Nell’ultimo anno Goffredo Bettini si è spostato dall’ombra alla luce dei riflettori. O forse sarebbe meglio dire dalla scena romana – dov’è sempre stato protagonista – a quella nazionale.
Su di lui si sono scritte e si sono lette infinite pagine di giornali. Goffredo Bettini, consigliere sempre ascoltato del segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti. Goffredo Bettini, estimatore dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, suggeritore e pontiere nella crisi, convinto sostenitore di un’alleanza fra Partito democratico e Movimento 5 stelle. E ora Goffredo Bettini, contestato nel suo stesso partito in cui c’è aria di resa dei conti (anche detta “Congresso”).
Chi è quindi Goffredo Bettini e perché è una figura centrale, tra fan e detrattori, all’interno del Partito democratico?
La tessera del Pci a 14 anni
Romano, 68 anni, di Goffredo Bettini, nelle biografie ufficiali, vengono messe in evidenza due passioni: la politica e il cinema.
Bettini si è iscritto al Partito comunista italiano a 14 anni – lo ha raccontato di recente in un intervento pubblico ripreso dall’agenzia Adnkronos – e negli anni ’70 era già un dirigente delle Federazione Giovani Comunisti Italiani, prima nella segreteria romana, poi nella segreteria nazionale, guidata in quegli anni da Massimo D’Alema. Nella Fgci ha conosciuto anche Walter Veltroni, a cui è rimasto legato politicamente per il resto della sua carriera.
Negli anni ’80 è diventato il segretario del Partito comunista italiano di Roma. A soli 32 anni è entrato nella Direzione nazionale del Pci.
La biografia sul sito del Partito democratico gli attribuisce il merito, negli anni ’90, di aver «inventato la candidatura» di Francesco Rutelli a sindaco della Capitale. L’Espresso, in una selezione fotografica intitolata «Goffredo Bettini, una vita da regista travestito da mediano», ha raccontato che Rutelli, «prima creatura politica plasmata da Bettini», è stato anche il primo a tradirlo preferendogli Paolo Gentiloni come consigliere, una volta arrivato al Campidoglio.
La carriera di Bettini si è svolta prevalentemente negli ambienti romani: assessore ai Rapporti istituzionali del Comune, presidente dell’Auditorium di Roma, consigliere in Regione Lazio e dal 2001 eletto deputato con i Democratici di Sinistra. Nel 2006 è invece entrato in Senato, ma per un solo anno, decidendo poi di dimettersi per dedicarsi al suo ruolo all’interno del partito.
Bettini è infatti stato una figura centrale nella fondazione del Partito democratico. Ha fatto parte della prima segretaria di Walter Veltroni e dal 2007 ne è diventato coordinatore nazionale. Dal 2014 al 2019 ha ricoperto la carica di europarlamentare sempre per il Pd.
A marzo 2019, nel suo blog su Huffington Post, Bettini ha annunciato l’intenzione di non ricandidarsi all’Europarlamento per tornare a dare il proprio contributo al partito, dopo l’elezione a segretario di Nicola Zingaretti, «una persona cara a me da tutta una vita, un segretario che ha dimostrato di avere un grandissimo consenso e di poter coniugare capacità unitaria con l’indicazione di una netta linea politica di svolta».
Nello stesso articolo, l’ex parlamentare ha dichiarato una certa distanza dai vertici del Pd negli anni precedenti: «Dopo le dimissioni di Veltroni, con il quale alla nascita del Pd si è rafforzato un sodalizio durato una vita, ho vissuto anni di isolamento». La conclusione è interessante per capire che tipo di figura sarebbe stato Bettini, una volta tornato a Roma: «Nel Pd non avrò alcun ruolo di gestione né avrò incarichi. Troverò il modo di aiutare la mia comunità con stimoli culturali e con le mie idee politiche».
Il suo posto da quel momento sarà – secondo le cronache – quello di consigliere “informale” del segretario Nicola Zingaretti. Un’etichetta che però Bettini ha dichiarato di non apprezzare. Il 6 ottobre 2020, ospite a Omnibus su La7 con Alessandra Sardoni, ha detto di sentirsi stretta la definizione di “consigliere”: «Fa male a me e fa male a Zingaretti, che è un leader autonomo, ha dimostrato autorevolezza sul campo», ha sottolineato Bettini. «Io vengo da una lunghissima storia di dirigente politico, mi sono intestato tante fasi della politica della sinistra e sempre apertamente, anche oggi esprimo le mie idee a tutti, non faccio niente nell’ombra». Per poi concludere con una battuta: «Quale ombra? Io sono ingombrante».
In un ritratto sul Corriere della Sera dell’11 febbraio, Fabrizio Roncone ha raccontato che Bettini viene soprannominato «il Monaco»: «Un po’ per i suoi camicioni indossati fuori dai pantaloni – ha scritto il giornalista – un po’ per questo suo vivere frugale in case piccole, modeste (la penultima fu confusa da Cesare Romiti per una specie di ufficio: “Ci vediamo nel solito scantinato?”. “Ma veramente, caro Cesare, in quello scantinato io ci abito”)».
L’ultima fase e le contestazioni all’interno del Pd
Nell’ultimo anno, Goffredo Bettini è stato fra i più convinti (ed espliciti) sostenitori dell’asse fra Pd e M5s. L’ex eurodeputato ha spinto più di ogni altro affinché la coalizione giallorossa, allora al governo durante il Conte II, si traducesse in un progetto politico strutturale.
«Questo governo va considerato un fondamentale “incubatore” politico – ha detto il 13 gennaio in un’intervista La Stampa, riferendosi appunto all’esecutivo di Giuseppe Conte sostenuto da M5s e Pd – le forze che lo compongono potrebbero costituire alle prossime elezioni politiche l’alleanza ampia e democratica da schierare contro la destra. È una impresa faticosa, ma ineludibile».
Il 25 luglio, sempre a La Stampa, Bettini ha lanciato – fra i primi – l’idea che l’allora premier Giuseppe Conte dovesse guidare un polo progressista: Conte «è più nuovo e fresco della classe dirigente che lo circonda, sono sicuro che non vorrà fare un suo partito ma rimanere il capo di una coalizione competitiva per battere la destra». A quel punto i giornali lo davano già come un interlocutore fidato anche del presidente del Consiglio.
Con la crisi di governo, a gennaio, Bettini è stato uno dei pontieri fra il premier (e con lui il Pd) e il leader di Italia viva Matteo Renzi. Tant’è che è proprio a Bettini che il 10 gennaio Renzi ha consegnato una nota con le richieste del suo partito al presidente del Consiglio.
In questa fase, Bettini ha sostenuto pubblicamente Conte in ogni passaggio. L’11 gennaio, in un’intervista al Corriere della sera, lo ha definito «un punto di equilibrio imprescindibile» e ha sentenziato a nome del Pd: «altri scenari non ci appartengono».
Il dirigente Pd ha continuato su questa strada fino alla fine, sbagliando anche nelle previsioni (come sarebbe stato chiaro nel giro di qualche settimana). Il 31 gennaio, intervistato di nuovo dal Corriere della Sera, diceva ancora: «Conte Ter con patto scritto o si vota a giugno». Ma la linea che alcuni commentatori hanno definito «o Conte o morte», alla luce dell’esito della crisi di governo, si è rivelata perdente.
Dopo la formazione del nuovo governo Draghi – e anche per effetto delle scelte che ha comportato: chi ha ricevuto un incarico, chi ne è rimasto fuori – nel Partito democratico si sono riaccese le tensioni. È sotto accusa la gestione di Nicola Zingaretti e, spesso sottovoce, è anche sotto accusa il protagonismo del “senza incarichi” Bettini.
L’ex europarlamentare non ha però timidezza nel rivendicare il suo ruolo. «Lei che è tra i fondatori del Pd, è rimasto amareggiato dalle polemiche interne sul suo ruolo nel partito?», gli ha chiesto Carlo Bertini in un’intervista su La Stampa, il 19 febbraio. «Ma per carità. Mi dispiace solo che con la storia che ho, piccola o grande che sia, qualcuno si è domandato a che titolo parlassi», è stata la risposta di Goffredo Bettini.
Negli ultimi giorni si è parlato con insistenza dell’idea di anticipare alla primavera il Congresso del Pd di ottobre. Lo stesso Bettini ha sollecitato questa ipotesi con un intervento sul Foglio. All’ordine del giorno ci sarebbe il difficile obiettivo di riconciliare le diverse anime all’interno del Pd, oggi rappresentate (per semplificare) da una componente più “zingarettiana” e dalla corrente di ex renziani di Base riformista, che fa riferimento al ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
Governo Meloni
Il “Taglia leggi” del governo Meloni non convince tutti