Bidello assolto per una “palpata” di 10 secondi? Che cosa dice davvero la sentenza

I giudici hanno stabilito che il gesto è stato commesso nei confronti di una studentessa, ma non costituisce reato di violenza sessuale. Abbiamo fatto un po’ di chiarezza sulle motivazioni
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
In questi giorni vari politici stanno commentando una discussa sentenza del tribunale di Roma che ha assolto un bidello dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di una studentessa minorenne. «Sono allibito dalla decisione del tribunale di Roma che ha assolto un bidello dall’accusa di violenza sessuale perché il palpeggiamento ai danni di una studentessa è durato troppo poco per essere considerato una molestia: “tra i 5 e i 10 secondi”», ha scritto su Facebook il 10 luglio Brando Benifei, capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo. «Lui scherzava. E il giudice gli dà ragione. Quindi infilare le mani nelle mutande di una ragazza sarebbe uno scherzo. La “palpata breve”. Ci sono i reati a tempo? A durata? La prossima volta si dirà che la palpata non aveva la giusta pressione? Che la superficie palpata non era sufficientemente ampia?», ha commentato sui social network Monica Cirinnà, ex senatrice del PD. 

Ma che cosa dice di preciso la sentenza? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.

Che cosa è successo

I fatti oggetto della sentenza (qui è disponibile il testo) sono avvenuti più di un anno fa, il 12 aprile 2022, in un istituto scolastico di Roma. Nella sua testimonianza durante il processo, la studentessa che ha accusato il bidello di violenza sessuale ha dichiarato che, dopo aver salito le scale entrando a scuola, «mentre si stava tirando su i pantaloni che le erano scesi dalla vita, sentiva da dietro delle mani entrarle nei pantaloni, sotto gli slip». In base alla testimonianza, si legge nella sentenza, le mani del bidello «toccavano i glutei» della studentessa «e poi la afferravano per le mutandine e la tiravano su sollevandola di circa 2 centimetri». «Il tutto durava circa cinque/dieci secondi», prosegue il testo.

All’inizio la studentessa ha pensato che il gesto fosse stato compiuto da un’amica, ma quando si è girata ha visto il bidello, che l’ha seguita in classe dicendole: «Amo lo sai che io scherzavo». La studentessa ha poi raccontato l’accaduto a una professoressa ed è andata dalla vicepreside della scuola. Nella sua testimonianza la studentessa ha raccontato, tra le altre cose, che il bidello era effettivamente solito chiamarla «amore» e  che «aveva avuto atteggiamenti simili anche con altre ragazze». 

Nella sentenza i giudici hanno scritto che le dichiarazioni della studentessa «sono apparse pienamente credibili, in quanto dettagliate, prive di contraddizioni, logiche, coerenti, nonché prive di alcun intento calunnioso nei confronti dell’imputato». Inoltre la sua versione dei fatti è stata supportata anche dalla testimonianza di altre persone sentite nel corso del processo, tra cui una compagna di scuola, una professoressa e la barista dell’istituto scolastico, che il 12 aprile 2022 ha assistito a un confronto proprio tra il bidello e la studentessa.

Durante il processo il bidello ha ammesso di «aver toccato la ragazza “per scherzo”», ma ha negato di «averle infilato le mani dentro i pantaloni e sotto gli slip».

Le ragioni della sentenza

Secondo i giudici nel corso del processo non sono emerse prove sufficienti per «formulare, senza alcun ragionevole dubbio, un giudizio di responsabilità dell’imputato». Vediamo come sono arrivati a questa conclusione i magistrati. 

La sentenza chiarisce che il gesto del bidello nei confronti della studentessa «integra sicuramente l’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 609 bis del codice penale». In concreto che cosa significa questa frase? L’articolo 609 bis del codice penale è quello che punisce il reato di violenza sessuale. «Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali, è punito con la reclusione da sei a 12 anni», si legge nell’articolo. Il cosiddetto “elemento oggettivo” del reato di cui parlano i giudici fa riferimento al fatto che il bidello ha effettivamente toccato i glutei della studentessa, considerata una «zona erogena». Come detto, su questo non ci sono dubbi: il gesto c’è stato. 

Secondo i magistrati il problema nel valutare il gesto del bidello sta nel cosiddetto “elemento soggettivo” del reato in questione, ossia nella volontà o meno di compiere il reato. Senza entrare troppo nei dettagli, questo elemento può assumere diverse forme, tra cui quella del dolo (quando un reato è compiuto volontariamente) oppure quella della colpa (quando un reato è compiuto per una qualche forma di negligenza, incapacità o disattenzione).

Nelle motivazioni della sentenza si legge che alcune caratteristiche del gesto del bidello «non consentono di configurare l’intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale» per definire un gesto una violenza sessuale. Tra le caratteristiche considerate del gesto in questione ci sono la sua velocità, «senza alcun insistenza nel toccamento, da considerarsi quasi uno sfioramento»; il luogo e il tempo in cui è stato compiuto, ossia «in pieno giorno in locale aperto al pubblico e in presenza di altre persone»; e le modalità con cui è stato compiuto, conclusosi alla fine con «il sollevamento della ragazza». 

Secondo i giudici il gesto del bidello lascia «ampi margini di dubbio sulla volontarietà nella violazione della libertà sessuale della ragazza» e quindi è convincente la tesi del bidello secondo cui si è trattato di uno scherzo, sebbene «sicuramente inopportuno», frutto di una «manovra maldestra». Per questo motivo il bidello è stato assolto perché «il fatto non costituisce reato», perché sull’elemento soggettivo l’accusa non è stata in grado di dissipare i dubbi (ricordiamo che per condannare qualcuno non basta un sospetto ma serve che l’imputato risulti colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio).  

Presentare l’assoluzione in primo grado come unicamente legata alla breve durata della molestia, come fatto da diversi politici, è dunque fuorviante. Sono varie le circostanze del fatto – tra cui anche l’orario, il contesto, le modalità e il luogo – che hanno spinto i giudici a ritenere che il ragionevole dubbio non fosse superato circa la colpevolezza dell’imputato. 

Si tratta in ogni caso di una sentenza di primo grado. L’11 luglio, in un’intervista con Fanpage, l’avvocato della studentessa Andrea Buitoni ha infatti annunciato che andrà «avanti perché un fatto del genere sia riconosciuto come reato». E il giorno dopo la studentessa ha detto al Corriere della Sera che spera che la procura faccia appello contro la decisione dei giudici.

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