Che cosa paghiamo davvero con le accise sulla benzina

Dalla guerra d’Etiopia all’alluvione di Firenze, l’aumento dei prezzi riporta d’attualità alcuni malintesi sul passato
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Il 9 marzo la Lega ha annunciato una mozione in Senato per sospendere le accise sulla benzina (delle particolari imposte che si pagano sul carburante) finché non si tornerà ai prezzi raggiunti alla fine del 2019. Negli ultimi giorni il prezzo del petrolio è tornato a salire, in parte a causa dell’invasione russa in Ucraina, causando rincari anche su benzina e gasolio.

L’europarlamentare della Lega Susanna Ceccardi ha difeso la proposta del suo partito, scrivendo su Facebook che «le accise sono tasse con le quali continuiamo a finanziare (in teoria) la guerra d’Etiopia, la ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze, le missioni Onu in Libano e Bosnia e la gestione immigrati dopo la crisi libica del 2011». 

È davvero così? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.

Come funziona il prezzo della benzina

Semplificando un po’, il costo della benzina che paghiamo quando andiamo a fare rifornimento è determinato da tre fattori. Il prezzo al netto delle imposte è quello deciso da chi vende il combustibile: qui rientrano, tra le altre cose, il costo della materia prima, i guadagni di chi gestisce la pompa e il costo del trasporto logistico. Il secondo fattore è l’Iva, ossia l’imposta sul valore aggiunto, che varia in percentuale a seconda del prezzo complessivo, mentre il terzo elemento che influenza il prezzo della benzina è l’accisa. Quest’ultima è un’imposta indiretta fissa, che colpisce determinati beni (come l’energia elettrica o i tabacchi) al momento della produzione o del consumo. 

Secondo le rilevazioni del Ministero della Transizione ecologica, nella settimana tra il 28 febbraio e il 6 marzo, un litro di benzina in Italia è costato in media 1,95 euro. Di questi, 0,87 euro circa equivalgono al prezzo netto, 0,35 euro vanno in Iva e circa di o,73 euro in accisa. Detta altrimenti, circa il 55 per cento di quello che spendiamo per un litro di benzina va in accisa e imposte. 

Per il gasolio delle auto, la percentuale è leggermente diversa, scendendo intorno al 52 per cento. Per un litro di gasolio, circa o,62 euro vanno infatti in accisa e quasi 0,33 euro in Iva, facendo sì che oltre 0,88 euro equivalgano al prezzo netto. 

Anche negli altri Paesi europei il prezzo del carburante viene determinato in maniera simile. E in base ai dati più recenti dell’Unione europea, aggiornati alla fine di novembre dell’anno scorso, l’Italia ha tra le imposte indirette più alte sul carburante.

Chi determina il valore dell’accisa

Da anni nel nostro Paese è inoltre diffusa la credenza che l’accisa sui carburanti sia la somma di aumenti bizzarri e anacronistici, come sostenuto per esempio dal leader della Lega Matteo Salvini a marzo 2018, o più di recente, come abbiamo visto, nella lista fatta sui social dall’europarlamentare Ceccardi. 

Innanzitutto, va sottolineato che la natura dell’accisa è regolamentata da una disciplina complessa e stratificata, contenuta principalmente nel Testo unico, definito dal decreto legislativo del 1995. È vero che nei decenni passati i governi hanno fatto uso di queste imposte indirette per fare cassa e fronteggiare emergenze, naturali e non. Ma da oltre vent’anni, non esistono più le singole accise sul costo della benzina, che da aumenti straordinari sono stati resi ordinari e strutturali.

Dal 1995 l’accisa sul carburante è infatti definita in modo unitario e il gettito che ne deriva non finanzia il bilancio statale in specifiche attività, ma nel suo complesso. Detta altrimenti, oggi c’è una sola aliquota – come abbiamo visto sopra – che non distingue tra le diverse componenti. Dagli inizi degli anni Novanta, il valore di questa imposta è stato cambiato dai governi in diverse occasioni. Nel 1995, per esempio, l’accisa sulla benzina era di 0,518 euro, prima di salire a 0,542 euro nel 1999 e riscendere a 0,520 euro nel 2000. Da qui, il valore di questa imposta indiretta è sempre salito, fino a toccare il massimo storico nel 2014, quando si pagavano 730,80 euro di accisa per 1.000 litri di carburante. Oggi il suo valore è sui 728,40 euro ogni 1.000 litri per la benzina, e 617,40 per il gasolio.

E la guerra d’Etiopia?

Sui social Ceccardi ha poi sostenuto che, almeno «in teoria», con le accise si continua a finanziare la «guerra d’Etiopia», il conflitto iniziato nel 1935 dal governo fascista di Benito Mussolini. Questa affermazione è però scorretta.

Come abbiamo anticipato, riferirsi a introduzioni passate delle accise è improprio, ma si potrebbe comunque obiettare che il ragionamento di Ceccardi è sostanzialmente corretto, anche se non si può più suddividere la singola accisa in sottoparti. Il problema è che resta falso dire che gli italiani, anche solo in teoria, contribuiscono ancora per il finanziamento della guerra in Etiopia.

Il 12 settembre 1936, a quattro mesi dalla fine del conflitto, il quotidiano La Stampa ha infatti pubblicato un articolo che parlava della cancellazione dell’aumento del costo della benzina introdotto per far fronte alle spese belliche. È vero che prima dell’inizio della guerra il prezzo della benzina era quasi raddoppiato per l’aggiunta di imposte. Ma queste accise sono poi state tolte l’anno seguente.

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