Il 5 gennaio 2020 l’ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli (M5s) ha pubblicato un video su Facebook in cui ha annunciato (min: -8:18) che «anche dal 1° gennaio di quest’anno, in quasi tutte le autostrade i pedaggi non sono aumentati». Secondo il senatore del Movimento 5 stelle, «ci sono però purtroppo delle eccezioni […]: le regioni dove sono aumentati i pedaggi sono solo queste due, Lombardia e Veneto», che sono amministrate dalla Lega.
Ma le cose stanno davvero così? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulla questione.
Che cosa dice il “decreto Milleproroghe”
Il 31 dicembre 2019 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il cosiddetto “decreto Milleproroghe”, che come suggerisce il nome stabilisce il rinvio dell’entrata in vigore di alcune disposizioni contenute in altre leggi.
Nel suo video Toninelli fa riferimento all’articolo 13 del Milleproroghe, che di fatto ha stabilito il blocco dell’aumento dei pedaggi autostradali per quelle concessionarie – ricordiamo che in Italia le autostrade sono di proprietà dello Stato, ma vengono affidate in concessione a privati (come Autostrade per l’Italia) o a società a partecipazione pubblica (come Anas) – il cui piano economico finanziario è scaduto.
Quest’ultimo è il piano, da sottoporre allo Stato, con cui le concessionarie regolano i propri investimenti, per esempio in opere di manutenzione, e le relative coperture economiche, recuperate con l’aumento dei pedaggi. Come spiega il disegno di legge di conversione del “decreto Milleproroghe” – la cui discussione in Senato deve ancora iniziare – l’aggiornamento dei nuovi piani economici finanziari deve avvenire in conformità alle novità contenute nel cosiddetto “decreto Genova”, voluto proprio da Toninelli, che interessano in particolare le delibere adottate dall’Autorità di regolazione dei trasporti (Art).
Il “decreto Genova” (decreto-legge n. 109 del 2018) all’articolo 16 ha stabilito infatti che l’Art provvede a stabilire non solo per le nuove concessioni autostradali, ma anche per quelle in essere, sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap (qui un dossier del Senato chiarisce nel dettaglio le novità introdotte dal “decreto Genova”). Questo provvedimento dell’Art è arrivato a giugno 2019, con la presentazione dei nuovi criteri.
Con il price cap, in parole semplici, si stabilisce un tetto massimo per gli aumenti, per un certo numero di anni, e nel rispetto di questo vincolo la concessionaria può fissare i prezzi e le tariffe, in base – tra le altre cose – alla possibilità di efficientamento della gestione e dell’andamento del traffico. Prima del “decreto Genova”, come spiega un approfondimento di luglio 2019 pubblicato da lavoce.info, «si riconoscevano al concessionario aumenti annuali di pedaggio pari al 70 per cento dell’inflazione». Un criterio rigido insomma. Secondo un articolo del Sole 24 Ore di febbraio 2019, il metodo del price cap dovrebbe invece portare nel tempo ad «aumenti legati al miglioramento del servizio e calmierati».
Non sono mancate però le polemiche da parte di alcune concessionarie, che accusano il governo di aver cambiato le regole “in corsa” e che hanno annunciato possibili ricorsi in sede legale.
«Allo stato attuale le società concessionarie hanno presentato proposte di adeguamento tariffario sulla base di criteri stabiliti dai precedenti piani economici finanziari», spiega il disegno di legge di conversione del Milleproroghe. Questa circostanza, prosegue il testo, «potrebbe comportare aumenti delle tariffe in misura superiore a quella stabilita dall’Autorità di regolazione dei trasporti». Chi ha usato i «criteri stabiliti dai precedenti piani economici finanziari» non ha infatti rispettato il metodo del price cap e potrebbe quindi teoricamente imporre tariffe superiori a quelle consentite dalle norme più recenti.
Il Milleproroghe ha anche fissato una data di scadenza entro la quale i concessionari dovranno presentare allo Stato le loro proposte di aggiornamento dei piani economici finanziari, che questa volta tengano però in considerazione i nuovi criteri. La data per la presentazione dei piani è stata fissata entro il 30 marzo 2020, ma il perfezionamento dei piani stessi potrà avvenire «entro e non oltre il 30 luglio 2020».
Ma quali società concessionarie sono interessate dal blocco? E quali no?
Per chi scattano gli aumenti
Il 31 dicembre 2019 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato un comunicato stampa in cui elenca le 21 concessionarie (su 25 totali) interessate dal blocco dell’aumento dei pedaggi.
In primo luogo ci sono le 16 concessionarie per le quali è scaduto il periodo regolatorio, ossia il periodo di cinque anni dopo il quale i piani economici finanziari vanno aggiornati. Per queste società «il termine per l’adeguamento delle tariffe autostradali relative all’anno 2020 è differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei Piani economici finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti».
In secondo luogo «non è stato concesso alcun incremento tariffario» a cinque concessionarie a cui è scaduto l’intero contratto di concessione. Tra queste, ad esempio, c’è l’Autostrada del Brennero, la cui concessione è scaduta dal 2014 – la società nel mentre si occupa dell’ordinaria amministrazione – e di cui da tempo si tratta per un rinnovo che ad oggi non è ancora arrivato.
Infine, l’aumento dei pedaggi è stato autorizzato solo a quattro società: Concessioni autostradali venete (+1,20 per cento), che gestisce un tratto autostradale nell’area tra Mestre e Padova; Autovia Padana (+4,88 per cento), ossia l’A21 Brescia-Piacenza; Bre.Be.Mi. (+3,79 per cento), sigla che sta per “Brescia-Bergamo-Milano”; Pedemontana Lombarda (+0,80 per cento), tra Varese e Bergamo.
«Sul 95 per cento della rete autostradale in concessione non sono previsti incrementi tariffari per l’anno 2020», ha ricapitolato il Mit.
Toninelli ha quindi ragione quando dice che i pedaggi aumentano solo in Lombardia e Veneto, regioni guidate da governatori leghisti, rispettivamente Attilio Fontana e Luca Zaia. I quattro tratti autostradali che possono aumentare i pedaggi nel 2019 si trovano in queste regioni. Ma ci sono alcune cose che il senatore ed ex ministro del M5s non dice.
Che cosa non dice Toninelli
A fine 2018 fu proprio Danilo Toninelli, all’epoca ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, a consentire rincari dei pedaggi nel 2019 per 11 concessionarie, tra cui anche quelle che alzeranno i prezzi nel 2020. La nuova gestione del Mit ha insomma replicato in parte per il 2020 quanto Toninelli aveva deciso per il 2019.
Il 22 dicembre 2019 il senatore del M5s aveva inoltre scritto un articolo sul Blog delle Stelle in cui annunciava in anticipo il blocco dei pedaggi previsto per il 2020 dal Milleproroghe, per le concessionarie che non si fossero adeguate «alla norma del MoVimento 5 Stelle che fissa la rivoluzione nei pedaggi autostradali». Lo stesso ex ministro definisce questa norma come «la norma Toninelli». Da queste parole si desume che le concessionarie a cui è stato concesso l’aumento dei pedaggi rispettano quanto previsto dalle nuove norme in tema di concessioni autostradali, aggiornate anche da Toninelli quando era ministro.
Come ha spiegato a Pagella Politica il Mit via email, gli aumenti rispettano gli atti convenzionali, ossia quegli atti che regolano il rapporto tra Stato e concessionarie e normano, tra le altre cose, le modalità di adeguamento tariffario. Come si legge nella relazione del Mit più recente sulle concessioni autostradali (pubblicata a luglio 2019), gli aumenti vengono concessi nei casi in cui lo Stato accerti che siano stati effettivamente realizzati gli investimenti programmati dal piano economico finanziario. Ed è questo il caso delle quattro concessionarie in questione, come ha confermato il Mit a Pagella Politica via email.
Questa versione dei fatti è stata ripresa anche da Concessioni autostradali venete – una delle quattro società che possono introdurre rincari – che il 1° gennaio 2020 ha spiegato in un comunicato: «L’aggiornamento delle tariffe per il nuovo anno […] è stato concesso in virtù dei risultati ottenuti dalla Concessionaria sul fronte degli investimenti e delle manutenzioni previste nel Piano economico finanziario. […] Gli adeguamenti tariffari sono stati autorizzati a valle del pieno rispetto degli investimenti e degli obblighi di manutenzione della rete avvenuti nel corso del 2019».
Ricapitolando: le quattro concessionarie autostradali che aumenteranno i pedaggi nel 2020 si trovano in regioni amministrate dalla Lega, come dice Toninelli. Ma vanno fatte delle precisazioni. In primo luogo, questo aumento si era già verificato per il 2019, quando era ministro lo stesso Toninelli. In secondo luogo, la possibilità di concedere aumenti a determinate società rispetta gli accordi convenzionali tra le concessionarie coinvolte e lo Stato.
È comunque vero che grazie al Milleproroghe – e al “decreto Genova” – gli aumenti siano bloccati sulla grande maggioranza (il 95 per cento) delle autostrade.
Il verdetto
L’ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli ha criticato due regioni leghiste – Lombardia e Veneto – dicendo che solo in queste ci saranno dei rincari dei pedaggi autostradali, mentre «dal 1° gennaio di quest’anno, in quasi tutte le autostrade i pedaggi non sono aumentati». Il senatore del M5s ha ragione, anche se ci sono alcune cose che non dice.
Innanzitutto, è vero che con il “decreto Milleproroghe” sono stati bloccati gli aumenti dei pedaggi sul 95 per cento delle rete autostradale italiana, perché si è prorogato il termine entro il quale le concessionarie devono adeguare i propri piani economici finanziari alle disposizioni contenute nel “decreto Genova”, approvato dal precedente governo Lega-M5s con Toninelli ministro.
Il 5 per cento di rete su cui ci saranno aumenti si trova effettivamente in Lombardia e Veneto (anche se non copre tutta la loro rete autostradale), ma alle società a cui sono stati concessi i rincari era stato dato lo stesso permesso per il 2019, con Toninelli al governo. Inoltre queste quattro autostrade possono aumentare i pedaggi perché rispettano quanto previsto dai loro accordi convenzionali con lo Stato.
In conclusione, nella sua dichiarazione Toninelli – che pure contiene dei dati corretti – è fuorviante: “Nì” per lui.
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7 dicembre 2024
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