Il fact-checking in breve

• Su Internet è circolata molto una polemica sulla questione discoteche, ripresa anche da giornalisti come Andrea Scanzi e Lorenzo Tosa: perché le discoteche dichiarano il rischio di perdere «4 miliardi di euro», se sono «3.500» con un reddito medio annuo di «4.600 euro» a testa, e avrebbero quindi un reddito totale di circa 16 milioni di euro?

• Questa polemica si basa però su alcuni errori: primo, per stimare le perdite totali del settore non si dovrebbe guardare il reddito medio ma i ricavi medi (dichiarati), che sono poco meno di 300 mila euro all’anno per attività.

• Secondo, le discoteche hanno denunciato danni complessivi per 400 milioni di euro, non 4 miliardi, anche se questo dato è stato riportato anche dagli esercenti in maniera fuorviante.

• Il dato dei 4 miliardi fornito dagli esercenti è una stima, molto difficile da verificare, del giro d’affari di tutto l’intrattenimento serale e notturno, che include per esempio anche i concerti.



Negli ultimi giorni uno dei temi di maggiore dibattito in Italia ha riguardato la chiusura delle discoteche, disposta il 16 agosto con un’ordinanza dal Ministero della Salute a causa dell’aumento dei casi di Covid-19 nel nostro Paese. Il 19 agosto il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio ha respinto il ricorso delle associazioni di categoria, che avevano chiesto la sospensione dell’ordinanza.

Nel frattempo, sui social stanno circolando alcuni dati su quali redditi dichiarano le discoteche in Italia, mettendo in dubbio le cifre indicate dagli addetti del settore.

«Dunque, in Italia ci sono circa 3.500 discoteche il cui reddito medio d’impresa (Agenzia delle Entrate) è di circa 4.600 euro all’anno. Per cui 4.600 euro moltiplicato per le 3.500 discoteche farebbe circa 16 milioni di euro. I proprietari di discoteche hanno dichiarato, tramite la propria associazione che avranno una perdita di 4 miliardi di euro», ha scritto il 18 agosto in un post su Facebook il giornalista Andrea Scanzi, in un post con oltre 30 mila condivisioni e 70 mila reazioni, citando un certo «Coriolano Pallacci».

Prosegue il virgolettato di Scanzi: «Ora, quando si parla di numeri bisogna intendersi: se 4 miliardi fosse il fatturato e se avessero un utile di 16 milioni, sarebbe un affare che nessuno intraprenderebbe. Se invece dichiarano che avranno una perdita di reddito di 4 miliardi a fronte di 16 milioni denunciati ci sarebbe una lieve evasione fiscale di 3 miliardi e 984 milioni di euro».

Il testo è stato ripreso su Facebook il 18 agosto anche dal giornalista Lorenzo Tosa, in un post con oltre 35 mila condivisioni e oltre 44 mila reazioni, mentre lo stesso giorno su Twitter Davide Serra – finanziere vicino all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi – ha riportato gli stessi dati, in una versione più sintetica e invertendo il numero delle discoteche con quello del presunto reddito dichiarato.

Ma che cosa c’è di vero nei numeri che stanno circolando molto nelle ultime ore? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza e i numeri diffusi da Scanzi e Tosa sono sostanzialmente sbagliati, e mescolano e confrontano dati molto diversi tra loro.

Ma procediamo con ordine.

Da dove vengono i numeri

Sia Scanzi che Tosa citano come fonte dei loro dati «Coriolano Pallacci», senza aggiungere altro. Esiste un profilo Facebook sotto quel nome, che tra le informazioni pubblicamente disponibili indica la residenza a Bologna. Abbiamo contattato il profilo e il suo proprietario ci ha confermatoa Pagella Politica di essere l’autore del calcolo, di essere un “esodato”, ossia una persona che si è trovata senza lavoro a pochi anni dall’età pensionabile, e di aver scritto quel testo in un post pubblico, utilizzando fonti stampa.

Dopo il successo inatteso del suo post, Pallacci ha poi deciso di renderlo privato e quindi questo ora non è pubblicamente consultabile.

Quante discoteche ci sono in Italia

Partiamo dal numero di discoteche che ci sono in Italia: è molto difficile sapere con precisione quanti locali di questo tipo ci sono nel nostro Paese.

Tra i vari motivi, il principale è che un’attività spesso non è semplicemente una discoteca e basta, ma magari è attiva anche nel settore della ristorazione, e viene registrata in una categoria diversa.

Esistono comunque alcune stime.

I dati Istat e dell’Agenzia delle entrate

Secondo i dati Istat sulle imprese suddivise in base alle attività economiche (Ateco), nel 2018 le imprese attive nella categoria “Discoteche, sale da ballo, night-club e simili” (codice 93.29.10) erano poco meno di 1.500, di cui circa mille erano società a responsabilità limitata mentre poco meno di duecento erano imprenditori individuali, liberi professionisti o lavoratori autonomi [1].

Un’altra fonte a cui possiamo guardare è quella degli indici sintetici di affidabilità (Isa) dell’Agenzia dell’entrate, che dal 2018 hanno sostituito gli studi di settore per valutare l’affidabilità fiscale di imprese e lavoratori autonomi. Secondo i dati più recenti (qui consultabili), nel 2018 c’erano 1.057 contribuenti nella categoria delle “Discoteche, sale da ballo, night club e scuole di danza” (Isa AG852). Di questi contribuenti, 231 erano persone fisiche, 222 società di persone, e 604 società di capitali ed enti.

Le stime delle associazioni di categoria

Stime più elevate arrivano invece dalle associazioni di categoria. «In Italia le discoteche e i locali simili sono circa 3.500, in base alle attività censite dalle Camere di commercio: ad oggi, dopo il lockdown, aveva riaperto circa il 10-20 per cento di queste attività», ha spiegato a Pagella Politica Maurizio Pasca, presidente di Silb-Fipe, l’associazione italiana delle imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo. La differenza con i dati Istat che abbiamo citato sopra, dice Pasca, «può essere data dal fatto che spesso alcune attività sono impegnate maggiormente, per esempio, nel settore della ristorazione, ma offrono anche un servizio regolare di attività da ballo o da discoteca».

Lo stesso dato di «3.500» attività è stato riportato il 16 agosto 2020 anche dal presidente di Silp-Fipe dell’Emilia-Romagna Gianni Indino in un’intervista con l’Ansa.

Secondo un’inchiesta di Repubblica del 2016, all’epoca il numero delle sole discoteche in Italia si aggirava intorno ai 2.500 (dimezzato rispetto ai primi anni Duemila), mentre secondo altri il dato corretto era di poco più di duemila.

Come abbiamo visto, le differenze tra le stime che circolano sono dovute alla difficoltà di inquadrare in maniera univoca un’attività considerata solo come “discoteca”. L’ordinanza del Ministero della Salute del 16 agosto, infatti, usa una definizione molto ampia e include eventi che si tengono «in lidi, stabilimenti balneari, spiagge attrezzate, spiagge libere, spazi comuni delle strutture ricettive o in altri luoghi aperti al pubblico».

Dunque sono colpite dal provvedimento del Ministero della Salute anche attività che non rientrano strettamente nella categoria delle discoteche e simili. Che comunque, in base ai dati visti sopra, possiamo dire con un certo margine di incertezza essere in Italia tra le mille e le 3.500.

La questione dei redditi

Vediamo adesso i dati economici. Secondo i numeri che circolano sui social, ripresi da Scanzi e Tosa, il reddito medio d’impresa di una discoteca in Italia sarebbe di circa «4.600 euro all’anno», e la fonte sarebbe l’Agenzia delle entrate.

In effetti questo dato è stato riportato in passato da fonti stampa: fa riferimento ai numeri sugli studi di settore relativi al periodo d’imposta 2015. Infatti, in base ai dati dell’Agenzia dell’entrate (qui consultabili), nel 2015 il reddito medio di impresa o lavoro autonomo dichiarato – ossia, detta in parole semplici, la parte su cui si pagano le tasse – da 1.219 contribuenti nella categoria delle discoteche e simili (studio di settore WG85U) era di circa 4.700 euro, un dato in linea con quello visto sopra.

Dati più recenti forniscono stime quasi doppie.

Secondo i dati più aggiornati (qui consultabili) dell’Agenzia delle entrate, nel 2018 il reddito medio dichiarato dai 1.057 contribuenti visti prima nella categoria delle “Discoteche, sale da ballo, night club e scuole di danza” (Isa AG852) era di 8.600 euro, che comunque è uno dei dati più bassi tra tutte le categorie.

I ricavi medi invece – una cifra totale da cui poi bisogna togliere i costi – erano di circa 292 mila euro. Questa è una cifra molto importante e ce ne occuperemo a breve.

Gli errori del calcolo online

Il primo errore del calcolo che circola sui social è quello di moltiplicare due dati provenienti da fonti diverse e che non fanno riferimento alla stessa cosa. Da un lato, i «4.600 euro» di reddito d’impresa medio – oltre a essere un dato non aggiornato: nel 2018 era quasi il doppio, 8.600 euro – provengono dagli studi di settore (oggi sostituiti dagli “indici sintetici di affidabilità”). I contribuenti a cui fa riferimento quel numero erano circa 1.200, circa un terzo dei «3.500» indicati.

Dall’altro lato, il dato delle «3.500» discoteche è una stima più ampia fatta dalle associazioni di categoria – che quindi non combacia con quella dell’Agenzia delle entrate vista sopra – che prende in considerazione diversi tipi di attività.

Se volessimo avere un ordine di grandezza dei soldi totali dichiarati dal settore delle discoteche e di locali simili, bisognerebbe moltiplicare piuttosto i circa 292 mila euro di ricavi medi per contribuente registrati in questo settore nel 2018 per gli oltre mille contribuenti. Si ottengono così ricavi generali di circa 300 milioni di euro. Di nuovo: si tratta di stime sulla base dei dati ufficiali.

Il giro d’affari delle discoteche

Veniamo all’ultima cifra, i «4 miliardi». Perché se ne parla nel dibattito di questi giorni? Nei dati che circolano sui social, ripresi da Scanzi e Tosa, si legge che i proprietari delle discoteche avrebbero denunciato perdite per quella cifra a causa delle chiusura delle attività, una cifra ripresa anche in alcuni titoli di fonti stampa.

Qui c’è una confusione alimentata dagli stessi esercenti: l’associazione di categoria ci ha spiegato che quello non è l’ammontare dell’aiuto chiesto dalle discoteche al governo, ma una stima più ampia di tutto il settore. Procediamo con ordine.

«Quando parliamo di perdite di 4 miliardi di euro stiamo parlando del giro di affari in termini di fatturato che in Italia vale tutto il settore dell’intrattenimento serale e della notte, inteso non solo come discoteche e locali, ma anche di concerti e altri eventi simili», ha chiarito a Pagella Politica Maurizio Pasca di Silb-Fipe, citando una stima dell’associazione. «In quel numero sono compresi anche i dj-set [in locali diversi dalle discoteche], per esempio, o i concerti di artisti come Zucchero e Jovanotti».

Dunque i «4 miliardi di euro» – da prendere con cautela, visto che la fonte sono le associazioni di categoria stesse – non vanno confrontati con i dati sui redditi, dal momento che si sta parlando di ricavi, e per di più su un settore più ampio rispetto a solo quello delle discoteche.

L’associazione di categoria ci ha precisato che le cifre di cui ha parlato con il governo sono ancora più basse: «Da fine febbraio ad oggi, le perdite che noi stimiamo per la crisi di Covid-19 per l’intrattenimento di discoteche e simili si aggirano intorno ai 400 milioni di euro», ha specificato Pasca. «Ed è questa la richiesta di aiuto che abbiamo fatto al governo».

La richiesta trova conferma anche in altre dichiarazioni rilasciate da Pasca negli scorsi giorni. «Abbiamo quantificato i danni, finora, in 400 milioni di euro, ed è questa la richiesta che abbiamo avanzato nell’incontro in videoconferenza con il ministro Patuanelli [del Ministero dello Sviluppo economico, ndr] la settimana scorsa», ha detto il presidente di Silb-Fipe a Open il 17 agosto.

In breve, il calcolo un po’ provocatorio proposto sui social in questi giorni (4 miliardi, meno 16 milioni) non ha molto senso: mette insieme da un lato le stime più ampie possibili di tutto il settore dell’intrattenimento serale – messe in giro dagli stessi esercenti – con una moltiplicazione sballata tra altri due numeri legati alle stime delle autorità fiscali, che soprattutto si riferiscono ai soli redditi su cui si pagano le tasse (semplificando, ai guadagni) e non a tutte le entrate delle discoteche.

In conclusione

Negli ultimi giorni in Italia si sta parlando molto della chiusura delle discoteche voluta dal governo per ridurre il contagio da Covid-19 nel nostro Paese.

Da un lato, i gestori dei locali hanno iniziato a protestare, chiedendo che l’ordinanza venga ritirata. Dall’altro, c’è chi difende la scelta della chiusura e a sostegno di questa posizione sono iniziati a circolare sui social alcuni dati – pubblicati su Facebook e ripresi, tra gli altri, dai giornalisti Scanzi e Tosa – sui redditi dichiarati da chi fa parte del mondo delle discoteche, che si aggirerrebbero intorno ai «4.600 euro». Questo dato, se moltiplicato per un numero di locali di «3.500», dà una cifra di gran lunga più bassa dei «4 miliardi di euro» di perdite denunciate dalle associazioni di categoria.

Il problema è che i numeri diffusi in questi giorni – da parte di entrambi gli schieramenti – hanno diversi limiti.

In primo luogo, non è semplice sapere quante discoteche ci sono in Italia: in base alle diverse fonti, si va dalle mille alle 3.500. In secondo luogo, nel 2018 il reddito medio dichiarato da circa mille contribuenti nel settore è stato di 8.600 euro, e non 4.600 euro, che è un dato relativo agli studi di settore del 2015.

Inoltre, quando si parla di «4 miliardi» di ricavi a rischio, si fa riferimento a una stima delle associazioni di categoria – che va presa con cautela – del fatturato annuale di tutto il settore dell’intrattenimento serale e notturno in Italia (discoteche, eventi, concerti, e altro), mentre il fatturato delle sole discoteche si aggirerebbe intorno al miliardo di euro.

Secondo le associazioni di categoria del mondo delle discoteche e dei locali simili, ad oggi i mancati guadagni legati all’epidemia di Covid-19 si attesterebbero intorno ai 400 milioni di euro. In base ai dati dell’Agenzia dell’entrate, nel 2018 i ricavi di poco più di mille contribuenti nel settore erano stati di poco superiori a 300 milioni di euro.

In generale, c’è molta confusione sui numeri che circolano nelle ultime ore, data anche dal fatto che si basano – come denunciato da entrambe le parti nel dibattito – solo su quanto sa il fisco, mentre rimane escluso tutta la parte legata all’illegalità e la sommerso.



[1] Percorso: Imprese > Struttura > Imprese e addetti > Forma giuridica, settori economici (Ateco 5 cifre) – Italia