Quanto dipendiamo dal petrolio russo, numeri alla mano

L’Unione europea sarebbe pronta a bloccarne le importazioni, con nuove sanzioni, ma alcuni Paesi si oppongono
Patrick Pleul/dpa
Patrick Pleul/dpa
Il 4 maggio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato un nuovo pacchetto di sanzioni – il sesto dall’inizio della guerra in Ucraina – che i Paesi europei potrebbero imporre nei confronti della Russia. Tra le misure previste c’è anche il blocco graduale alle importazioni di petrolio russo, sia greggio che raffinato. «Non sarà facile: alcuni Paesi sono fortemente dipendenti dal petrolio russo, ma dobbiamo lavorarci», ha detto von der Leyen alla plenaria del Parlamento europeo. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno già annunciato lo stop alle importazioni di petrolio russo a inizio marzo.

Le nuove sanzioni annunciate da von der Leyen non sono ancora definitive, e prima di entrare in vigore dovranno essere approvate all’unanimità da tutti gli Stati membri. Alcuni, come l’Ungheria, stanno però facendo opposizione e chiedono di poter beneficiare di estensioni o esenzioni dal blocco.

Ma quanto dipendono davvero l’Ue e l’Italia dal petrolio russo?

La nostra dipendenza dal petrolio russo

Secondo quanto riportato da von der Leyen, entro i prossimi sei mesi tutti i paesi dell’Ue dovrebbero fermare l’import di petrolio greggio in arrivo dalla Russia, per poi eliminare anche i prodotti raffinati entro la fine del 2022. «In questo modo possiamo massimizzare la pressione sulla Russia, minimizzando allo stesso tempo i danni collaterali nei confronti dei nostri partner internazionali. Per aiutare l’Ucraina, la nostra economia deve rimanere forte», ha detto la presidente della Commissione Ue. 

Nel 2020 l’Unione europea ha importato la maggior parte del suo petrolio greggio dalla Russia: 113 milioni di tonnellate su un totale di 440, il 25,7 per cento. Seguivano la Norvegia (8,7 per cento) il Kazakistan (8,5 per cento), gli Stati Uniti (8 per cento) e l’Arabia Saudita (7,9 per cento). Non è sempre stato così, anzi. Dopo il picco raggiunto nel 2005, le importazioni di greggio dalla Russia sono diminuite, mentre quelle dalla Norvegia sono più che dimezzate tra il 2000 e il 2010, per poi stabilizzarsi. Un blocco alle esportazioni di petrolio russo da parte dei Paesi europei potrebbe quindi avere conseguenze concrete sull’economia del Paese, anche se al momento è difficile quantificarne l’impatto esatto. 
Figura 1. Importazioni di petrolio greggio nell’Unione europea – Fonte: Eurostat
Figura 1. Importazioni di petrolio greggio nell’Unione europea – Fonte: Eurostat
Secondo i dati Eurostat, rielaborati da Pagella Politica, negli ultimi vent’anni l’Italia ha ridotto le importazioni di petrolio greggio dalla Russia, passando dal 16,7 per cento del 2000 all’11,1 per cento del 2020. Anche le importazioni di prodotti raffinati sono diminuite, passando dal 20,6 per cento al 12,5 per cento.

Il contrario è successo invece per la Germania, che nel 2020 ha importato il 34 per cento del suo petrolio greggio dalla Russia, contro il 28,7 per cento del 2000, e quasi il 30 per cento dei prodotti raffinati, partendo dal 21 per cento vent’anni fa.
Altri Paesi europei dipendono in modo ancora più significativo dalla Russia. Nel 2020 la Lituania ha importato il 73 per cento del suo petrolio greggio da Mosca, la Polonia il 72 per cento, l’Ungheria il 61 per cento e la Repubblica Ceca il 49 per cento. Dal 2005 la totalità del petrolio greggio importato dalla Slovacchia è arrivato dalla Russia.

Tra i Paesi occidentali, oltre alla Germania, anche i Paesi Bassi sono fortemente dipendenti dal petrolio russo, che due anni fa ha costruito il 26,5 per cento delle importazioni di greggio e il 21 per cento di quello raffinato. 

Per quanto riguarda il trasporto via terra, la maggior parte del petrolio russo arriva in Europa tramite l’oleodotto “Druzhba”, che in russo significa “amicizia”. Questo si estende per oltre 5 mila chilometri e, partendo dalla Siberia, arriva in Bielorussia, dove si divide in due rami: a nord prosegue verso la Polonia e la Germania, e a sud verso l’Ucraina, l’Ungheria e la Repubblica Ceca. 

Quanto conta il petrolio per la Russia

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), la Russia è il terzo produttore di petrolio a livello mondiale, dopo gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, e il primo esportatore. 

A livello globale, la Russia esporta molto più petrolio che gas naturale. Secondo i dati più aggiornati della Banca centrale russa, nel 2021 il petrolio rappresentava il 36,6 per cento di tutte le esportazioni russe, quindi 181 miliardi di dollari su un totale di 494 miliardi. Il gas si fermava invece al 12,7 per cento, pari a 62,8 miliardi di dollari. 

Secondo l’Iea circa il 60 per cento delle esportazioni russe di petrolio sono dirette verso i Paesi europei membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che comprendono per esempio anche Israele e la Turchia, mentre il 20 per cento va alla Cina. 

L’opposizione allo stop europeo

L’approvazione del blocco europeo alle importazioni di petrolio russo non è scontata. Secondo fonti stampa, se l’Ue dovesse effettivamente approvare il pacchetto di sanzioni nella forma annunciata da von der Leyen il 4 maggio, alcuni Paesi, come la Slovacchia e la Repubblica Ceca, potrebbero ricevere un’estensione in modo da poter fermare del tutto gli scambi entro la fine del 2023 (e non del 2022, come previsto per gli altri Paesi). Fonti slovacche hanno però riferito alla stampa che un solo anno aggiuntivo non sarebbe sufficiente, e ne servirebbero almeno due. 

Nel pomeriggio del 4 maggio, inoltre, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha detto che «nella sua forma attuale, il pacchetto di sanzioni proposto da Bruxelles non può ricevere il nostro supporto», e ha chiesto che il petrolio in arrivo tramite oleodotto – e non, per esempio, via mare – possa essere esentato dal blocco. I leader europei dovrebbero riunirsi nella giornata del 5 maggio per continuare le negoziazioni. 

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