Che cos’è cambiato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza

Ansa
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È la settimana decisiva per il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il 24 aprile il Consiglio dei ministri darà il primo via libera al testo messo a punto dal governo di Mario Draghi.

Un secondo passaggio a Palazzo Chigi è atteso a metà della settimana prossima dopo che, il 26 e 27 aprile, il presidente del Consiglio avrà presentato il documento alle camere.

Le comunicazioni del premier anticipano di pochi giorni una data cruciale: entro il 30 aprile il documento verrà inviato a Bruxelles, rispettando la scadenza prevista dal regolamento del Recovery and resilience facility (art.18, co.3).

Dopo la caduta del governo Conte – anche per le critiche rivolte alla gestione del dossier Recovery – il Piano nazionale di ripresa e resilienza è uscito dai radar del dibattito pubblico.

Per settimane e settimane, il Parlamento ha lavorato su un testo già superato, ovvero quello approvato dal precedente esecutivo il 12 gennaio 2021.

Negli ultimi giorni, e con l’avvicinarsi della presentazione ufficiale, sono emerse le prime informazioni su come il Pnrr – comunque basato sull’impianto già dato dallo scorso governo – sia stato rivisto dalla squadra di Mario Draghi.

Vediamo meglio quali sono le novità più significative.

Di che cosa stiamo parlando

Il Next Generation Eu è lo strumento attraverso il quale l’Unione europea distribuirà agli Stati membri i fondi necessari a favorire la ripresa economica e sociale dopo la pandemia. Il programma vale in totale 750 miliardi di euro, di cui 360 miliardi in prestiti e 390 in sovvenzioni a fondo perduto.

La parte principale del Next Generation Eu è il Recovery and resilience facility (in italiano, “Dispositivo di finanziamento per la ripresa e la resilienza”), che ha un valore di 672,5 miliardi di euro dei 750 totali.

Per beneficiare dei fondi del Recovery and resilience facility, gli Stati membri devono presentare i propri piani nazionali, delineando i programmi di investimento e di riforma sulla base dei criteri suggeriti dall’Unione europea.

La scadenza per la presentazione di questi piani, come stabilisce il regolamento del Recovery and resilience facility (art.18, co.3), è «di norma» il 30 aprile 2021. L’espressione lascerebbe intendere una certa flessibilità in caso di ritardi, ma il governo italiano ha intenzione di consegnare il testo entro la fine di aprile, con l’obiettivo di ottenere già a luglio la prima tranche di finanziamenti.

Quanto vale il Pnrr italiano

La prima differenza visibile fra il Pnrr del governo Conte bis e quello del governo Draghi sta nell’organizzazione delle risorse, già evidente dalle slide di presentazione del Ministero dell’Economia trapelate in questi giorni.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza del Conte bis prevedeva 223,9 miliardi di euro, di cui quasi 197 miliardi dal Recovery and resilience facility, 13 dal React-Ue (un altro dei programmi europei in risposta agli effetti della pandemia sui territori) e 14 miliardi in più richiesti dall’Italia. Un’aggiunta che sarebbe stata da vagliare in sede europea: «Tale eccedenza viene motivata – spiegava il dossier della Camera del vecchio testo – con l’opportunità di sottoporre al vaglio di ammissibilità della Commissione europea un portafoglio di progetti più ampio di quello finanziabile, per costituire un margine di sicurezza». Venivano insomma presentate richieste per più fondi di quelli assegnati al nostro Paese in modo da procedere a sostituzioni nel caso di bocciature.

Le risorse del Pnrr del governo Draghi sono state invece divise in due sole voci (per quanto è possibile sapere ad oggi). Intanto, la stima di quanto l’Italia riceverà dal Recovery and resilience facility è stata ridimensionata da quasi 197 miliardi a 191,5 (Immagine 1).
Immagine 1: Struttura del Piano nazionale di ripresa e resilienza – Fonte: Slide di presentazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze
Immagine 1: Struttura del Piano nazionale di ripresa e resilienza – Fonte: Slide di presentazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze
Accanto ai fondi del Recovery, altri 30 miliardi sono stati inseriti in quello che viene chiamato Fondo complementare.

Il Fondo complementare di cui non rendere conto in Ue

Primo chiarimento fondamentale sul Fondo completare: non sono soldi di Bruxelles. Integrano il Pnrr e sono soldi dello Stato italiano, alimentati dallo scostamento di bilancio previsto dal Documento di economia e finanza approvato da entrambi i rami del Parlamento il 22 aprile. In altri termini: debito pubblico (anche parte del Recovery è costituito da prestiti, quindi debito pubblico, ma con interessi più vantaggiosi).

Nelle slide di presentazione, una è dedicata a spiegare similitudini e differenze fra il Fondo in questione e i finanziamenti europei (Immagine 2).
Immagine 2: Che cos’è il Fondo complementare – Fonte: Slide di presentazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze
Immagine 2: Che cos’è il Fondo complementare – Fonte: Slide di presentazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze
Il Fondo avrà le stesse «procedure abilitanti» – quindi si suppone le stesse procedure semplificate che si vogliono applicare per velocizzare l’attuazione dei progetti – ma soprattutto avrà «milestones e targets», obiettivi intermedi e target da raggiungere alla fine.

Che cosa cambia, quindi? «Unica differenza rilevante», si legge nelle slide, è questa: le risorse nazionali non avranno nessun obbligo di rendicontazione a Bruxelles e non dovranno essere realizzate entro il 2026 (com’è invece previsto per i finanziamenti quinquennali del Recovery). Una differenza non da poco.

In base a questo, alcuni progetti già inclusi nelle precedenti versioni del Piano sono stati riassegnati al Fondo per una serie di motivi: ad esempio perché eccedevano il budget dei 191,5 miliardi del Recovery and Resilience Facility, oppure perché non rispondevano alle indicazioni su sostenibilità ambientale e innovazione digitale, o ancora non erano compatibili con le regole europee sugli aiuti di Stato o, appunto, rischiavano di non rispettare il limite temporale del 2026.

Qualche numero in più

In tutto si tratterà di 135 progetti che spaziano dal piano di sostituzione degli edifici scolastici alla valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, dall’aggiornamento tecnologico e digitale dagli ospedali al potenziamento dei centri per l’impiego.

È stata confermata l’organizzazione in sei “missioni” così, com’era già previsto dalla precedente versione del Pnrr: Digitalizzazione, Rivoluzione verde, Infrastrutture per la mobilità sostenibile, Istruzione e ricerca, Inclusione e coesione e Salute. Rimangono i tre assi trasversali che il Pnrr che dovrebbero attraversare tutte le missioni: Disuguaglianze di genere, Inclusione giovanile e Divari territoriale.

Cambiano gli importi. Il confronto sui numeri assoluti rischia di essere improprio perché, come abbiamo visto, il Pnrr del governo Conte bis e quello del governo Draghi sono costruite su una stima e un’organizzazione differente delle risorse.

Per dare un’idea delle proporzioni, proponiamo quindi un confronto sulla ripartizione in percentuale dei fondi stimati dal Recovery and Resilience Facility (Grafico 1).
Grafico 1: Suddivisione percentuale delle risorse del Recovery and Resilience Facility nel Pnrr del governo Conte bis e nel Pnrr del governo Draghi – Fonte: Pnrr approvato il 12 gennaio da Palazzo Chigi e slide del Mef sul nuovo Pnrr
Come abbiamo visto, nel Pnrr del governo Conte bis si stimavano circa 197 dal Recovery and Resilience Facility con un’aggiunta di 14 miliardi non confermati dall’Ue. Sul totale di circa 211 miliardi, la suddivisione della spesa prevedeva il 21,6 per cento per la Digitalizzazione, il 32 per cento per la Rivoluzione verde, Il 15,2 per cento per le Infrastrutture per la mobilità sostenibile, il 12,7 per cento per l’Istruzione e la ricerca, il 10 per cento per l’Inclusione sociale e l’8,5 per cento per la Salute.

Nel Pnrr di Mario Draghi, su un totale di 191,5 miliardi dal Recovery and Resilience Facility, il 22 per cento va alla Digitalizzazione, il 30 per cento alla Rivoluzione verde, il 13 per cento alle Infrastrutture per la mobilità sostenibile, il 17 per cento a Istruzione e ricerca, il 10 per cento per l’Inclusione sociale e l’8 per cento alla Salute.

Una differenza significativa si registra sulla voce Istruzione e ricerca, portato dal 12,7 per cento del vecchio testo del Pnrr all’attuale 17 per cento.

Guardano un po’ più nel dettaglio, fra i 135 progetti del nuovo Piano è stata notata l’assenza del cashback, il progetto introdotto dallo scorso governo Conte II, con l’obiettivo di incentivare i pagamenti elettronici nel nostro Paese attraverso la restituzione di una quota della spesa. Mentre il precedente Pnrr prevedeva 4,7 miliardi per finanziare la misura fino a giugno 2022, nel nuovo documento il cashback non è nemmeno citato.

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