In un’intervista al Corriere della Sera del 19 novembre, la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha detto, sul tema dell’età pensionabile, che “non dimentico che fu la Lega a introdurre con Maroni l’aggancio all’aspettativa di vita”. Il tema è particolarmente caldo perché proprio in questi giorni è in discussione, tra governo e sindacati, l’aumento dell’età pensionabile di 5 mesi per arrivare a 67 anni di età pensionabile.
Ma è stato davvero l’attuale governatore lombardo Roberto Maroni, ministro del Lavoro e delle politiche sociali dal 2001 al 2006 nel secondo e terzo governo Berlusconi, a introdurre a livello normativo questo collegamento?
Lo “scalone” di Maroni
Maroni fu autore di due riforme molto rilevanti, una sul tema del lavoro e una delle pensioni. Camusso si riferisce alla seconda (legge 243/2004 e D.lgs. 252/2005) del 2004-2005, che interveniva sulle forme di pensione complementari e sull’età pensionabile.
Per questo secondo aspetto, divenne nota come “scalone Maroni” perché mutò senza prevedere un passaggio graduale l’età pensionabile di tre anni, dai 57 ai 60, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
In particolare, la legge lasciava invariato il requisito contributivo minimo di 35 anni, ma modificava l’età minima per accedere alla pensione di anzianità, spostandola da 57 a 60 anni dal 2008, a 61 dal 2010 e a 62 dal 2014. Non fu invece cambiata la possibilità di poter accedere alla pensione di anzianità anche a un’età inferiore qualora fossero però stati maturati almeno 40 anni di contributi.
Lo stesso Maroni avrebbe poi dichiarato che la riforma gli era stata imposta dal ministro dell’economia Giulio Tremonti e dal leader della Lega Nord Umberto Bossi.
Dallo “scalone” agli “scalini”
Arrivati prossimi allo scatto nel 2007, i sindacati dopo dure contestazioni – quando a capo del governo c’era Romano Prodi e al Ministero del Lavoro Cesare Damiano – ottennero una modifica delle condizioni previste dallo “scalone”. Con il Protocollo sul Welfare (legge 247/2007) si stabilì che lo scarto improvviso di tre anni dell’età pensionabile (dai 57 ai 60) fosse sostituito da un meccanismo che prevedeva un aumento graduale nell’arco di quattro anni. Di fatto si passò da uno “scalone” a degli “scalini”, termine utilizzato per riferirsi alla nuova normativa.
La riforma Maroni del 2004-2005 aumentò gli anni necessari per andare in pensione con l’obiettivo principale di ridurre la spesa pensionistica. La premessa implicita era che l’aspettativa di vita si fosse allungata rispetto al passato, ma non venne istituito un aggancio automatico tra i due fattori.
Questo innalzamento dell’età pensionabile, peraltro, non era cosa nuova. Per limitarci solo ai primi interventi in quel senso, già la riforma Amato del 1992 – che introduceva nuovi metodi di calcolo dell’assegno, pur lasciando invariato il sistema retributivo – cominciò il graduale processo di aumento. Con la riforma Dini del 1995 vennero introdotti – insieme al nuovo sistema contributivo – coefficienti per il calcolo dell’assegno pensionistico che facevano riferimento ai dati di mortalità del 1990 e che, nelle intenzioni di quella legge, sarebbero dovuti essere rivisti ogni dieci anni.
Le pensioni e l’aspettativa di vita
A introdurre nell’ordinamento una norma che prevedeva l’aggancio automatico tra età pensionabile e aspettativa di vita fu invece, come riporta l’Inps, nel 2010 la riforma Sacconi, ministro del Lavoro del quarto governo Berlusconi.
Per la precisione a parlare di un aggancio tra aspettativa di vita ed età pensionabile era stato un decreto del 2009 (dl 78/2009), che rinviava a una successiva legge per la definizione delle norme attuative, quella appunto del 2010 (legge 174/2010), dove veniva specificato che a partire dal 2013 l’Istat avrebbe pubblicato “il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all’età corrispondente a 65 anni” e che proprio grazie a questo dato sarebbe stato possibile aggiornare i requisiti di età “incrementando i requisiti in vigore in misura pari all’incremento della predetta speranza di vita accertato dall’Istat in relazione al triennio di riferimento”.
La legge faceva anche una stima di adeguamento: incremento ogni triennio di tre mesi dal 2016, di quattro mesi dal 2019 al 2030 e di altri tre mesi dal 2033 al 2050 circa. L’aumento complessivo nell’arco di 35 anni sarebbe dunque dovuto essere di circa tre anni e mezzo. La Lega naturalmente era parte della coalizione di maggioranza che votò il provvedimento, ma Maroni era ministro dell’Interno e dunque non era il responsabile della riforma.
È vero che la prima riforma a introdurre aumenti progressivi nel tempo dell’età pensionabile fu la riforma Maroni del 2004, che imponeva oltre allo “scalone” da 57 a 60 anni nel 2008, anche il passaggio a 61 anni nel 2010 e a 62 anni nel 2014. Ma a introdurre l’aggancio automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita fu la riforma Sacconi del 2010, poi confermata con alcune modifiche dalla riforma Fornero del 2012 (legge 92/2012).
Il verdetto
Non è precisa Susanna Camusso quando dice che “fu la Lega a introdurre con Maroni l’aggancio [dell’età pensionabile] all’aspettativa di vita”, perché la riforma che sancì definitivamente un aggancio tra le due cose e un incremento automatico dell’età pensionabile sulla base dell’aspettativa di vita fu la riforma Sacconi del 2010. Anche se Maroni con la sua riforma del 2004 impostò oltre all’incremento del 2007 (60 anni) ulteriori incrementi che sarebbero intervenuti automaticamente nel 2010 (61 anni) e nel 2014 (62 anni), non fu lui in qualità di ministro del Lavoro a introdurre l’aggancio dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. La riforma del 2004 è una delle tante che hanno progressivamente innalzato l’età pensionabile, però. Per Camusso il verdetto è quindi un “Nì”.
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2017-11-28 13:37:08 UTC
Pagella Politica
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Pagella Politica Verdetto:
Nì
“Non dimentico che fu la Lega a introdurre con Maroni l’aggancio [dell’età pensionabile] all’aspettativa di vita. Ora Salvini ha cambiato idea? Ne prendo atto”
Susanna Camusso
Segretaria Cgil
http://www.corriere.it/economia/17_novembre_18/camusso-cgil-dal-governo-niente-pensioni-solo-parlamento-puo-evitare-sciopero-41d04b6e-cca6-11e7-b192-e3062d909ba1.shtml
Intervista al Corriere della Sera
domenica 19 novembre 2017
2017-11-19