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Nel suo intervento alla Direzione nazionale del Partito Democratico, il ministro degli Esteri ha fornito una stima del bilancio del gruppo terroristico autodichiaratosi “Stato Islamico”. Vediamo da dove vengono questi numeri e se sono corretti.



Le stima principali



Gentiloni parla del “bilancio” dell’Isis ( indicandolo con l’acronimo arabo Daesh, che possiede una sfumatura dispregiativa) – che è ben distinto dalla ricchezza totale prodotta nelle aree sotto il suo controllo, in cui abitano circa 10 milioni di persone. Esistono diverse stime delle entrate finanziarie dell’Isis, compiute negli scorsi mesi da diversi analisti, che arrivano a risultati piuttosto concordi.



Un buon punto di partenza è il discorso che il sottosegretario per il terrorismo e l’intelligence finanziaria statunitense, David S. Cohen, tenne il 23 ottobre 2014 al Carnegie Endowment for International Peace di Washington. Allora Cohen parlò di entrate dell’Isis per “decine di milioni di dollari al mese” ed elencò le principali fonti di finanziamento, su cui torneremo tra poco. La più importante era lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi in suo controllo, a proposito del quale Cohen disse: “stimiamo che, a partire da metà giugno, l’Isis abbia guadagnato circa un milione di dollari al giorno dalla vendita del petrolio”.



Un mese più tardi, Patrick B. Johnston della Rand Corporation fece una stima simile e sostenne in un’audizione davanti a una commissione del Congresso Usa che le entrate dell’Isis erano di 1-3 milioni di dollari al giorno. Negli stessi giorni, Matthew Levitt del Washington Institute for Near East Policy stimò in un’altra audizione le entrate a 3 milioni di dollari al giorno.



Da dove prende i soldi l’Isis



Nel numero più recente del magazine F3 – pubblicazione dello United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute (Unicri) in collaborazione con il Max Planck Institut tedesco – due studiosi dell’università di Groeningen hanno pubblicato un articolo che riassume le principali fonti di approvvigionamento del cosiddetto Stato Islamico e sul suo “modello economico”.



In primo luogo, l’Isis è entrato in possesso di molte risorse attraverso il saccheggio delle aree conquistate. Prima della presa di Mosul, nel giugno 2014, l’organizzazione aveva circa 875 milioni di dollari in liquidità e altri beni. Dopo la conquista della città, dalle banche locali sono state trafugate risorse che hanno portato la ricchezza totale a disposizione dell’organizzazione a oltre 2 miliardi di dollari, secondo le informazioni trovate sul computer di un corriere dello Stato Islamico catturato dalle forze irachene.



Un’altra fonte di finanziamento sono i furti di reperti archeologici, che hanno fruttato certamente diversi milioni di dollari ma di cui non è possibile calcolare una stima affidabile.



Ci sono infine le molte donazioni di privati, provenienti in particolare dalla regione del Golfo, con cui l’Isis ha ottenuto risorse economiche importanti: si tratta comunque di “una parte dei suoi fondi relativamente ridotta”, secondo quanto disse il sottosegretario Cohen nel discorso che abbiamo già citato (Levitt riportò una stima di 40 milioni di dollari in due anni). Infine ci sono altre attività criminali come i rapimenti – in grado di fruttare altri milioni di dollari all’anno (20 nel gennaio-ottobre 2014, secondo Cohen) – e le estorsioni.



Il petrolio



La fonte principale di finanziamento dell’Isis, secondo gran parte degli analisti, sono tuttavia i proventi dal petrolio. Lo Stato Islamico controlla fin dal 2012 alcuni pozzi nella Siria orientale, che è in grado di gestire e sfruttare economicamente. Alcune inchieste recenti hanno provato a circostanziare meglio le cifre in campo.



Ad esempio a metà ottobre 2015 sul Financial Times, Erika Solomon, Guy Chazan e Sam Jones hanno descritto il sistema di vendita del petrolio del cosiddetto Stato Islamico, “simile quasi a una società petrolifera di Stato”. Stime ottenute localmente pongono la produzione a 34-40.000 barili al giorno, che produce entrate per una media di 1,5 milioni di dollari al giorno.



Le tasse



Non tutti sono d’accordo nell’assegnare un ruolo così importante al petrolio. A maggio 2015, un articolo del New York Times – basato in parte sulle stime degli analisti della Rand Corporation – descriveva le entrate per il 2014 a circa 1,2 miliardi di dollari, così suddivise: 600 milioni da tasse ed estorsioni in Iraq; 500 milioni sottratti alle banche statali in Iraq; 100 milioni dal petrolio e 20 milioni dai rapimenti. La stima è notevole soprattutto per la cifra particolarmente bassa attribuita ai proventi petroliferi.



Più di recente, Charles Lister del Brookings Doha Center ha sottolineato sul New York Times che una “capacità di ottenere fondi potenzialmente superiore” rispetto al petrolio viene da “un complesso e rigidamente controllato sistema di ‘tasse’”. Il cosiddetto Stato Islamico esige infatti il pagamento di tasse su attività commerciali, beni in transito sul suo territorio e stipendio degli impiegati governativi. Lister concorda con la stima di 600 milioni di dollari l’anno riportata dal New York Times.



Il verdetto



Tirando le somme, le entrate stimate per lo Stato Islamico dal petrolio e da altre fonti sono poste generalmente tra 1 e 3 milioni di dollari al giorno che, ampliate all’anno solare, danno tra i 365 milioni e i 1.195 miliardi di dollari. Le poche stime complessive sulle entrate annuali sono intorno al margine più alto di questa forbice.



Il ministro Gentiloni ha stimato il bilancio dell’organizzazione terroristica in circa un miliardo di dollari nell’ultimo anno. È certo difficile arrivare a numeri sicuri sul tema, ma tutte le principali stime internazionali concordano su questo ordine di grandezza. La dichiarazione del ministro degli Esteri, insomma, è corretta.