Il 24 febbraio 2019, alcuni quotidiani italiani (tra cui Il Sole 24 Ore, Huffington Post e TGcom 24) hanno pubblicato la notizia che l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, dopo inglese, spagnolo e cinese, ma prima del francese.
Ma quali sono i dati che giustificano questo risultato? E qual è l’affidabilità delle fonti? Abbiamo verificato.
La “notizia” circola da anni
Alcuni titoli hanno parlato di “sorpassi”, come se l’ottima performance dell’italiano fosse stata ottenuta di recente.
Basta però una breve ricerca per avere il dubbio che qualcosa non torni. La “notizia”, infatti, circola da almeno dieci anni. Già nel 2014, per esempio, era stata data con termini del tutto simili: “Lingua italiana, la quarta più studiata nel mondo” (La Stampa); “Italiano alla riscossa, è la quarta lingua più studiata al mondo” (Adnkronos).
Ma si può risalire anche a più di dieci anni fa: nel gennaio del 2008 una pubblicazione del Ministero degli Affari esteri italiano (allora guidato da Massimo D’Alema) destinato agli italiani all’estero affermava senza incertezze che «oggi l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo e l’attenzione che gli viene dedicata all’estero è in costante crescita».
Un articolo pubblicato sul magazine dell’Enciclopedia Treccani l’anno successivo, nel 2009, era un poco più dubitativo e apriva così: «Qualcuno ha anche provato a quantificare il numero di studenti di italiano all’estero, ipotizzando che l’italiano sia attualmente addirittura la quarta o quinta lingua più studiata al mondo».
Nonostante se ne parli da anni, c’è poco o nulla di concreto che dia sostanza al presunto quarto posto.
Chi dà i numeri?
Gli articoli degli ultimi giorni fanno riferimento a due fonti in particolare per stabilire che l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Entrambe, però, hanno qualche problema.
Ethnologue
La prima fonte citata è Ethnologue, un database online realizzato dalla Sil International (Summer institute of linguistics). Sil è un’organizzazione non profit di confessione cristiana-evangelica, fondata nel 1934 e con sede a Dallas, in Texas (Usa), che si occupa di documentare e sostenere le diversità delle minoranze etno-linguistiche.
Sil pubblica un catalogo – la cui ventiduesima edizione è stata pubblicata il 21 febbraio 2019 – che fornisce, tra le varie cose, una classifica di quali sono le lingue più diffuse nel mondo.
In cima alla graduatoria, troviamo il cinese (parlato come prima lingua da 1,3 miliardi di persone, in 13 varianti), seguito dallo spagnolo (460 milioni), dall’inglese (379 milioni), dall’hindi (341 milioni) e dall’arabo (319 milioni, in 20 varianti). L’italiano si piazza invece al ventiduesimo posto, con circa 65 milioni di parlanti.
Ma nel catalogo non si trova una vera e propria classifica delle lingue più studiate e a confermarlo è la stessa Ethnologue. Come chiarisce il suo sito ufficiale, il database raccoglie diverse informazioni per ogni lingua parlata nel mondo – come il suo sviluppo, l’uso e i nomi dei vari dialetti – ma non si occupa di confrontare le lingue e il loro apprendimento.
Contattata via email da Italofonia.info (un portale indipendente, nato nel 2017 per raccogliere informazioni sulla lingua italiana), Ethnologue ha ribadito questo aspetto, dichiarando che non documentano in alcun modo «lo studio delle lingue, ossia il numero di persone che studiano specificamente una lingua, per esempio a scuola o all’università».
«Questa storia dell’italiano come quarta lingua più studiata al mondo ricompare a intervalli regolari, ma è una bugia. La fonte non esiste e non può essere Ethnologue», ha spiegato a Pagella Politica Roberta D’Alessandro, professoressa all’Istituto di linguistica di Utrecht, nei Paesi Bassi, e dal 2007 al 2016 direttrice del dipartimento di italiano dell’Università di Leiden.
«Questo databasenon c’entra assolutamente niente con le lingue di studio. È un catalogo di per sé più o meno affidabile, che – basandosi su dati che vengono da censimenti, considerazioni geografiche, dichiarazioni di linguisti che inviano dossier, eccetera – dice chi parla l’italiano come seconda lingua, non chi lo studia. Usarlo come fonte è sbagliato, assurdo».
Gli Stati generali della lingua italiana nel mondo
La seconda fonte citata negli articoli degli ultimi giorni sono gli Stati generali della lingua italiana nel mondo, un evento annuale organizzato dal Ministero degli Esteri per riflettere sullo studio e la diffusione dell’italiano all’estero.
La terza edizione si è tenuta a Roma il 22 ottobre 2018 e in essa sono stati presentati «i dati sulla diffusione della lingua italiana nel mondo», con il rapporto L’Italiano nel mondo che cambia – 2018 (scaricabile qui).
Nel suo intervento introduttivo, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi ha dichiarato: «Se guardiamo al numero di persone che parlano l’italiano nel mondo, noi siamo come lingua circa al 21esimo posto. Ma se andiamo a vedere le persone che studiano le lingue, e che quindi studiano una seconda lingua o una terza lingua, l’italiano come numero di persone è la quarta lingua più studiata dopo l’inglese, lo spagnolo e il cinese».
Nella “Prefazione” del rapporto del 2018, scritta dallo stesso ministro Moavero, il concetto è ripetuto: «L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo; oltre due milioni di persone, all’estero, decidono ogni anno di apprenderlo per le motivazioni più varie».
Ma il documento – lungo 28 pagine – non fa mai menzione di questa particolare classifica, e il motivo è molto semplice.
L’indagine statistica L’italiano nel mondo che cambia si occupa infatti solo della lingua italiana, come chiarisce la nota di presentazione. Non fanno insomma una comparazione né una classifica tra le varie lingue.
Come è stata fatta l’indagine? Le statistiche elencate sono «il risultato del lavoro di raccolta condotto grazie alla fondamentale collaborazione della Rete diplomatico-consolare e degli Istituti italiani di cultura per l’anno accademico 2016/2017», che hanno fatto ricorso a una «pluralità di schede e questionari inviati in formato elettronico» a tutti gli enti che si occupano di insegnare l’italiano nel mondo.
Tra questi, ci sono gli Istituti italiani di cultura (“succursali” del Ministero degli Esteri nei diversi Paesi del mondo, che promuovono l’immagine dell’Italia e la sua lingua), le scuole italiane, le cattedre presso Università straniere, i Comitati della Società Dante Alighieri, nonché la rete dei nostri connazionali all’estero.
La raccolta di questi dati ha permesso di calcolare che per l’anno accademico 2016/2017, la rete fisica attraverso la quale la nostra lingua viene diffusa e promossa nel mondo ha raggiunto «2.145.093 studenti in 115 Paesi».
Come funziona la raccolta?
Abbiamo chiesto a una delle persone che se ne è occupata e sono emersi alcuni punti problematici. Per esempio, il fatto che alcuni studenti rimangano non censiti.
«Questa storia dell’italiano “quarta lingua più studiata” è diuturna e carsica: ogni tanto torna in superficie. Il numero fornito dal Ministero degli Esteri nel suo ultimo rapporto è abbastanza solido da un punto di vista statistico, ma è impossibile fare un paragone con le altre lingue», ha spiegato a Pagella Politica Francesco Ziosi, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Monaco di Baviera, in Germania.
«Noi, come Istituto italiano di cultura di Monaco, censiamo i dati che ci sono sullo studio dell’italiano nelle scuole e nelle università in Germania. Ma i dati delle scuole private – che sono nostri concorrenti – noi non riusciamo minimamente a raccoglierli, e sappiamo che sono abbastanza frequentati. Qui in Germania, per esempio, l’italiano è una delle lingue più studiate tra le persone che a un certo punto della loro vita si trovano ad avere un po’ di tempo, e vogliono acculturarsi. Tipicamente, il pensionato colto».
Ricapitolando: la prima fonte citata – di un’organizzazione di linguistica no profit – è un catalogo che non si occupa dell’insegnamento delle lingue nel mondo, ma del numero dei parlanti; la seconda fonte è direttamente il Ministero degli Esteri, ma parla solo del numero di persone, parziale, che nel mondo studiano l’italiano attraverso una rete fisica di istituzioni note – come conferma a Pagella Politica anche Mirko Tavosanis, professore di Linguistica italiana all’Università di Pisa.
«I dati più recenti del ministero sono una descrizione abbastanza affidabile di quello che viene censito», chiarisce Tavosanis. «Ma quella coinvolta è solo una piccola parte delle istituzioni formative attive nel mondo. Se una scuola privata di lingua a Parigi apre un corso di italiano, per esempio, di solito il Ministero non riceve nessuna informazione in proposito, e naturalmente ci sono moltissime di queste attività in giro per il mondo».
Insomma, il Ministero degli Esteri italiano raccoglie dati (parziali) su quanti studiano italiano, ma non ha modo di fare una comparazione. La classifica – ripresa anche dal Ministero stesso – deve quindi venire da altrove.
Da dove è nata la notizia
Ma da dove viene allora il dato sull’italiano “quarta lingua più studiata”? Per scoprirlo, bisogna andare indietro di quasi vent’anni.
L’indagine del 2001
Nel 2000, il Ministero degli Esteri aveva affidato al Dipartimento di studi linguistici e letterari dell’Università di Roma “La Sapienza” un’indagine «sulle motivazioni e sui pubblici dell’italiano diffuso tra stranieri», un interesse nato nella ricerca già alla fine degli anni Settanta.
Sotto la direzione del famoso linguista Tullio De Mauro, nel 2001 era stato così pubblicato il rapporto Italiano 2000. I ricercatori, a partire da agosto 2000, avevano inviato un questionario in formato elettronico agli Istituti italiani di cultura attivi all’epoca nel mondo, alle ambasciate e alle sede consolari, chiedendo, tra le altre cose, se e quali altre lingue erano insegnate nelle istituzioni. In questo modo, è stato possibile rilevare «la posizione dell’italiano rispetto alle altre lingue apprese».
Come si legge nelle conclusioni dell’indagine, «fra le lingue straniere che vengono scelte per prime, al primo posto si colloca l’inglese (69,2 per cento), seguita dallo spagnolo (10,3 per cento), dal francese (7,7 per cento), dal tedesco (2,6 per cento) e da altre lingue. Fra le lingue straniere che vengono scelte per seconde, al primo posto si colloca il francese (50 per cento), seguita dall’inglese (15 per cento), dallo spagnolo (10 per cento) e dall’italiano, al quarto posto con il 7,5 per cento, a pari posizione con il tedesco. Tra le terze lingue straniere, al primo posto sale il tedesco (40,9 per cento) e l’italiano va al secondo posto (25 per cento). Tra le quarte lingue scelte, l’italiano è al primo posto (63,9 per cento)».
In sostanza, l’italiano non era la quarta lingua più studiata al mondo, ma la quarta più studiata come seconda scelta tra le persone raggiunte dalla rete diplomatica italiana; la seconda più studiata come terza scelta; e la prima più studiata come quarta scelta.
È un dato molto diverso: riguarda infatti la piccolissima minoranza di persone che, nella loro vita, arrivano a studiare quattro lingue. Lo aveva spiegato in un’intervista del 2014 il linguista e filologo Luca Serianni: «Un apprendente, dopo avere studiato altre due lingue (tipicamente l’inglese, saldamente al primo posto) e il francese (al secondo), e volendo affrontare lo studio di una terza o quarta lingua si rivolgerà con buona probabilità all’italiano».
Si tratta con ogni evidenza di numeri molto ridotti, quasi una curiosità. «Le cifre assolute non possono essere molto elevate, perché sono pochi nel mondo coloro che studiano o conoscono, più di due lingue, oltre alla madrelingua», proseguiva Serianni.
L’indagine del 2011
Dieci anni dopo è stata fatta una seconda ricerca simile. Commissionata dal Ministero degli Esteri e realizzata nel 2011 dagli studiosi Claudio Giovanardi e Pietro Trifone, essa è stata pubblicata con il titolo Italiano 2010 e fa parte del libro L’italiano nel mondo (edito nel 2012 da Carocci).
Qui i dati sono leggermente diversi a quelli di dieci anni prima, come riassumono due recensioni uscite sulla rivista letteraria Oblio e sulla rivista El.le del Centro di ricerca sulla didattica delle lingue della Ca’ Foscari di Venezia.
In questa seconda indagine, risulta che – sia con i dati degli Istituti italiani di cultura che con quelli dei contesti universitari (una delle realtà non indagate nella precedente indagine del 2001) – la nostra lingua è, insieme al francese, quella più studiata come terza scelta, e la prima come quarta scelta.
I limiti delle ricerche
Queste indagini hanno comunque alcuni limiti metodologici. Per esempio, siamo sicuri che il campione degli intervistati attraverso i questionari sia significativo per giustificare con accuratezza i risultati ottenuti?
«La cosa determinante di queste ricerche [= Italiano 2000 e Italiano 2010] è che sono state fatte all’interno della rete degli Istituti italiani di cultura e delle strutture che ospitavano lettori di italiano, quindi su un campione già molto orientato a favore della nostra lingua», spiega Tavosanis.
«Le ricerche quindi non rappresentano quindi un’analisi sistematica dello studio delle lingue né in tutti i Paesi del mondo né alla totalità delle istituzioni nei Paesi in cui sono state fatte. Anzi, quello usato è stato un campione dichiaratamente non rappresentativo. Le conclusioni sono quindi affidabili per questo contesto, ma descrivono solo una piccola parte di ciò che avviene nel mondo».
Questa osservazione sul piano metodologico non va «assolutamente trascurata», ribadisce Talles Gille Kuitche, ricercatore dell’Università di Siena, in uno studio del 2012 sulla diffusione dell’italiano nell’Africa sub-sahariana francofona. «Il fatto di prendere come fonte di dati i soli Istituti italiani di cultura ha completamente oscurato alcuni poli sempre più importanti di insegnamento/apprendimento dell’italiano. Per esempio, queste realtà sono quasi inesistenti nella maggior parte dei Paesi africani dove l’italiano si sta diffondendo con modalità e obiettivi diversi».
Ma allora qual è la posizione dell’Italia?
Insomma, l’«italiano quarta lingua più studiata» è un fraintendimento che viene da una ricerca di quasi vent’anni fa. Ma è possibile sapere qual è l’effettiva posizione della nostra lingua in classifica?
«Ogni dato sullo studio della lingua è fondamentalmente inaffidabile», dice Ziosi dell’Istituto italiano di cultura di Monaco. «Quelli censibili più affidabili restano comunque quelli sulle scuole in Europa».
E in Europa l’italiano non è al quarto posto. Secondo i dati dell’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat), nel 2016 la lingua straniera più studiata nella scuola secondaria di primo grado degli Stati Ue era l’inglese, con una percentuale del 97,3 per cento. Al secondo posto, si colloca il francese, con il 33,8 per cento degli studenti, seguita dal tedesco (23,1 per cento). Al quarto posto c’è lo spagnolo (13,6 per cento), seguito dal russo (2,7 per cento) e dall’italiano (1,1 per cento).
I dati non cambiano di molto se si considera la scuola secondaria di secondo grado. Il 94 per cento degli studenti studia l’inglese come lingua straniera, 22 per cento il francese, il 17 per cento il tedesco, il 16 per cento lo spagnolo, il 3 per cento il russo e nella stessa percentuale l’italiano.
Perché si studia l’italiano?
«Pur essendo una percentuale molto limitata le persone che studiano italiano nelle scuole, l’italiano resta l’unica lingua che viene studiata senza ragioni commerciali, storiche e politiche», sostiene Ziosi. «E questo è rilevante. Basti pensare che siamo studiati più del portoghese, che ha una tradizione coloniale e un numero di parlanti che è infinitamente più alto dell’italiano».
Anche altri studiosi sottolineano questo aspetto. «L’italiano non è una lingua veicolare, a differenza dell’inglese, dello spagnolo, del francese e del portoghese, ma esistono anche ragioni latamente lavorative per cui viene studiato nel mondo», ha detto a Pagella Politica il linguista e filologo Luca Serianni.
«Pensiamo al numero – molto ristretto quantitativamente, ma significativo – di coloro che studiano l’italiano perché vogliono diventare cantanti lirici. O del clero – in particolare dell’alto clero cattolico – che svolge periodi di perfezionamento nelle grandi università pontificie, che svolgono i loro corsi quasi esclusivamente in italiano».
Tiriamo le somme
Ad oggi, dunque, sapere quante persone studiano quali lingue nel mondo è semplicemente impossibile.
«Non lo sa nessuno quanti studenti di italiano ci sono nel mondo: non si può sapere», afferma D’Alessandro dell’Istituto di linguistica di Utrecht. «Lo stesso vale per le grandi lingue: si pensi al cinese, al lahnda, l’hindi e l’urdu. Chi lo sa, per esempio, quante persone in Afghanistan studiano il russo? O il cinese in Tanzania? Nessuno lo sa e potrà mai saperlo con precisione».
Una posizione simile è stata espressa anche da Monica Barni, uno dei membri del gruppo di ricerca che ha realizzato la prima indagine, Italiano 2000, oggi vicepresidente della Regione Toscana ed ex rettrice dell’Università per stranieri a Siena.
«Così come non si poteva affermare allora che l’italiano era la terza, quarta lingua più appresa nel mondo, non lo si può fare a maggior ragione oggi, a quasi 15 anni di distanza», spiegava al seminario “L’italiano come risorsa del Sistema Italia”, organizzato a Roma nel 2014 da Icon, un consorzio di Università italiane che promuove la lingua e la cultura italiana attraverso l’e-learning.
Conclusione
Ciclicamente, sulla stampa italiana e nelle dichiarazioni di alcuni politici torna di attualità la notizia secondo cui l’italiano sarebbe «la quarta lingua più parlata al mondo». Ma come abbiamo visto, le fonti citate hanno diversi limiti.
Conoscere il numero delle persone che studiano una determinata lingua nel mondo è praticamente impossibile. Si può avere una stima abbastanza accurata di quanti individui frequentano i corsi di italiano organizzati da realtà come gli Istituti italiani di cultura, ma anche questo dato è parziale.
Se andiamo indietro ai primi anni Duemila, esiste effettivamente un rapporto commissionato dal Ministero degli Esteri, che ha rilevato come l’italiano sia la lingua straniera scelta più spesso come quarta lingua da studiare, e solo in un campione ristretto. Il fraintendimento di questo dato è probabilmente alla base della fortuna della “notizia”.
Governo Meloni
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