La maledizione dei segretari Pd

Ansa
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Sette segretari in poco più di tredici anni. Il Partito democratico, con le dimissioni di Nicola Zingaretti dal ruolo al vertice della segretaria, colleziona un altro addio nella sua storia.

Non solo. Dei sei ex che hanno guidato il partito prima di Zingaretti, tre non sono più nel Pd e due hanno lasciato la politica.

Walter Veltroni si dedica a tempo pieno all’attività di intellettuale e scrittore. Pier Luigi Bersani ha contribuito alla fondazione di una nuova forza politica, Articolo 1 – Movimento democratico e progressista (Mdp), poi confluito in Liberi e uguali. Nella scissione è stato seguito da un altro ex segretario, Guglielmo Epifani, oggi deputato di Leu. Il più longevo alla guida della segreteria è stato Matteo Renzi: e anche lui nel 2019 ha fondato un altro partito, Italia viva. Maurizio Martina è di recente diventato special advisor e vicedirettore generale aggiunto della Fao, l’Organizzazione della Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, lasciando il Parlamento.

Vediamo quanto sono durati i segretari del Partito democratico, quali sono stati gli eventi decisivi del loro “mandato” e cosa li ha portati a lasciare.

Walter Veltroni

Chi è: Romano, 65 anni, Walter Veltroni è stato di tutto: iscritto al Partito comunista italiano dal 1975, direttore del quotidiano l’Unità (1992-1996), deputato dal 1987 al 2013, ministro per i Beni culturali e vicepresidente del Consiglio nel primo governo di Romano Prodi (1996-1998), segretario dei Democratici di sinistra dal 1998, sindaco di Roma per due volte (2001-2006 e 2006-2008), segretario del Partito Democratico dal 2007, candidato premier per lo stesso partito (Politiche 2008). Ha scritto 21 saggi, 13 opere di narrativa ed è stato il regista di 9 fra film e documentari. E per non farsi mancare niente – curiosità – nel 2005 Veltroni ha anche doppiato Rino il Tacchino nel cartone animato “Chicken Little”. Dopo aver detto addio alla politica “attiva” (degli incarichi), si dedica prevalentemente all’attività di scrittore, saggista e regista.

Gli anni da segretario: Il 26 giugno 2007 Walter Veltroni lanciò la sua candidatura alla segreteria del Pd con il famoso “discorso del Lingotto” (a Torino), visto poi come un vero e proprio manifesto del nascente partito a vocazione maggioritaria: «Unire le culture e le forze riformiste del nostro Paese. Superare la parzialità e l’insufficienza di ognuna di esse, di ognuno di noi. Dar vita a una forza plurale attraverso non il semplice accostamento, ma una creazione nuova. Far nascere, finalmente, il Partito democratico, la grande forza riformista che l’Italia non ha mai avuto».

Il Pd nacque ufficialmente pochi mesi dopo, il 14 ottobre 2007 e Veltroni fu il primo segretario, dopo aver vinto le primarie. O meglio stravinto: l’allora sindaco di Roma ottenne la guida della segretaria investito dal 76 per cento degli elettori democratici, contro il 13 per cento di Rosy Bindi e circa l’11 di Enrico Letta. Molto ampia anche la partecipazione: tre milioni e 400mila votanti secondo i dati forniti dall’organizzazione del partito.

Nel 2008, candidato premier del Partito democratico, Veltroni perse le elezioni politiche contro la coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi. Il risultato – circa il 33 per cento dei voti – fu in realtà uno dei picchi di consenso per il partito, e tuttavia insufficiente per la vittoria. Nel corso della campagna elettorale, il segretario Pd si attirò critiche e ironie per aver sempre evitato di pronunciare il nome di Silvio Berlusconi, preferendo la perifrasi il «principale esponente dello schieramento a noi avverso».
Walter Veltroni durante il discorso del Lingotto a Torino, il 14 ottobre 2007 – Foto: Ansa
Walter Veltroni durante il discorso del Lingotto a Torino, il 14 ottobre 2007 – Foto: Ansa
Dopo le elezioni del 2018, durante il IV governo Berlusconi, Veltroni lanciò un “governo ombra” per fare opposizione all’esecutivo in carica («Noi non assumiamo soltanto l’onere di dire no, ma abbiamo il dovere di fare proposte alternative», spiegava ai giornali).

Perché ha lasciato: Veltroni si dimise nel 2009, dopo la sconfitta alle regionali in Sardegna del presidente uscente e candidato dem Renato Soru contro Ugo Cappellacci del Popolo della Libertà. Con la debacle sarda il Pd a guida Veltroni registrava cinque sconfitte su cinque tornate elettorali (nazionali e locali) fra il 2008 e il 2009. La leadership del segretario era stata fortemente indebolita anche dagli oppositori interni (per dirne uno: il 26 giugno 2008, Massimo D’Alema aveva fondato una propria associazione nel partito, “Red”).

«Il Pd è il sogno della mia vita ma non sono riuscito a farlo avanzare, mi scuso e per questo lascio», furono le sue parole di congedo dal ruolo di segretario, il 17 febbraio 2009.

Nel 2012 Veltroni scelse di non ricandidarsi in Parlamento: «Continuerò a fare politica, attraverso quello in cui ho sempre creduto, cioè l’impegno civile, la battaglia di valori sulla legalità».

Dario Franceschini

Chi è: Nato a Ferrara nel 1968, Dario Franceschini ha iniziato a fare politica nella Democrazia cristiana, a metà degli anni ’70. Politicamente si è sempre collocato fra le fila dei cattolici di sinistra, continuando la propria carriera nel Partito popolare italiano (erede della Dc), con una breve parentesi nel movimento Cristiano sociale. Nel 2001 è stato fra i fondatori della Margherita, partito di stampo cattolico riformista, poi fuso con i Democratici di sinistra nel Pd, a partire dal 2007. Franceschini ha ricoperto vari incarichi di governo: sottosegretario alla presidenza del Consiglio (1999-2001), ministro per i Rapporti con il parlamento (2013-2014) nel governo di Enrico Letta – con il quale condivide anche un rapporto di amicizia – e oggi, per la terza volta, a capo del ministero della Cultura (con formulazioni variabili, a volte comprensive del Turismo).

I mesi da segretario: Dopo le dimissioni di Walter Veltroni, il suo vice Dario Franceschini fu eletto segretario del Pd dal voto dell’Assemblea nazionale il 21 febbraio 2009, vincendo contro il prodiano Arturo Parisi. La stessa Assemblea – una specie di “parlamentino” del Partito democratico – aveva deciso di scegliere subito un nuovo segretario con piene funzioni (non un reggente, dunque) ma senza passare per le primarie per l’approssimarsi delle elezioni Europee e regionali di giugno 2009. La segreteria di Franceschini aveva comunque una data di scadenza: ottobre dello stesso anno, quando si sarebbero tenute le primarie.

Perché ha lasciato: il 25 ottobre 2009, Franceschini perse le primarie contro Pier Luigi Bersani (il terzo classificato nella competizione era Ignazio Marino). Ancora oggi il ministro della Cultura è uno dei maggiorenti del partito, a capo della corrente – fra le più influenti – AreaDem.

Pier Luigi Bersani

Chi è: Classe 1951, nato a Bettola, in provincia di Piacenza, famoso per i suoi originali modi di dire, Pier Luigi Bersani è stato – dopo Matteo Renzi – uno dei segretari più longevi del Partito democratico, in carica dal 2009 al 2013. Bersani ha militato nel Partito comunista italiano, nel Pds e poi nei Democratici di sinistra, fino alla fondazione del Partito democratico. In Emilia Romagna è stato prima consigliere regionale, poi presidente della Regione (1993-1996). È stato ministro dell’Industria e del Commercio (1996-1999) nei governi Prodi I e D’Alema I, ministro dei Trasporti e della Navigazione nei governi D’Alema II e Amato II (1999-2001) e ministro dello Sviluppo economico nel secondo governo Prodi (2006-2008). Oggi è un deputato di Liberi e uguali.

Gli anni da segretario: Bersani vinse le primarie del Pd il 25 ottobre 2009 contro Dario Franceschini e Ignazio Marino. «Sarà un partito senza padroni, non di un uomo solo, ma un collettivo di protagonisti», disse dopo l’elezione. Un proposito che non convinse tutti. A fine ottobre, Francesco Rutelli, ex segretario della Margherita, lasciò il partito giudicandolo troppo spostato a sinistra: «Il Pd non è mai nato –spiegava in un’intervista al Corriere della sera – Non ho nulla contro un partito democratico di sinistra, ma non può essere il mio partito».

Con la segretaria di Bersani, il Pd ha in effetti riaprì le alleanze “a sinistra”, includendo Sel (Sinistra ecologia libertà), il partito di Nichi Vendola, nella coalizione per le elezioni amministrative del 2011 (di cui faceva parte anche l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro).
L’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani – Foto: Ansa
L’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani – Foto: Ansa
Durante il governo Monti, nel 2012, Bersani vinse le primarie all’interno della coalizione di centro-sinistra “Italia. Bene Comune” – Partito democratico, Sinistra ecologia libertà e il Partito Socialista italiano – confermandosi come candidato premier per le successive elezioni politiche del 2013. Il principale sfidante del segretario in carica era il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi, emerso in quei mesi con l’intenzione di “rottamare” la classe dirigente del Pd.

Della campagna elettorale del 2013 rimase famosa la battuta di Bersani rivolta all’avversario Silvio Berlusconi, sempre alla guida della coalizione di centrodestra: «Ancora sette giorni e lo smacchiamo il giaguaro».

Alle elezioni politiche del 24 febbraio 2013, però, il Partito democratico portò a casa una «non vittoria», altra espressione celebre nella storia di Bersani: «Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto», furono le parole amare del segretario Pd dopo i risultati. Infatti, la coalizione di centrosinistra ottenne nella tornata elettorale il 29,55 per cento dei voti, contro il 29,18 per cento del centrodestra e il 25,56 del Movimento 5 stelle.

Davanti alla situazione di stallo, Pier Luigi Bersani – in questo, sfortunato precursore – tentò per primo di formare un governo anche con il Movimento 5 stelle. Ma i tempi non erano ancora maturi. Nel corso di un incontro in streaming, il Movimento 5 stelle rifiutò la mano tesa del premier incaricato, che alla fine non sarebbe riuscito a formare nessun governo. Poco dopo nacque l’esecutivo di larghe intese guidato da Enrico Letta.

Perché ha lasciato: Nel 2013, a due mesi dalle politiche, il Parlamento era chiamato a scegliere un nuovo presidente della Repubblica, scaduto il mandato di Giorgio Napolitano. Dopo la bocciatura alla luce del sole del suo primo candidato, Franco Marini, Bersani propose per il Quirinale il nome di uno dei padri fondatori del partito, Romano Prodi. Prima del voto delle camere, la proposta del segretario fu accolta dalla maggior parte del Pd, riunito al Teatro Capranica di Roma, da una standing ovation. Un’incoronazione per acclamazione. Il giorno dello scrutinio a Montecitorio, il 19 aprile 2013, Romano Prodi invece non fu eletto. A mancare furono i voti proprio di 101 parlamentari Pd, passati alla storia come i «101 franchi tiratori». I “mandanti” del tradimento non sono mai stati rivelati, ma il fallimento di Bersani era al centro degli interessi di due personaggi chiave del partito: da una parte Massimo D’Alema, dall’altra Matteo Renzi. Il passato e il futuro.

Bersani decise di dimettersi il giorno stesso, il 19 aprile 2013: «Per me è troppo. Fra di noi uno su quattro ha tradito».

Nel febbraio 2017, dopo mesi di dissenso con la linea del Pd guidato da Matteo Renzi, Pier Luigi Bersani lasciò il Partito democratico e contribuì a creare il gruppo parlamentare (poi diventato partito) Articolo 1 – Movimento democratico e progressista, successivamente confluito in Liberi e uguali, di cui è ancora oggi deputato dal 2018 (Leu si è in realtà sciolto nel novembre 2018, ma esiste ancora nella denominazione dei gruppi parlamentari).

Guglielmo Epifani

Chi è: Iscritto alla Cgil nel 1973, Guglielmo Epifani ha lavorato quarant’anni all’interno del sindacato, di cui è stato anche segretario generale dal 2002 al 2010. Alle elezioni del 2013 si è candidato ed è stato eletto come deputato del Partito democratico. Oggi è ancora deputato, eletto con Liberi e uguali dal 2018.

Una segreteria “pro tempore”: Dopo le dimissioni di Bersani, l’11 maggio 2013, Gugliemo Epifani fu nominato segretario reggente dall’Assemblea del Partito democratico con 458 voti su 534. Rimase in carica fino alle primarie dell’8 dicembre dello stesso anno, vinte da Matteo Renzi. Anche Epifani, come Bersani, ha lasciato il Pd nel 2017 in conflitto con Renzi e ha aderito al gruppo Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista, poi diventato Liberi e uguali.

Matteo Renzi

Chi è: Fiorentino, classe 1975, Matteo Renzi, ha guidato il Partito democratico per circa quattro anni, poco più di Bersani. Ha sempre rivendicato l’esperienza di scout come fondamentale nella sua formazione giovanile. Prima del Pd, ha fatto parte del Partito popolare italiano e della Margherita. È stato presidente della provincia di Firenze (2004-2009) e sindaco dal 2008. Nel 2010 ha cominciato a far parlare di sé nella politica nazionale, proponendosi come “rottamatore”: «Mandiamoli tutti a casa questi leader tristi del Pd – diceva in un’intervista a Repubblica, nell’agosto 2010 – Se vogliamo sbarazzarci di nonno Silvio, dobbiamo liberarci di un’intera generazione di dirigenti del mio partito. Non faccio distinzioni tra D’Alema, Veltroni, Bersani… Basta. È il momento della rottamazione». Arrivato a Palazzo Chigi a 39 anni, è stato il più giovane presidente del Consiglio della storia repubblicana. Oggi è il leader di Italia viva, fondato nel 2019 dopo aver detto addio al Pd.

Gli anni da segretario: L’8 dicembre 2013 Matteo Renzi vinse le primarie del Partito democratico con quasi il 70 per cento delle preferenze. I due candidati concorrenti erano Gianni Cuperlo e Pippo Civati, fermi rispettivamente al 20 e 10 per cento. Il risultato era stato salutato dall’allora premier Enrico Letta con un tweet: «Con Renzi lavoreremo insieme, con spirito di squadra».

Il primo atto politico della segreteria renziana fu il controverso «patto del Nazareno», l’accordo siglato con l’avversario storico del Pd, Silvio Berlusconi, proprio nella sede romana del partito, il 18 gennaio 2013. L’intesa ruotava intorno a una serie di riforme istituzionali da realizzare insieme: la legge elettorale, la modifica del bicameralismo e del Titolo V della Costituzione sul rapporto fra Stato e regioni.

Il 17 gennaio, ospite da Daria Bignardi alle Invasioni barbariche, in risposta al sospetto che volesse scalzare Letta alla presidenza del Consiglio, lanciò l’hashtag #enricostaisereno («Nessuno ti vuol fregare il posto»).

Un mese dopo, il 13 gennaio 2014, la direzione nazionale del Pd di Matteo Renzi “sfiduciò” il proprio presidente del Consiglio, decretando «la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo». Il giorno dopo Enrico Letta si dimise. Il 17 febbraio, il segretario del Pd ricevette dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il mandato per la formazione di un nuovo governo.
22 febbraio 2014, il freddo passaggio di consegne fra Enrico Letta e Matteo Renzi, appena diventato presidente del Consiglio – Foto: Ansa
22 febbraio 2014, il freddo passaggio di consegne fra Enrico Letta e Matteo Renzi, appena diventato presidente del Consiglio – Foto: Ansa
Mentre Renzi era presidente del Consiglio e segretario del Pd, il 25 maggio 2014, alle elezioni Europee il partito ottenne il 40 per cento dei voti, la punta massima di consensi dalla sua fondazione.

Renzi annunciò le sue dimissioni da presidente del Consiglio il 5 dicembre, dopo aver (fortemente) personalizzato e perso il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Un mese dopo si dimise anche dal ruolo di segretario del Pd: «Perché chiediamo il congresso? Perché io non sarò mai il custode di un caminetto, io non sarò mai il garante di un patto fra correnti, io per carattere scelgo sempre il mare della sfida e non la palude di equilibri interni, per il quale non sono adatto». Con queste parole di Renzi, il 13 febbraio 2017, si apriva una nuova fase congressuale nel Partito democratico. Dal 19 febbraio al 7 maggio, il presidente dell’Assemblea nazionale Matteo Orfini traghettò il partito alle primarie come segretario ad interim.

Il 30 aprile 2017 Matteo Renzi vinse nuovamente le primarie del Pd con il 69,2 per cento dei voti, contro il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il presidente della Puglia Michele Emiliano. Il secondo mandato di Renzi alla guida della segreteria durò però meno di un anno, prima delle dimissioni a marzo 2018.

Perché ha lasciato: Dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018 – in cui il Pd sfiorò appena il 19 per cento – Matteo Renzi lasciò definitivamente la guida del partito: «Abbiamo riconosciuto con chiarezza che si tratta di una sconfitta netta, una sconfitta che ci impone di aprire una pagina nuova all’interno del Pd».

Renzi è rimasto nel Pd fino al 18 settembre 2019, quando ha formato un nuovo partito, Italia viva: «Dopo sette anni di fuoco amico penso si debba prendere atto che i nostri valori, le nostre idee, i nostri sogni non possono essere tutti i giorni oggetto di litigi interni».

Maurizio Martina

Chi è: 42 anni, bergamasco, Maurizio Martina ha iniziato a fare politica nei Democratici di Sinistra, di cui è stato anche segretario regionale in Lombardia. Dal 2014 al 2018 è stato ministro delle Politiche agricole del governo Renzi. Oggi è special advisor e vicedirettore generale aggiunto della Fao, l’Organizzazione della Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

Il periodo da segretario: Dopo le dimissioni di Matteo Renzi, dal 12 marzo al 7 luglio 2018, Martina, in quanto vice, assunse il ruolo di segretario ad interim. Il 7 luglio dello stesso anno l’Assemblea nazionale del Pd lo scelse ufficialmente come segretario del partito. Si dimise poi il 17 novembre, avviando la fase congressuale verso nuove primarie, per le quali era a sua volta candidato (nella competizione c’era anche Roberto Giachetti). Il 3 marzo 2019 a vincere le primarie con il 65 per cento dei voti è stato invece Nicola Zingaretti, oggi a sua volta segretario dimissionario.

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