Negli ultimi mesi ha fatto molto discutere la proposta di legge contro l’omotransfobia nota come “legge Zan”, dal nome del suo principale promotore, il deputato del Partito democratico Alessandro Zan.
Nella sua formulazione attuale la legge ha ricevuto in Parlamento il supporto del centrosinistra – quindi del Partito democratico, Liberi e Uguali, Italia Viva e Movimento 5 stelle, anche se ci sono state alcune critiche – mentre è stato contrastato (anche qui, non in modo unanime) dalla Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia
Al di là delle opinioni personali, legittime o meno, è un fatto che oggi in Italia non sia in vigore una legge che condanni esplicitamente i casi di discriminazione fondati sull’orientamento sessuale, l’identità di genere o la disabilità. In carenza di una norma esplicita, per punire chi – ad esempio – commette un delitto mosso dall’odio verso gli omosessuali si può fare ricorso all’aggravante generica dei motivi abietti o futili (art. 61 del codice penale).
Ma come funziona negli altri Paesi europei? Abbiamo controllato, e molti tra i principali Stati europei hanno una legislazione che si occupa in maniera esplicita di crimini e discriminazioni legate all’omotransfobia. Prima di vedere i dettagli sugli altri Paesi, facciamo un rapido riassunto del contenuto della proposta di legge Zan.
Breve ripasso sulla legge Zan
Come abbiamo già spiegato, la proposta di legge avanzata da Alessandro Zan punta fondamentalmente a modificare l’articolo 604-bis del Codice penale e a estendere la legge Mancino (decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122) in modo da aggiungere gli atti discriminatori fondati «sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità» alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, che già oggi rappresentano un reato autonomo punibile con il carcere o una multa fino a 6 mila euro.
Le discriminazioni basate su orientamento sessuale, identità di genere o disabilità verrebbero anche aggiunte all’elenco di circostanze aggravanti già contemplate dall’articolo 604-ter.
Oltre a questi due elementi fondamentali, la legge Zan dà una serie di definizioni (di “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere”) e prevede anche una serie di strumenti volti a sensibilizzare la popolazione nei confronti della comunità Lgbtq+, come per esempio l’istituzione di una «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» (Articolo 7) e l’avvio di rilevazioni statistiche sul tema con cadenza almeno triennale (Articolo 10).
Le critiche
La proposta di legge ha fatto subito discutere ed è stata aspramente criticata da molti esponenti politici – soprattutto del centrodestra, ma non solo –, dal Vaticano e da gruppi di attivisti di vario genere. Le critiche possono essere riassunte in due punti fondamentali.
In primo luogo le definizioni date dalla legge Zan sono vaghe e questo rischia di tradursi in un eccesso di discrezionalità da parte dei giudici, che potrebbero dare un’applicazione non uniforme alla norma. Secondo alcune associazioni di attiviste, inoltre, la definizione fluida di “identità di genere” contenuta nella legge potrebbe portare alcuni a scegliere di definirsi come “uomo” o “donna” a piacimento o in base alla convenienza del momento. Nei giudizi relativi, i giudici – in assenza di leggi che disciplinino la materia – potrebbero attingere alle definizioni, appunto vaghe, date dalla legge Zan, anche se non fossero direttamente coinvolti episodi di discriminazione.
Chiariamo con degli esempi: se qualcuno viene picchiato in quanto la sua identità di genere cambia tutti i giorni e a qualcuno questo non va bene, ovviamente si applicherebbe la legge Zan con le sue definizioni. Se qualcuno vuole cambiare identità anche sui documenti, il suo percorso di transizione deve essere accertato (legge n.164 del 1982, art.1) dal giudice che valuta «non solo la serietà e univocità dell’intento, ma anche l’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere». Se qualcuno vuol far valere la propria identità di genere, diversa dal sesso biologico, in ambiti non disciplinati dalla legge, c’è il timore che i giudici possano – in via interpretativa – applicare la definizione molto vaga della legge Zan per collegare ad essa prestazioni o diritti che attualmente sono riservati alle donne.
In secondo luogo è difficile stabilire quali siano le condotte discriminatorie meritevoli di una sanzione penale (un problema che infatti già esiste circa le discriminazioni a sfondo razziale, già contemplate dall’ordinamento) e quali invece siano tutelate dalla libertà di espressione. Di nuovo quindi c’è un rischio di eccessiva discrezionalità da parte dei giudici. L’articolo 4 della proposta di legge Zan, che in teoria dovrebbe garantire la libertà di espressione, secondo autorevoli giuristi non sposta i termini del problema.
Queste critiche che abbiamo appena visto non riguardano tanto il cuore della proposta di legge Zan, cioè la previsione di reati e aggravanti esplicitamente dedicati a violenze e discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, quanto questioni formali o aspetti ulteriori della proposta di legge.
La mancanza di una normativa in Italia specifica per la repressione delle violenze e delle discriminazioni di matrice omostransfobica emerge peraltro in modo molto evidente da un confronto con gli ordinamenti degli altri principali Paesi europei.
Francia, tra i più severi
La Francia ha leggi particolarmente rigide nei confronti delle discriminazioni basate su sesso o genere. Nel 2003 infatti questi elementi sono stati riconosciuti dal Codice penale come possibili motivi di discriminazione (art. 225 1-4) – insieme tra le altre cose alle idee politiche, la situazione familiare, l’età o lo stato di gravidanza – e sono punibili in quanto reati autonomi con un massimo di cinque anni di carcere o una multa fino a 75 mila euro.
La legge punisce – ne avevamo parlato qui – con un anno di carcere e una multa fino a 45 mila euro anche il reato di provocazione alla discriminazione, all’odio o alla violenza, la diffamazione e l’ingiuria se questi avvengono, tra le altre cose, anche sulla base dell’«orientamento sessuale» o dell’«identità di genere».
Inoltre, dal 2017 le discriminazioni omotransfobiche sono considerate come possibili aggravanti per tutti i reati che prevedono il carcere come pena.
Spagna, una legislazione chiara
Anche l’ordinamento spagnolo è dotato di leggi che contrastano le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale o l’identità di genere. Il codice penale spagnolo prevede infatti (articolo 510) una pena fino a quattro anni di carcere per l’istigazione all’odio o alla violenza sulla base di elementi legati al sesso o al genere, oltre che alla religione, l’etnia, o la condizione di disabilità. Queste condotte, se associate ad altri reati, possono anche essere considerate come circostanze aggravanti (articolo 22).
Se la discriminazione viene portata avanti da un pubblico ufficiale, questa va anche incontro all’interdizione dai pubblici uffici (articolo 511) da uno a tre anni. Sono infine vietate le associazioni che promuovono comportamenti discriminatori (articolo 515) e i loro fondatori, direttori o soci attivi sono punibili con la detenzione fino a quattro anni.
La Germania non utilizza termini specifici
In Germania le discriminazioni omofobiche non vengono menzionate espressamente nel Codice penale. Spesso in questi casi viene fatto riferimento all’articolo 130, il quale condanna coloro che incitano odio e violenze o ledono la dignità, tramite insulti o diffamazione, di gruppi nazionali, etnici o religiosi, oppure di particolari individui o settori della popolazione.
Le ultime due categorie, particolarmente ampie e dai confini labili, potrebbero essere interpretate a favore delle discriminazioni basate su identità di genere, orientamento sessuale o disabilità. A luglio 2020, per esempio, un pastore protestante di Brema è stato denunciato proprio per incitamento dopo aver definito gli omosessuali come «criminali» e l’omosessualità come «una forma di degenerazione della società».
Il richiamo diretto all’omotransfobia non compare neppure nell’articolo relativo alle aggravanti (articolo 46), dove però si legge che nel decidere la pena il tribunale dovrà tenere in considerazione anche l’eventuale presenza di motivi o obiettivi di stampo razzista o xenofobico.
Il Regno Unito distingue tra orientamento sessuale e identità di genere
Nel 2008 il Regno Unito ha approvato per l’Inghilterra e il Galles il Criminal Justice and Immigration Act che, tra le tante misure, ha equiparato i crimini basati sull’odio religioso a quelli causati da discriminazioni nei confronti dell’orientamento sessuale.
Il documento però non fa riferimento a episodi di ostilità verso persone transgender, e in un report del Servizio della procura della Corona (Crown prosecution service, Cps) del 2017 si legge infatti che non esiste al momento un reato specifico per incitamento all’odio sulla base dell’identità di genere. Un altro report rilasciato nel dicembre 2020 da una commissione indipendente dell’Irlanda del Nord afferma che fino a quel momento nessuna delle legislazioni del Regno Unito contemplava la discriminazione basata sull’identità di genere tra i crimini d’odio.
Le leggi in vigore Inghilterra e Galles permettono comunque al giudice di tenere in considerazione e dichiarare la presenza di un eventuale movente sia omofobico che transfobico nel processo di decisione di una sentenza, ma questa motivazione non può comunque essere considerata come una vera e propria aggravante capace di aumentare la pena massima stabilita per il reato in questione.
In questo caso la presenza di un crimine d’odio su base etnica, razziale, religiosa o sessuale dovrà essere determinata dalla polizia e comunicati al Cps, che dovrà dimostrare la presenza o meno della discriminazione e farla presente alla Corte.
Il Parlamento scozzese invece ha recentemente approvato un nuovo provvedimento, chiamato Hate Crime Bill, che include nella legge contro i crimini d’odio anche gli episodi di discriminazione basati, tra le altre cose, sull’identità di genere. Le nuove disposizioni sono entrate in vigore lo scorso 23 aprile.
Gli altri Paesi
Tra gli altri Paesi europei si distingue la Svezia, dove i casi di discriminazione contro tutti gli esponenti della comunità Lgbtq+ sono chiaramente regolamentati e sanzionati.
Al capitolo 16, articolo 8 del Codice penale svedese infatti si legge che chiunque «minacci o esprima disprezzo per una popolazione facendo allusione alla sua razza, colore della pelle, origini nazionali o etniche, credo religioso, orientamento sessuale o identità di genere» è colpevole di agitazione e può essere condannato fino a un massimo di quattro anni di carcere. Le discriminazioni in questi ambiti sono anche considerabili come possibili aggravanti.
Altro esempio virtuoso è la Norvegia, che dal primo gennaio 2021 ha aggiunto l’identità o l’espressione di genere e l’orientamento sessuale alla lista di fattori che possono determinare “discorsi d’odio”, punibili con fino a tre anni di carcere (articolo 185 del Codice penale). In Portogallo poi l’articolo 240 del Codice penale punisce con fino a 5 anni di carcere chiunque provochi atti di violenza, minacci o discrimini una persona o un gruppo di persone a causa delle loro origini etniche o nazionali, del sesso, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o di particolari mancanze fisiche o psichiche.
In conclusione
Da mesi ormai in Italia si discute a proposito della proposta di legge avanzata dal deputato del Pd Alessandro Zan che punta principalmente a equiparare le violenze e gli atti discriminatori basati sull’orientamento sessuale, l’identità di genere o la disabilità di una persona a quelli fondati su motivi razziali, etnici o religiosi.
La proposta è stata criticata soprattutto a causa della definizione che il testo dà di identità di genere, considerata da alcuni problematica, e a causa dell’eccessiva discrezionalità lasciata ai giudici al momento di identificare libere opinioni e discriminazioni.
Al di là di queste critiche, che riguardano aspetti formali o ulteriori della legge, c’è un largo consenso sulla necessità di prevedere una punizione esplicita per i comportamenti discriminatori o violenti aggravati dall’omotransfobia. Ad oggi in Italia per punire queste condotte, a differenza di quelle razziste ad esempio, si può solo fare ricorso alle aggravanti comuni dei motivi abietti o futili.
Diversi Paesi in Europa hanno già in vigore leggi che assicurano punizioni simili a quelle previste dalla legge Zan: è il caso soprattutto di Spagna, Francia, Svezia, Portogallo e Norvegia, dove le discriminazioni sulla base dell’orientamente sessuale e l’identità di genere vengono espressamente punite dal Codice penale. La situazione in Germania, che non menziona espressamente questi termini ma applica le leggi contro l’incitamento all’odio in modo più generale, è invece più simile a quella dell’Italia.
In Inghilterra e Galles vengono condannate le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, mentre quelle fondate sull’identità di genere possono essere considerate come potenziali aggravanti. Dal 2021 la Scozia invece punisce entrambe le forme di discriminazione.
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