L’11 maggio, ospite a Porta a Porta su Rai1, il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha difeso (min. 25:40) la necessità di cambiare la legge elettorale in vigore in Italia, ossia le regole con cui sono assegnati ai partiti i seggi in Parlamento in base ai voti ricevuti nelle urne. Secondo Conte, è necessario approvare una legge proporzionale, che tipicamente assegna i seggi in modo da assicurare alle diverse liste un numero di posti proporzionale, appunto, ai voti ricevuti. Al momento, la legge in vigore nel nostro Paese è un misto tra un sistema proporzionale e uno maggioritario, che assegna i seggi in base a chi ottiene la maggioranza dei voti.
Per giustificare la sua posizione, il presidente del Consiglio ha citato le conseguenze che secondo lui ci saranno nella prossima legislatura con il cosiddetto “taglio dei parlamentari”, la riforma costituzionale approvata con un referendum a settembre 2020. «Se noi non introduciamo un meccanismo proporzionale, con questa riforma costituzionale, che ha ridotto il numero dei parlamentari, nella prossima legislatura noi rischiamo uno iato, un salto di rappresentanza, tra i governati e i governanti ancora più evidente», ha dichiarato Conte in tv. «Abbiamo bisogno di rinforzare la rappresentatività e lo possiamo fare solo con una iniezione di proporzionale».
Con queste parole, l’ex presidente del Consiglio sembra però aver cambiato idea rispetto a quanto pensava in passato della riforma costituzionale. Per esempio, il 5 settembre 2020, ospite a Roma della festa annuale del Fatto Quotidiano a pochi giorni dal referendum, Conte – all’epoca a capo del governo – aveva motivato il suo sì al taglio dei parlamentari sostenendo che «se si passa da 945 parlamentari a 600 parlamentari, non viene assolutamente pregiudicata la funzionalità delle camere legislative». Il 17 settembre aveva fatto poi una dichiarazione simile, dicendo: «Non vedo nel taglio dei parlamentari una riduzione della rappresentatività».
Il problema della riduzione della rappresentatività del Parlamento, a seguito del taglio dei parlamentari, era noto durante il dibattito politico e pubblico che ha accompagnato l’approvazione della riforma. Un numero minore di deputati e senatori in rapporto ad una popolazione invariata riduce effettivamente la rappresentatività del Parlamento: gli elettori hanno insomma meno rappresentati, e «questo rischia di aumentare il divario tra la politica e l’elettorato», scrivevamo in un articolo di agosto 2020, l’argomentazione usata oggi da Conte per sostenere una legge elettorale proporzionale.
Nel programma del secondo governo Conte, firmato a settembre 2019 da Movimento 5 stelle, Partito democratico e Liberi e uguali, era comunque contenuta la promessa di rivedere la legge elettorale, senza però menzionare esplicitamente il proporzionale.
Per giustificare la sua posizione, il presidente del Consiglio ha citato le conseguenze che secondo lui ci saranno nella prossima legislatura con il cosiddetto “taglio dei parlamentari”, la riforma costituzionale approvata con un referendum a settembre 2020. «Se noi non introduciamo un meccanismo proporzionale, con questa riforma costituzionale, che ha ridotto il numero dei parlamentari, nella prossima legislatura noi rischiamo uno iato, un salto di rappresentanza, tra i governati e i governanti ancora più evidente», ha dichiarato Conte in tv. «Abbiamo bisogno di rinforzare la rappresentatività e lo possiamo fare solo con una iniezione di proporzionale».
Con queste parole, l’ex presidente del Consiglio sembra però aver cambiato idea rispetto a quanto pensava in passato della riforma costituzionale. Per esempio, il 5 settembre 2020, ospite a Roma della festa annuale del Fatto Quotidiano a pochi giorni dal referendum, Conte – all’epoca a capo del governo – aveva motivato il suo sì al taglio dei parlamentari sostenendo che «se si passa da 945 parlamentari a 600 parlamentari, non viene assolutamente pregiudicata la funzionalità delle camere legislative». Il 17 settembre aveva fatto poi una dichiarazione simile, dicendo: «Non vedo nel taglio dei parlamentari una riduzione della rappresentatività».
Il problema della riduzione della rappresentatività del Parlamento, a seguito del taglio dei parlamentari, era noto durante il dibattito politico e pubblico che ha accompagnato l’approvazione della riforma. Un numero minore di deputati e senatori in rapporto ad una popolazione invariata riduce effettivamente la rappresentatività del Parlamento: gli elettori hanno insomma meno rappresentati, e «questo rischia di aumentare il divario tra la politica e l’elettorato», scrivevamo in un articolo di agosto 2020, l’argomentazione usata oggi da Conte per sostenere una legge elettorale proporzionale.
Nel programma del secondo governo Conte, firmato a settembre 2019 da Movimento 5 stelle, Partito democratico e Liberi e uguali, era comunque contenuta la promessa di rivedere la legge elettorale, senza però menzionare esplicitamente il proporzionale.