Il 28 aprile, dopo settimane di braccio di ferro fra i partiti favorevoli e i contrari, il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia è stato inserito nel calendario della commissione Giustizia al Senato.
L’iter della legge è stato sbloccato da un voto in commissione con uno scarto minimo: tredici senatori (Pd, M5s, Leu e Italia viva) hanno votato per la calendarizzazione, gli undici del centrodestra si sono opposti.
La strada del provvedimento rimane comunque in salita, soprattutto alla luce di un’evoluzione imprevista: il relatore del disegno di legge sarà proprio il presidente della commissione Giustizia, il senatore leghista Andrea Ostellari, che in questi mesi ha cercato, rinvio dopo rinvio, di affossare il testo. La Lega, con il resto del centrodestra, considera infatti il provvedimento «divisivo» e non prioritario.
Il ddl avrà quindi un relatore ostile al suo contenuto. A che cosa può portare questa situazione? Vediamo i dettagli.
La decisione di Ostellari
Intanto cerchiamo di capire in che modo la situazione si è sbloccata dopo settimane di stallo.
Come abbiamo spiegato di recente, il calendario delle commissioni viene generalmente stabilito dall’ufficio di presidenza – il presidente e i suoi vice – insieme ai rappresentati dei gruppi parlamentari.
Secondo una nota a piè di pagina al regolamento di Palazzo Madama (art. 29), «in mancanza di accordo in sede di ufficio di presidenza» (allargato ai rappresentanti dei gruppi) «sul programma e sul calendario dei lavori delle commissioni, la decisione definitiva in materia va rimessa al plenum della commissione», dunque a tutti i membri che ne fanno parte.
Nelle settimane passate, il presidente della commissione Giustizia al Senato Andrea Ostellari ha ignorato, finché è stato possibile, questa indicazione del regolamento. Nello specifico, il 20 aprile, quando i partiti a favore sono tornati a chiedere la calendarizzazione del ddl Zan, Ostellari ha rimesso la questione nelle mani della conferenza dei capigruppo del Senato anziché chiedere il voto della commissione giustizia per intero, come previsto dal regolamento.
Il 28 aprile, alla fine, il corretto procedimento è stato rispettato e la decisione sul provvedimento è stata messa al voto della plenaria in commissione Giustizia. Il risultato è stato determinato da uno scarto minimo. Tredici senatori si sono espressi a favore – Pd, M5s, Leu e Italia viva – e undici, del centrodestra, hanno votato contro.
Le forze politiche che sostengono il ddl hanno salutato la notizia con soddisfazione. Italia viva ha rivendicato l’importanza decisiva del loro voto in commissione. Hanno esultato Partito democratico, Movimento 5 stelle e Liberi e uguali.
Solo in pochi hanno messo in luce che – per quanto sia importante l’inserimento nel calendario – il ddl Zan ha davanti un percorso potenzialmente ancora molto travagliato.
Il presidente della commissione Giustizia Andrea Ostellari, nonostante faccia parte di un partito, la Lega, ostile al provvedimento, ricoprirà personalmente il ruolo di relatore.
Il senatore leghista ha fatto sapere in una nota che, visto che «il regolamento prevede che il relatore di ciascun disegno di legge sia il presidente della commissione, che ha la facoltà di delegare questa funzione ad altri commissari» (ed è effettivamente così, secondo l’articolo 41, comma 2), tratterà nelle sue mani la delega, «per garantire chi è favorevole al ddl e chi non lo è».
«Dispiace che il Presidente Ostellari abbia ritenuto di assumere il ruolo di relatore – ha commentato la senatrice Pd Monica Cirinnà – In queste settimane ha dimostrato, purtroppo, di non avere a cuore l’imparzialità del suo ruolo: sono curiosa di capire come eserciterà, a questo punto, quello di relatore».
Su quest’ultima domanda – in che modo Ostellari svolgerà il suo ruolo di relatore – si giocherà il destino della legge Zan contro l’omotransfobia nei prossimi mesi.
Il ruolo del relatore
Come spiega il glossario del Senato, il relatore è il senatore «delegato dal presidente della Commissione a studiare un disegno di legge (o altro documento) e a riferire alla commissione». Questo incarico lo rende il «regista politico del dibattito, che esprime il suo parere (in realtà, quello della maggioranza) su tutti gli emendamenti presentati» insieme al rappresentante del governo (in genere un sottosegretario).
La scelta del presidente della commissione Giustizia Ostellari di trattenere la delega sul ddl Zan «è inusuale nella prassi, ma rientra nelle possibilità che il regolamento concede», spiega a Pagella Politica Angelo Schillaci, professore associato di diritto pubblico comparato all’Università “La Sapienza” di Roma e attivista per i diritti Lgbt.
Ma al di là del ruolo formale, precisa il giurista, il relatore è anche «il parlamentare che si occupa di seguire l’iter di un provvedimento e portare avanti tutte le mediazioni politiche per arrivare all’approvazione del testo e delle modifiche».
Di conseguenza, è «molto raro che le funzioni di relatore del provvedimento vengano assunte da una persona che quel provvedimento non vuole portarlo in porto – aggiunge Schillaci – perché non è funzionale allo svolgimento dei lavori parlamentari».
Il relatore “ostruzionista”?
Un relatore può quindi fare ostruzionismo al testo di cui si deve occupare? E in che modo la commissione può rispondere a questa eventualità?
I poteri del relatore non sono illimitati. Su tutti i passaggi fondamentali, la commissione può accogliere o respingere le sue proposte. Facciamo degli esempi concreti (del tutto ipotetici).
Se Ostellari decidesse di proporre tre mesi di audizioni con professori, esperti e associazioni per allungare ancora i tempi dell’esame, la commissione potrebbe rifiutare. O ancora, se il presidente-relatore volesse stabilire un termine per la presentazione degli emendamenti fra dieci mesi, sempre con l’intento di procrastinare la fine dei lavori, la commissione potrebbe votare contro.
Una possibilità ancora più significativa: se il relatore proponesse un nuovo testo anziché continuare l’esame del testo a prima firma del deputato Pd Alessandro Zan, già approvato alla Camera, anche in questo caso il voto a maggioranza della commissione potrebbe fermarlo.
Le decisioni, in sostanza, sono sempre nelle mani della maggioranza della commissione. Che cosa può fare un potenziale relatore “ostruzionista”? Soprattutto dilatare i tempi dell’esame quanto più possibile.
Il relatore ha infatti la responsabilità di dare impulso ai lavori della commissione sul “suo” disegno di legge. Se questo impulso non arriva, se tutti i passaggi vengono ritardati, l’iter può diventare molto faticoso.
Un esempio è già disponibile. In un’intervista al quotidiano Avvenire, Ostellari ha detto che «tempo qualche settimana» e presenterà la sua relazione «sul ddl Zan e sugli altri 4 testi collegati». Dovranno insomma passare ancora altre settimane (e non si specifica quante) anche solo per la presentazione della relazione introduttiva che dà l’avvio alla discussione dei testi.
Da ultimo, poi, il relatore potrebbe non “chiudere” mai il testo, cercando di ritardare il momento in cui la commissione vota il mandato al relatore – ma anche qui, la maggioranza può rifiutarsi – e dà il primo ok al provvedimento perché venga poi discusso in aula.
Questo gioco potrebbe andare avanti all’infinito? Non esattamente. Se i partiti a favore dovessero realizzare che il relatore sta cercando di affossare il provvedimento, potrebbero sollevare la questione al di fuori della commissione.
«Se ci si rendesse conto che fra due mesi la commissione non ha neanche cominciato a discutere – spiega Angelo Schillaci a Pagella Politica – si potrebbe sollecitare la conferenza dei capigruppo del Senato a inserire il testo nel calendario dell’assemblea». In quel caso, forzando la mano, la commissione sarebbe obbligata a concludere i lavori e mandare il provvedimento in aula, con o senza mandato al presidente Ostellari.
Fra le varie ipotesi, l’unica certezza è che la Lega – piazzando un suo senatore come relatore del provvedimento – dispone ora, e per i prossimi mesi, di un ampio spazio per mettere in atto nuove manovre dilatorie.
Governo Meloni
Il “Taglia leggi” del governo Meloni non convince tutti