La relazione sulla legge 194 è uscita incompleta e più in ritardo del solito

Mancano alcune tabelle fondamentali per capire quanti aborti sono praticati in ogni regione. Il Ministero della Salute dice che ci sono stati problemi nella raccolta dati
Ansa
Ansa
Aggiornamento 9 dicembre, ore 15:30  Il Ministero della Salute ha pubblicato le tabelle mancanti, che non erano presenti nella nuova relazione sull’attuazione della legge 194, pubblicata il 5 dicembre. Abbiamo aggiornato l’articolo con alcuni dei dati principali contenute nelle tabelle.

***


Giovedì 5 dicembre, con oltre nove mesi di ritardo rispetto alla scadenza prevista dalla legge, il Ministero della Salute ha pubblicato la relazione sull’attuazione della legge n. 194 del 1978, che regola l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in Italia. Ogni anno la pubblicazione dovrebbe avvenire entro febbraio, ma dal 1999 a oggi – periodo per cui sono disponibili le relazioni sul sito del Ministero della Salute – questa scadenza non è mai stata rispettata.

Secondo le verifiche di Pagella Politica, la relazione che è stata trasmessa al Parlamento con meno ritardo è stata quella del 2008, che è uscita il 21 aprile di quell’anno. Per le relazioni dal 2020 in poi non è presente la data di trasmissione al Parlamento, ma solo la data di pubblicazione sul sito del Ministero della Salute. Di solito, questa pubblicazione avviene al più tardi qualche giorno dopo la trasmissione al Parlamento. Nel 2018 si è registrato il ritardo più ampio, con la trasmissione avvenuta il 31 dicembre. Seguono poi le relazioni del 2017 (22 dicembre) e del 2016 (7 dicembre). Queste relazioni sono state pubblicate con mesi di ritardo, ma contenevano i dati relativi all’anno precedente. La relazione pubblicata quest’anno, invece, contiene i dati relativi al 2022, aggiornati quindi a due anni fa.

Per consentire al ministero di pubblicare la relazione entro i tempi prestabiliti, la legge 194 dice che «le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti» dal ministero. Secondo quanto si legge nella relazione di quest’anno, la pubblicazione in ritardo sarebbe stata causata dalle difficoltà riscontrate dalle regioni nel recuperare, controllare ed elaborare le informazioni da inviare al ministero.

Al di là dei ritardi, la relazione è stata anche pubblicata incompleta, senza tutte le tabelle di approfondimento sui dati relativi alle interruzioni di gravidanza. Inizialmente non erano disponibili diversi dati divisi per regione, dagli stabilimenti che effettuano IVG all’obiezione per categoria professionale. Solo quattro giorni dopo la pubblicazione della relazione sul sito del Ministero della Salute sono state aggiunte anche le tabelle con i dati regionali.

I dati della relazione

È comunque possibile riassumere a grandi linee alcuni dati contenuti nella relazione, che sono citati all’interno del testo.

Nel 2022 in Italia ci sono state 65.661 IVG, un numero più alto del 3,2 per cento rispetto al 2021, quando si erano registrate 63.653 IVG. Il dato più accurato per valutare il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza è il cosiddetto “tasso di abortività”, che misura il numero di IVG ogni mille donne residenti in Italia con un’età compresa tra i 15 e i 49 anni. Il tasso di abortività del 2022 è risultato pari a 5,6 per mille donne, con un aumento del 5 per cento rispetto al 2021. Il tasso di abortività maggiore riguarda le donne tra i 25 e i 34 anni, come negli anni precedenti.

Secondo i dati del rapporto, il 92,9 per cento delle donne riesce ad abortire nella propria regione di residenza. Il motivo per cui le donne potrebbero essere costrette a spostarsi riguarda principalmente il tasso di ginecologi obiettori di coscienza che però, come abbiamo detto, in questa relazione non è disponibile diviso per regione. L’obiezione di coscienza è prevista dalla legge 194 e consente agli operatori sanitari di decidere di non eseguire interventi che sono in contrasto con i propri valori e principi, tranne nei casi in cui sia compromessa la vita della paziente.

Il rapporto ha evidenziato una diminuzione delle IVG chirurgiche, che sono il 46,6 per cento del totale degli interventi. Di riflesso, continua ad aumentare il ricorso all’aborto farmacologico. In Italia l’aborto è possibile entro i primi 90 giorni di gravidanza, oltre i 90 giorni si può praticare solo nel caso in cui la gravidanza o il parto possano mettere in pericolo la salute della donna o per gravi malformazioni del feto. Nei primi 63 giorni di gravidanza è possibile ricorrere all’aborto farmacologico, che prevede l’assunzione a 48 ore di distanza l’uno dall’altro di mifepristone, conosciuto con il nome di RU486, e di prostaglandina. Come si legge sul sito del Ministero della Salute, il mifepristone «causa la cessazione della vitalità dell’embrione», mentre l’assunzione del secondo farmaco «ne determina l’espulsione». Per quanto riguarda invece il metodo chirurgico, consiste nell’aspirazione del contenuto della cavità uterina e può essere eseguito in anestesia locale o generale. In passato si usava la tecnica del raschiamento dell’utero, che oggi però è quasi del tutto abbandonata perché più rischiosa. Secondo gli ultimi dati, il 7,2 per cento degli interventi nel 2022 è stato eseguito con raschiamento, con percentuali regionali molto diverse, che raggiungono il 21 per cento in Sardegna.

Per la prima volta la relazione sull’attuazione della legge 194 contiene un dato utile a capire la reale disponibilità di medici non obiettori di coscienza: il numero di ginecologi non obiettori che effettuano IVG. Conteggiando unicamente i ginecologi non obiettori, infatti, non si ha un quadro preciso della situazione perché non è detto che tutti i ginecologi non obiettori pratichino aborti. «Escludendo le strutture di Marche, Sardegna e Sicilia, per cui questo dato è mancante o incompleto, il 92,6 per cento dei ginecologi non obiettori presenti nelle strutture in cui si pratica IVG esegue effettivamente IVG, mentre il 7,4 per cento non ne effettua», si legge nel rapporto.

Con la pubblicazione delle tabelle è possibile sapere quante sono le obiezioni di coscienza per categoria professionale per ogni regione. La media nazionale di ginecologi obiettori nelle strutture in cui si praticano aborti è pari al 60,7 per cento, un dato in diminuzione di quasi 3 punti rispetto al 2021. Anche gli obiettori di coscienza tra gli anestesisti e il personale non medico sono leggermente diminuiti. Il maggior numero di ginecologi obiettori è in Molise, dove quasi il 91 per cento dei ginecologi delle strutture sanitarie che effettuano IVG è obiettore di coscienza. Il dato più basso si registra in Valle d’Aosta, dove i ginecologi obiettori sono il 25 per cento. In generale, tra regioni e province autonome sono quindici quelle che hanno una percentuale di ginecologi obiettori superiore al 50 per cento. Più bassa invece la percentuale di obiettori tra anestesisti e personale non medico.

Passi in avanti

Nonostante il rapporto attuale sia stato pubblicato in ritardo e non sia completo, il Ministero della Salute ha scritto di voler migliorare la qualità dei dati e la divulgazione delle informazioni. In particolare, con il progetto “Interventi per il miglioramento della qualità dei dati, dell’offerta e dell’appropriatezza delle procedure di esecuzione e della divulgazione delle informazioni sull’interruzione volontaria di gravidanza”, il ministero vuole migliorare l’acceso «dei cittadini a informazioni relative alla contraccezione e all’IVG attraverso un sito istituzionale». Tra i vari dati offerti ci sarà anche una mappa dei punti IVG nelle regioni e nelle province autonome. Al momento, infatti, non è disponibile una mappa istituzionale in cui siano elencate le strutture in cui è possibile abortire. Esistono comunque alcune realtà che si occupano di divulgazione o che fanno raccolta dati: tra queste ci sono associazioni, movimenti, iniziative partite dal basso, come Obiezione Respinta, IVG e sto benissimo, Laiga 194 e l’associazione Luca Coscioni.

Ricapitolando: il Ministero della Salute ha espresso nella relazione la volontà di fornire dati migliori. Il report di quest’anno però è stato presentato con quasi dieci mesi di ritardo rispetto a quanto stabilito dalla legge 194 e inizialmente era incompleto, visto che mancavano le tabelle con i dati specifici per ogni regione. Inoltre, i dati contenuti nella relazione sono di due anni fa, quindi non più attuali.

SOSTIENI PAGELLA

Leggi ogni giorno la newsletter con le notizie più importanti sulla politica italiana. Ricevi le nostre guide eBook sui temi del momento.
ATTIVA LA PROVA GRATUITA
Newsletter

I Soldi dell’Europa

Il lunedì, ogni due settimane
Il lunedì, le cose da sapere sugli oltre 190 miliardi di euro che l’Unione europea darà all’Italia entro il 2026.

Ultimi articoli