisi costi-benefici secondo cui la Tav avrebbe più costi che benefici per lo Stato e la collettività.

L’11 marzo 2019, Telt – società responsabile della realizzazione della tratta al confine tra Italia e Francia – ha annunciato di aver pubblicato i cosiddetti avis de marchés (avvisi di interesse) relativi ai lotti francesi del tunnel di base (circa 45 chilometri di scavi). Trascorsi sei mesi, chi affida i bandi potrà comunque decidere di non procedere con le gare, senza oneri per nessuno.

In sostanza, il governo ha preso ancora tempo sulla realizzazione effettiva dell’opera, per ridiscuterne i termini con la Francia, ma ha dato comunque seguito a una procedura già prevista.

Il verdetto

Secondo Salvini, quattro temi che dividono la maggioranza sono tutti dentro al Contratto di governo. Il ministro dell’Interno è però impreciso.

L’autonomia differenziata è nell’accordo di governo, così come la flat tax (che, come abbiamo visto, flat tax non è). L’introduzione di un sistema fiscale basato su due aliquote è prevista dal Contratto ed è stata ribadita di recente anche dal Def.

Le misure più contestate del cosiddetto “decreto sicurezza bis” – che ad oggi resta soltanto una bozza di testo – non sono invece presenti nell’accordo tra Lega e M5s.

Infine, sulla Tav Torino-Lione, il Contratto è molto vago: è vero che il governo ha per il momento sbloccato la questione dei bandi di gara, ma il progetto non è stato «rivisto», o comunque modificato, come sostiene il leader della Lega.

In conclusione, Salvini merita un “Nì”.