Nelle ore successive alla vittoria dei “Sì” al referendum del 20 e 21 agosto sulla riduzione dei parlamentari, con quasi il 70 per cento dei voti espressi, diversi esponenti delle forze di opposizione hanno sostenuto che adesso si dovrebbero sciogliere le Camere.
La presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ad esempio ha parlato apertamente di «Parlamento delegittimato dagli italiani nella sua composizione e anche nella sua numerosità» e il segretario della Lega Matteo Salvini ha espresso una posizione simile, affermando che «ci sono 300 parlamentari in più del previsto, e la prima forza politica di due anni fa è stata democraticamente cancellata dagli elettori».
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Il punto – per usare le parole del capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, anch’egli schierato sulla richiesta di scioglimento delle Camere – è che «sarebbe strano avere un Parlamento non in linea con la Costituzione».
Ovviamente il fatto che le forze politiche che hanno ottenuto la maggioranza dei voti alle ultime elezioni politiche non abbiano ottenuto la maggioranza in altre elezioni successive – regionali, europee, amministrative e via dicendo – non ha alcuna importanza da un punto di vista legale.
Vediamo però se l’approvazione di una riforma costituzionale che modifica la composizione del Parlamento giustifichi la richiesta di scioglimento delle Camere.
Che cosa dice la riforma appena approvata
Per prima cosa bisogna specificare che, nei suoi effetti pratici, la Costituzione al momento non è ancora cambiata.
Nella legge costituzionale approvata dai cittadini al referendum, si legge infatti (art. 4) che le disposizioni degli articoli della Costituzione come modificati dalla riforma «si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale», e comunque non prima che siano passati 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale.
Dunque era previsto che gli effetti della legge costituzionale che riduce i parlamentari, approvata dal referendum, non si ripercuotessero su questa legislatura, ma a partire dalla successiva.
Che cosa dice la Costituzione
La Costituzione non impone poi alcun obbligo di scioglimento delle Camere in caso di riforma.
La procedura di riforma costituzionale è stabilita dall’articolo 138 della Carta, che non impone nessun obbligo di scioglimento delle Camere in nessun caso.
In base poi all’articolo 60 della Costituzione, la durata della legislatura è di cinque anni e l’unica eccezione esplicitamente prevista è la possibilità di proroga per legge in caso di guerra.
Che cosa dicono gli esperti
Diversi autorevoli costituzionalisti hanno poi chiarito che da un punto di vista giuridico non c’è alcun obbligo di scioglimento delle Camere.
Abbiamo contattato Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, il quale ci ha detto che «non esiste l’idea che il Parlamento sia delegittimato. È la stessa legge costituzionale che è stata approvata dal referendum a prevedere, all’articolo 4, uno spazio di lavoro per l’attuale Parlamento. Le novità entreranno in vigore al termine di questa legislatura, non prima, quindi non è vero che l’attuale Parlamento sia delegittimato».
Anche Cesare Mirabelli, altro presidente emerito della Corte Costituzionale, ha dichiarato il 22 settembre ad Avvenire che «sul piano giuridico questo Parlamento non è affatto delegittimato».
Alfonso Celotto, costituzionalista e capogabinetto di diversi ministri di diverse estrazioni politiche, ha poi spiegato sull’Huffington Post che andare a votare immediatamente potrebbe addirittura creare la situazione paradossale per cui anche il prossimo Parlamento – se eletto prima dei 60 giorni che devono trascorrere dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge costituzionale approvata con il referendum – sarebbe composto da 945 membri.
Secondo Celotto, poi, «non è pensabile di annullare tutto e andare a votare subito, perché ci sono delle esigenze di funzionamento dell’intero sistema». Il costituzionalista porta come esempio quanto accaduto con il Porcellum, la legge elettorale bocciata dalla Consulta nel 2014. Allora i giudici costituzionali specificarono nella sentenza che anche un Parlamento eletto con una legge poi dichiarata incostituzionale non era comunque illegittimo, così come gli atti adottati da questo prima delle nuove elezioni.
Le «esigenze di funzionamento» del sistema citate da Celotto, peraltro, impongono una serie di interventi normativi, dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale approvata con il referendum. Ridotto il numero di deputati e senatori, è infatti ora necessario ridisegnare i collegi elettorali, mettere mano alla legge elettorale e modificare i regolamenti parlamentari e la composizione delle commissioni.
In conclusione
Diversi esponenti dell’opposizione hanno sostenuto che, dopo la vittoria dei “Sì” al referendum che riduce il numero dei parlamentari, questo Parlamento sia delegittimato e dunque si dovrebbero sciogliere le Camere e tornare al voto.
Questa posizione è ovviamente legittima da un punto di vista politico. Le forze di opposizione possono sempre chiedere al governo di dimettersi e invocare nuove elezioni. La vittoria dei “Sì” al referendum permette al centrodestra di domandare che la volontà espressa dai cittadini con il loro voto, di veder ridotto il numero dei parlamentari, venga immediatamente rispettata (ma è lecito pensare che elezioni anticipate sarebbero state chieste anche, se non soprattutto, in caso di vittoria dei “No”). Si tratta però di questioni politiche e non giuridiche.
La richiesta delle opposizioni di sciogliere le Camere non ha invece alcuna base normativa e costituzionale.
Secondo il testo della legge costituzionale approvata con il referendum, la riduzione dei seggi si applicherà a partire dalla prossima legislatura. La Costituzione stessa non impone alcun obbligo di scioglimento anticipato delle Camere e, secondo il parere concorde di diversi e autorevoli esperti, sostenere che l’attuale Parlamento sia delegittimato non ha fondamento.
Anzi, sono ora necessarie una serie di modifiche che dipendono dal taglio dei parlamentari, che andrebbero terminate prima che si vada a votare per una Camera composta da 400 deputati e un Senato da 200 senatori. Addirittura, se si corresse al voto immediatamente, e si votasse prima di 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge costituzionale, si avrebbe il paradosso di eleggere di nuovo un Parlamento composto da 945 membri.
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