Il fact-checking di Claudio Borghi contro i vaccini obbligatori per i bambini

Il senatore della Lega commette alcuni errori quando dice che solo Italia e Francia hanno 12 vaccinazioni obbligatorie per i più piccoli e che i Paesi senza obblighi hanno coperture vaccinali migliori
Pagella Politica
Il 7 luglio, in un video pubblicato su X, il senatore della Lega Claudio Borghi ha difeso la sua «proposta di legge» per l’abolizione della cosiddetta “legge Lorenzin” che, secondo lui, «impone l’obbligo di 12 vaccini ai bambini per potersi iscrivere all’asilo». «In Europa solo noi e la Francia abbiamo questo obbligo: tutti gli altri Paesi non ce l’hanno l’obbligo e le cose vanno meglio», ha aggiunto Borghi.
Secondo il senatore della lega, l’obbligo vaccinale rischia di avere l’«effetto opposto» di quello voluto, spingendo i genitori a non vaccinare i figli. «Provate a immaginare un genitore che deve portare un piccolo bimbo che ha da zero a tre anni a fare 12 vaccini assieme: è possibile che scatti il rifiuto. Dice: “No, io non glieli faccio!”», ha aggiunto Borghi, secondo cui in questo modo un genitore è spinto a non far vaccinare il proprio figlio con i vaccini che «servirebbero, come per esempio il morbillo».

Abbiamo controllato che cosa c’è di vero e che cosa no in queste dichiarazioni e, al di là della legittima opinione di Borghi sull’obbligo vaccinale, il senatore della Lega ha commesso alcuni errori fattuali.

La proposta di Borghi

Partiamo dal contenuto della “legge Lorenzin”. Questo nome è stato dato al decreto-legge n. 73 del 2017, convertito in legge a luglio di quell’anno, quando l’allora ministra della Salute del governo Gentiloni era Beatrice Lorenzin, oggi senatrice del Partito Democratico. 

La “legge Lorenzin” ha stabilito che per i minori tra zero e 16 anni di età sono «obbligatorie e gratuite» dieci vaccinazioni: quelle contro la poliomielite, la difterite, il tetano, l’epatite B, la pertosse, l’Haemophilus Influenzae di tipo B, il morbillo, la rosolia, la pertosse e la varicella. In base al calendario vaccinale, le prime dosi di questi vaccini vanno somministrate entro il primo anno di vita del bambino. L’obiettivo della “legge Lorenzin”, come aveva dichiarato all’epoca la stessa ministra della Salute, era «aumentare la copertura vaccinale in tutto l’arco della vita» degli adolescenti, in particolare per contrastare la crescita dei casi di morbillo.

Il primo errore di Borghi riguarda quindi il numero dei vaccini obbligatori per i bambini: non sono 12, ma dieci. All’inizio il decreto-legge approvato dal governo Gentiloni prevedeva 12 vaccinazioni obbligatorie, ma durante l’esame in Parlamento il decreto è stato cambiato e prima della conversione in legge sono stati tolti dai vaccini obbligatori quelli contro il meningococco B e contro il meningococco C. 

Per cambiare gli obblighi contenuti nella “legge Lorenzin”, Borghi ha presentato un emendamento al decreto-legge, ora all’esame del Senato, che il governo Meloni ha approvato a inizio giugno per ridurre il fenomeno delle liste d’attesa delle prestazioni sanitarie. Dunque – a essere precisi – Borghi non ha presentato una «proposta di legge», come invece l’ha definita lui nel video su X, ma ha depositato una proposta per aggiungere un articolo al decreto-legge sulle liste d’attesa e modificare in questo modo la “legge Lorenzin”. Se considerato ammissibile, l’emendamento sarà messo ai voti e per passare dovrà ricevere anche il sostegno di Forza Italia e Fratelli d’Italia.

In sostanza, l’emendamento di Borghi propone due cose. In primo luogo, chiede che i minori tra zero e 16 anni di età non siano più obbligati a fare i quattro vaccini contro morbillo, rosolia, pertosse e varicella indicati dall’articolo 1, comma 1-bis, della “legge Lorenzin”. Secondo il senatore della Lega, queste quattro vaccinazioni devono essere «gratuite e raccomandate» e non «obbligatorie e gratuite». Per come è scritto l’emendamento di Borghi, il comma 1 dell’articolo 1 della “legge Lorenzin”, che stabilisce gli altri sei vaccini obbligatori, non sarebbe toccato. 

Va detto comunque che già nella sua versione attuale la “legge Lorenzin” prevede (articolo 1, comma 1-ter) che ogni tre anni, sulla base dei «dati epidemiologici» e di «eventuali reazioni avverse», il Ministero della Salute può valutare se mantenere o meno l’obbligatorietà dei quattro vaccini – o anche solo di alcuni tra questi – che Borghi non vuole più obbligatori.

In secondo luogo, il senatore della Lega chiede di eliminare il comma 3 dell’articolo 3 della “legge Lorenzin”: questo comma consente l’iscrizione dei bambini all’asilo nido o all’asilo solo se sono stati vaccinati con tutti e dieci i vaccini obbligatori. In Italia, lo ricordiamo, non è obbligatorio mandare i figli all’asilo: la scuola dell’obbligo, infatti, va dai 6 ai 16 anni di età.

L’obbligo vaccinale in Europa

Nel suo video su X, Borghi ha detto che solo la Francia ha lo stesso obbligo vaccinale che c’è in Italia. Non è chiaro se il senatore della Lega faccia riferimento all’obbligo per i bambini di fare dieci vaccini oppure all’obbligo di vaccinarsi per frequentare l’asilo. In entrambi i casi, non è vero che l’Italia e la Francia sono due casi isolati.

Per confrontare le vaccinazioni obbligatorie in Italia con quelle degli altri 26 Stati membri dell’Unione europea abbiamo consultato le informazioni raccolte dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), un’agenzia dell’Ue che ha il compito di rafforzare il contrasto alla diffusione delle malattie infettive.

Secondo l’Ecdc, a oggi 14 Paesi Ue non hanno nessun obbligo vaccinale per i bambini da zero a tre anni di età, il limite di età indicato da Borghi nel video: Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia. In Belgio è obbligatorio solo il vaccino contro la poliomielite, mentre in Germania quello contro il morbillo. A Malta sono obbligatorie tre vaccinazioni: contro la poliomielite, contro la difterite e contro il tetano. I rimanenti dieci Paesi europei hanno tutti almeno dieci vaccini obbligatori per i bambini più piccoli. Oltre all’Italia, le vaccinazioni obbligatorie sono dieci in Repubblica Ceca e Slovenia, sono 11 in Bulgaria, Croazia, Francia, Ungheria, Polonia e Slovacchia, mentre in Lettonia sono 14, il numero più alto di tutti. Dunque, l’Italia non è l’unica con la Francia ad avere dieci vaccini obbligatori per i bambini.
Secondo le nostre verifiche, Italia e Francia non sono nemmeno gli unici Paesi a legare l’obbligo vaccinale con l’iscrizione all’asilo. Per esempio, tra gli Stati con almeno dieci vaccini obbligatori, anche in Croazia l’iscrizione all’asilo è subordinata al rispetto di tutti gli obblighi vaccinali. In Slovenia un bambino può andare all’asilo se è vaccinato contro il morbillo, la parotite e la rosolia – i cui vaccini obbligatori Borghi vuole eliminare – mentre in Germania dal 1° marzo 2020 il vaccino contro il morbillo è diventato obbligatorio per iscrivere i figli all’asilo. 

La copertura vaccinale nell’Ue

Secondo Borghi, «tutti gli altri Paesi» in Europa non hanno l’obbligo vaccinale che c’è in Italia e «le cose vanno meglio». Come abbiamo visto, non è vero che l’Italia è l’unico Paese con dieci vaccini obbligatori per i bambini. Numeri alla mano, non è vero neppure che le coperture vaccinali negli Stati senza obblighi vaccinali siano tutte più alte di quella italiana.

Prendiamo il caso del morbillo, il cui aumento dei casi aveva spinto il governo Gentiloni a introdurre l’obbligo vaccinale. Secondo i dati più recenti raccolti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel 2022 il 94 per cento dei bambini con un anno di età in Italia aveva ricevuto la prima dose del vaccino contro il morbillo. Tra i 14 Paesi Ue senza l’obbligo vaccinale, in sette avevano una percentuale più bassa di quella italiana: Cipro (86 per cento), Estonia (82 per cento), Irlanda (90 per cento), Lituania (87 per cento), Paesi Bassi (89 per cento), Romania (83 per cento) e Svezia (92 per cento). Dunque, non è possibile dimostrare che l’obbligo vaccinale non funziona dicendo che i Paesi senza obbligo hanno dati migliori dell’Italia, che l’obbligo ce l’ha. Che cosa si può invece dire sull’impatto della “legge Lorenzin” sulla copertura vaccinale contro il morbillo?

Nel 2016, l’anno precedente all’introduzione dei vaccini obbligatori, in Italia l’87 per cento dei bambini con un anno di età aveva ricevuto la prima dose di vaccino contro il morbillo. Nel 2017, dopo l’approvazione della “legge Lorenzin”, questa percentuale è cresciuta al 92 per cento e, tranne nel 2020, ha continuato ad aumentare fino al 94 per cento registrato nel 2022.
Questi numeri suggeriscono che un impatto c’è stato e a conclusioni simili sono arrivati alcuni studi, tra cui uno pubblicato nel 2021. Secondo questa ricerca, nei tre anni successivi all’approvazione della “legge Lorenzin”, in Italia nove vaccini sui dieci obbligatori hanno raggiunto livelli di copertura pari al 95 per cento ed è aumentata anche la copertura dei vaccini raccomandati e non obbligatori. 

Il dibattito sull’esitazione vaccinale

Gli stessi autori dello studio, però, hanno sottolineato che il ricorso ai vaccini obbligatori per aumentare le coperture vaccinali non è un approccio esente da rischi. «Dovrebbero essere considerati anche programmi educativi che promuovano un comportamento responsabile e migliorino l’alfabetizzazione sui vaccini. Inoltre si dovrebbe tenere conto che limitare l’accesso alle strutture per l’infanzia ai bambini non completamente vaccinati o non vaccinati, pur riducendo la diffusione di malattie infettive in questi luoghi, potrebbe favorire potenziali raggruppamenti in strutture informali di assistenza all’infanzia, creando nuovi serbatoi per focolai», si legge nello studio. «Infine, imporre sanzioni a chi rifiuta i vaccini potrebbe non essere una soluzione, e ci sono alcune prove che risultati migliori possono essere raggiunti con opzioni meno restrittive». Secondo lo studio, «i programmi educativi relativi ai vaccini, insieme alle strategie di informazione e comunicazione, dovrebbero essere migliorati per rafforzare il comportamento vaccinale e l’inclusività».

Nella letteratura scientifica sono state pubblicate numerose ricerche che studiano il fenomeno della cosiddetta “esitazione vaccinale”. Secondo la definizione dell’Oms, questo fenomeno riguarda chi non si vaccina – o prende tempo per vaccinarsi – nonostante non ci sia carenza di vaccini. «L’esitazione vaccinale è complessa e specifica al contesto, varia nel tempo, nei luoghi e tra i vari vaccini» ed «è influenzata da vari fattori», ha scritto l’Oms. Alcuni di questi fattori dipendono dal contesto socio-culturale, altri dalle conoscenze e dalle percezioni dei singoli cittadini sui vaccini, altri ancora dai modi in cui sono somministrati i vaccini.

Dunque, non esiste un’unica soluzione al problema dell’esitazione vaccinale e la stessa Oms ha sottolineato che l’introduzione dell’obbligo vaccinale è una delle possibili strategie, ma non necessariamente l’unica e la migliore. Le soluzioni più efficaci al problema dell’esitazione vaccinale cambiano a seconda del contesto e di come affrontano le cause di questa esitazione, e di conseguenza possono cambiare da Paese a Paese. Come abbiamo visto, la possibilità che l’obbligo vaccinale possa essere eliminato è già inserita nella “legge Lorenzin” per quanto riguarda i quattro vaccini contro morbillo, rosolia, pertosse e varicella.

Il “sovraccarico” del sistema umanitario

Prima di concludere, vale la pena analizzare l’esempio che Borghi ha fatto per spiegare perché una coppia di genitori può essere spaventata nel far fare «12 vaccini assieme» a «un piccolo bimbo che ha da zero a tre anni». Come ha spiegato l’Istituto superiore di sanità (Iss), in effetti «questa è una delle preoccupazioni che più spesso alcuni genitori esprimono di fronte alle vaccinazioni previste nei primi due anni di vita». La preoccupazione è che la somministrazione di tanti vaccini in un breve periodo di tempo possa indebolire o “sovraccaricare” il sistema immunitario dei bambini. È vero che rispetto a qualche decennio fa il numero di vaccini da fare è aumentato ed è aumentato l’uso dei cosiddetti “vaccini combinati”, con più vaccini somministrati con un’unica dose. Ma secondo l’Iss, le risposte della letteratura scientifica sono «rassicuranti».

«A due mesi di età, il sistema immunitario del bambino è già in grado di rispondere alla vaccinazione e aspettare non serve ad aumentare la sicurezza dell’atto vaccinale. Al contrario, rimandare le vaccinazioni può comportare dei rischi perché si prolunga il periodo in cui il bambino è suscettibile alle infezioni prevenibili e alcune malattie sono molto più pericolose se contratte nei primi mesi di vita», ha sottolineato l’Iss. «Va ricordato inoltre che l’uso dei vaccini combinati offre numerosi vantaggi, tra cui il ridotto numero di sedute vaccinali necessarie, con un minore stress per i piccoli, un rischio ridotto di reazioni avverse, un minore impegno per le famiglie e un minor carico dei centri vaccinali».

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