Dal suo profilo Facebook Luigi di Maio approfitta della crisi greca per lanciare un allarme riguardo alla strategia “quasi militare” di conquista del Made in Italy. A tal fine sciorina un elenco di tutte quelle imprese dal nome italiano che, secondo lui, sarebbero passate in mano ad inglesi, sudafricani, giapponesi, cinesi e arabi.



Bollicine



Andiamo per ordine e iniziamo dalla schiuma della birra Peroni e dalle bollicine dello spumante Gancia.



L’azienda Peroni nasce a Vigevano – allora appartenente al Regno dei Savoia – nel 1846. Si espande in Italia durante l’inizio del XX secolo fino a raggiungere i mercati esteri negli anni ’70 e ’80. Nel 2003 il marchio Birra Peroni viene acquisito dalla SABMiller plc, fondata in Sudafrica ma ormai con sede a Londra, e secondo produttore mondiale di birra al mondo.



Anche la prima cantina Gancia – aperta a Canelli, in provincia di Asti – risale al XIX secolo. Fondata nel 1850, la “Fratelli Gancia” inaugura un nuovo tipo di champagne nel 1865: lo “Spumante italiano” che avrà il successo internazionale che conosciamo. Nel 2011 il gruppo Russian Standard, proprietario anche dell’omonima vodka, comprerà una parte – il 70% secondo Coldiretti – della marca nostrana. Piccola svista per Di Maio, che attribuisce un gruppo russo agli inglesi.



Ferrovie



Ansaldo STS, compagnia che si definisce leader globale nel settore del segnalamento e dei sistemi integrati di trasporto sia per il traffico passeggeri che per il trasporto merci, è stata fondata nel 1850 e ha sede a Genova. L’azienda passerà alla giapponese Hitachi entro la fine di quest’anno grazie ad un accordo con Finmeccanica, che detiene il 40% delle azioni Ansaldo STS. Dallo stesso comunicato stampa apprendiamo che fa parte della stessa transazione l’acquisto di Ansaldo Breda, specializzata nella costruzione di trasporti ferroviari con sede a Napoli.



Elettricità



Terna S.p.A. è un grande operatore di reti per la trasmissione dell’energia elettrica, tra i principali protagonisti in Europa per chilometri di linee di alta tensione gestite. E’ vero, esiste una relazione tra la società partecipata dello Stato e la Cina, anche se questa non ha natura necessariamente di proprietà, come sembra voglia far credere l’esponente del Movimento Cinque Stelle. Facciamo quindi un po’ d’ordine partendo dagli eventi più recenti.



A gennaio 2015 Terna annuncia l’assunzione di un nuovo amministratore non esecutivo, Yunpeng He, che fa anche parte del Consiglio di Amministrazione di CDP Reti S.p.A, azionista di maggioranza relativa di Terna. CDP Reti S.p.A è a sua volta una società partecipata della State Grid Europe Limited per il 35%, la quale è una compagnia della State Grid Corporation of China – che ha comprato parte del 40,9% delle azioni vendute dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A alla fine di novembre 2014.



Dire che Terna è andata “ai cinesi” è quindi forse un’esagerazione, anche se è vero che uno degli azionisti di Terna è partecipato da una società cinese in modo rilevante.



Pneumatici



Anche l’ “italianissima” Pirelli ha recentemente fatto affari con alcuni investitori cinesi: nel marzo 2015 China Chemical National Corporation (Chemchina) ha infatti acquisito parte della Pirelli attraverso la holding italiana Camfin. Secondo le ultime notizie, a settembre di quest’anno verrà indetto una gara d’appalto per la vendita della rimanente parte della Pirelli.



Moda



Risale invece a qualche anno fa – il 2012 per la precisione – la vendita del gruppo Valentino al gruppo Mayhoola for Investments Spc, del Qatar. La marca Valentino risale al 1960, quando il celebratissimo stilista Valentino Garavani crea Valentino S.p.A insieme a Giancarlo Giammetti.



Il Verdetto



Di Maio presenta una lunga lista di marchi italiani passati parzialmente o completamente a investitori stranieri. Non è nostro compito stabilire fino a che punto tale situazione sia frutto della globalizzazione o di una “strategia quasi militare”, come detto da Di Maio, ma certamente possiamo affermare che, su sei marchi, l’esponente del M5S sbaglia la provenienza di una soltanto, meritandosi un “C’eri quasi”.