«Quando dite “sì” perché avete paura, è “no”. Quando dite “sì” per fare pace, è “no”. Quando non dite niente, quando non fate nulla, è “no”». Con queste parole a fine ottobre la senatrice di Les Écologistes Mélanie Vogel ha sintetizzato il senso della riforma che ha introdotto in Francia il concetto di “consenso” nella definizione penale di “strupro”. «L’unico “sì” valido è un “sì” libero. Viviamo da secoli nella cultura dello stupro. Cominciamo a costruire da questa sera la cultura del consenso».

Prima della recente modifica, lo stupro nella legislazione francese era definito come qualsiasi atto di penetrazione sessuale commesso con «violenza, coercizione, minaccia o sorpresa». La scorsa settimana, invece, è stato stabilito che è stupro qualsiasi atto sessuale non consensuale. Secondo la nuova legge il consenso deve essere «libero e informato, specifico, preliminare e revocabile» e non può «essere dedotto dal solo silenzio o dalla sola assenza di reazione della vittima». Legalmente, quindi, è la presenza o meno del consenso che distingue un rapporto sessuale da uno stupro. Questo consenso non dovrà essere espresso con un documento firmato, come hanno riportato erroneamente alcuni commentatori italiani: la legge francese parla di libertà e volontarietà, non di burocrazia.

La Francia non è il primo Paese a inserire il riferimento esplicito al consenso nelle leggi. Ma tra i vari Stati che l’hanno introdotto l’Italia non c’è. L’anno scorso è stata depositata una proposta di legge che avvicinerebbe il nostro Paese alla Francia. Al momento, però, non è ancora stata approvata: dopo mesi di discussione in commissione, l’inizio dell’esame del testo in aula alla Camera è previsto per il 17 novembre.