Una delle proposte di legge più discussa della diciottesima legislatura, tra il 2018 e il 2022, è stato il cosiddetto “ddl Zan”, il disegno di legge contro l’omotransfobia, che prende il nome dal deputato Alessandro Zan (Partito democratico).
Il ddl Zan era un disegno di legge, composto da dieci articoli, che proponeva di estendere le pene per le discriminazioni basate su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche a quelle fondate «sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». L’articolo 1 del ddl Zan definiva che cosa si intende nel disegno di legge per sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Quest’ultima – una delle definizioni più criticate – veniva definita come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».
A novembre 2020, durante il secondo governo Conte, il ddl Zan ha ricevuto l’approvazione della Camera, passando poi al Senato. Qui i partiti di centrodestra hanno cercato di ostacolare il percorso del disegno di legge, definito un provvedimento «liberticida» e contro la libertà di opinione. Dopo numerose audizioni – anche di rappresentanti di posizioni estremiste – in Commissione Giustizia del Senato e diversi tentativi di ostruzionismo del centrodestra, a fine ottobre 2021 il testo è arrivato in aula.
Qui, con un voto segreto (vedi: Voto segreto), i senatori hanno approvato un meccanismo chiamato in gergo parlamentare “tagliola” (vedi: Tagliola), che ha di fatto bloccato definitivamente l’esame del testo in aula. A maggio 2022, il ddl Zan è stato ripresentato al Senato nello stesso identico testo, ma la proposta è decaduta con la fine anticipata della legislatura. A ottobre dello stesso anno, poco dopo le elezioni politiche del 25 settembre, Zan ha depositato una nuova proposta di legge alla Camera che ricalca il testo del vecchio ddl Zan, seppure con alcune modifiche.
Il ddl Zan era un disegno di legge, composto da dieci articoli, che proponeva di estendere le pene per le discriminazioni basate su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche a quelle fondate «sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». L’articolo 1 del ddl Zan definiva che cosa si intende nel disegno di legge per sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Quest’ultima – una delle definizioni più criticate – veniva definita come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».
A novembre 2020, durante il secondo governo Conte, il ddl Zan ha ricevuto l’approvazione della Camera, passando poi al Senato. Qui i partiti di centrodestra hanno cercato di ostacolare il percorso del disegno di legge, definito un provvedimento «liberticida» e contro la libertà di opinione. Dopo numerose audizioni – anche di rappresentanti di posizioni estremiste – in Commissione Giustizia del Senato e diversi tentativi di ostruzionismo del centrodestra, a fine ottobre 2021 il testo è arrivato in aula.
Qui, con un voto segreto (vedi: Voto segreto), i senatori hanno approvato un meccanismo chiamato in gergo parlamentare “tagliola” (vedi: Tagliola), che ha di fatto bloccato definitivamente l’esame del testo in aula. A maggio 2022, il ddl Zan è stato ripresentato al Senato nello stesso identico testo, ma la proposta è decaduta con la fine anticipata della legislatura. A ottobre dello stesso anno, poco dopo le elezioni politiche del 25 settembre, Zan ha depositato una nuova proposta di legge alla Camera che ricalca il testo del vecchio ddl Zan, seppure con alcune modifiche.