La cucina italiana non è proprio la prima a diventare patrimonio dell’umanità

Alcuni esponenti del governo parlano di un primato, ma dai testi ufficiali dell’UNESCO emerge una realtà diversa
ANSA
ANSA
Nelle scorse ore diversi esponenti del governo Meloni, tra cui la stessa presidente del Consiglio, hanno festeggiato l’iscrizione della cucina italiana nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’UNESCO, rivendicando un primato. 

«Siamo i primi al mondo a ottenere questo riconoscimento, che onora quello che siamo, che onora la nostra identità», ha dichiarato in un videomessaggio Meloni. «Essere la prima cucina al mondo, nella sua interezza, a ottenere questo riconoscimento è motivo di grande orgoglio», ha dichiarato al Messaggero il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. «La cucina italiana patrimonio dell’umanità UNESCO! La prima nel mondo a essere riconosciuta nella sua interezza», ha scritto sui social il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini. 

In realtà questo presunto primato, così come viene raccontato, si regge su una distinzione più sottile di quanto sembri, e basta guardare con attenzione ai testi dell’UNESCO per capire perché.

Che cos’è il patrimonio immateriale

Per comprendere di che cosa stiamo parlando, bisogna fare un passo indietro. L’UNESCO – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di istruzione, scienza e cultura – distingue da tempo tra diverse forme di patrimonio culturale. Accanto a quello più noto, fatto di monumenti, siti archeologici e luoghi fisici, esiste il patrimonio culturale immateriale, che non riguarda oggetti o edifici, ma tradizioni vive, pratiche sociali, rituali, feste, saperi legati alla natura, competenze artigianali e modi di fare ereditati dal passato e trasmessi di generazione in generazione. 

Come spiega l’UNESCO, in questa prospettiva, il valore del patrimonio immateriale non sta tanto nella singola “manifestazione” in sé, quanto nel patrimonio di conoscenze e competenze che essa veicola e che continua a evolvere nel tempo, sia nelle comunità rurali sia in quelle urbane.

Il riconoscimento della cucina italiana

Il 10 dicembre l’UNESCO ha annunciato che è stata inserita nel patrimonio immateriale dell’umanità la «cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale». Sul suo sito ufficiale, però, l’UNESCO non parla di un elenco di piatti o di una tradizione gastronomica intesa come insieme “completo” e chiuso, ma descrive la cucina italiana come «un intreccio culturale e sociale di tradizioni culinarie», legato all’uso delle materie prime e a tecniche artigianali di preparazione del cibo. Si tratta – spiega l’UNESCO – di una pratica comunitaria che mette al centro «l’intimità con il cibo, il rispetto degli ingredienti e i momenti condivisi attorno alla tavola», radicata in ricette antispreco e nella trasmissione di sapori, competenze e memorie tra generazioni.

Secondo l’UNESCO, questa pratica è prima di tutto un modo di costruire e mantenere legami sociali: la cucina italiana è descritta come «un mezzo per connettersi con la famiglia e la comunità», sia nello spazio domestico sia in contesti collettivi come scuole, feste, cerimonie e incontri sociali. Alla sua trasmissione partecipano persone di tutte le età, con un ruolo centrale dei nonni nel passaggio delle conoscenze ai più giovani, attraverso scambi informali di ricette, suggerimenti e racconti, ma anche tramite percorsi formali di apprendimento. 

Al di là dell’atto del cucinare, l’UNESCO sottolinea che questa pratica è vissuta come una forma di cura di sé e degli altri, di espressione affettiva e di riscoperta delle proprie radici culturali, capace di rafforzare il senso di appartenenza, favorire l’inclusione sociale e promuovere un apprendimento continuo e intergenerazionale.

A rafforzare questa lettura è arrivata anche una precisazione ufficiale dell’UNESCO. In una dichiarazione al Washington Post, l’organizzazione ha chiarito che l’iscrizione della cucina italiana «non riconosce né iscrive l’intera cucina di una nazione in quanto tale», mettendo esplicitamente in guardia da interpretazioni in termini di primati assoluti. 

Nella stessa nota, l’UNESCO ha ricordato che la lista del patrimonio immateriale comprende già altre pratiche culinarie di ampia portata, in particolare due: la cucina tradizionale messicana e il pasto gastronomico dei francesi.

I precedenti

Nel caso del Messico, l’UNESCO ha inserito nel 2010 la cucina tradizionale messicana nel patrimonio immateriale perché la descrive come un modello culturale complessivo che comprende agricoltura, pratiche rituali, saperi antichi, tecniche culinarie e consuetudini comunitarie. La cucina tradizionale messicana è resa possibile dalla partecipazione collettiva lungo l’intera filiera alimentare, ed è fondata su ingredienti di base, metodi agricoli specifici, processi di trasformazione e utensili tradizionali. 

Secondo l’UNESCO, questo insieme di pratiche esprime l’identità delle comunità, rafforza i legami sociali e contribuisce a costruire identità locali, regionali e nazionali, oltre a essere un mezzo di sviluppo sostenibile. Sono elementi che richiamano da vicino la descrizione della cucina italiana come pratica comunitaria, radicata nel rapporto con le materie prime, nella trasmissione dei saperi e nel legame tra cibo, identità e territorio.

Anche il pasto gastronomico della Francia è stato inserito nella lista nel 2010 perché considerato dall’UNESCO una pratica sociale consuetudinaria, legata ai momenti importanti della vita individuale e collettiva. Il pasto gastronomico francese è descritto come un rito che enfatizza la convivialità, il piacere del gusto e l’equilibrio tra esseri umani e prodotti della natura, attraverso la selezione accurata dei piatti, l’uso di prodotti preferibilmente locali, l’abbinamento tra cibo e vino e una struttura codificata del pasto. 

Ancora una volta, i tratti che hanno motivato il riconoscimento sono gli stessi richiamati per la cucina italiana: il valore sociale del mangiare insieme, la trasmissione intergenerazionale delle conoscenze e la funzione del cibo come strumento di coesione e di appartenenza comunitaria.

Tra gli elementi iscritti nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità compaiono anche singoli alimenti o pratiche gastronomiche molto specifiche. Ci sono, per esempio, la cultura culinaria del boršč ucraino, la tradizione del caffè turco, la preparazione del kimchi (un piatto tradizionale coreano), oppure elementi come l’arte del pizzaiolo napoletano e del thieboudienne, un piatto del Senegal. 

In conclusione, è esagerato dire che la cucina italiana sia la prima a diventare patrimonio dell’umanità nella sua totalità. L’UNESCO non riconosce “cucine nazionali” nella loro interezza, ma pratiche culturali e sociali legate al cibo, e prima dell’Italia erano già state iscritte tradizioni gastronomiche di ampia portata come la cucina tradizionale messicana e il pasto gastronomico dei francesi.

A Natale tutti più buoni. Il resto dell’anno? Meglio più informati.

Regala un anno della nostra membership. Chi lo riceverà avrà accesso a:

• le guide sui temi del momento;
• la newsletter quotidiana con le notizie più importanti sulla politica;
• gli articoli esclusivi e all’archivio;
• un canale diretto di comunicazione con la redazione.
REGALA UN ABBONAMENTO
Newsletter

Politica di un certo genere

Ogni martedì
In questa newsletter proviamo a capire perché le questioni di genere sono anche una questione politica. Qui un esempio.

Ultimi articoli