L’Italia è in ritardo sulla preparazione del Recovery Plan? Nell’ultima settimana la domanda è stata al centro di un’accesa contesa fra stampa e governo. Il 19 novembre il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un articolo intitolato «Fondi Ue, a Bruxelles cresce la sfiducia sul piano dell’Italia» in cui si sostiene che la Commissione europea guardi con preoccupazioni alle tempistiche italiane per la preparazione del piano sull’uso dei fondi del Next Generation Eu.
Dal governo è subito dopo arrivata una smentita categorica. «Oggi è stata pubblicata con grande evidenza su un quotidiano una fake news: l’Italia in ritardo sul piano di resilienza», ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel corso dell’assemblea dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani. La rassicurazione è stata ribadita anche dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e dal ministro agli Affari europei Enzo Amendola. Entrambi hanno poi sostenuto che «nessuno Stato europeo ha presentato il piano definitivo». Amendola, in particolare, ha garantito che il piano italiano arriverà regolarmente a Bruxelles all’inizio del 2021. Il 23 novembre il presidente del Consiglio Conte a Otto e mezzo su La7 ha invece spostato la consegna alla Commissione a inizio febbraio, specificando però che il piano sarà reso noto al Paese prima di quella data.
Ma è vero che nemmeno gli altri Stati hanno presentato il piano definitivo? Abbiamo cercato di capire qual è la situazione negli altri tre grandi Paesi europei, ossia Spagna, Francia e Germania.
Prima però ripassiamo brevemente che cos’è il Next Generation Eu, quali sono i tempi previsti e perché in Italia si sa così poco del “Piano di ripresa e resilienza” su cui sta lavorando il governo.
Il Next Generation Eu e i piani per prendere i soldi europei
Il 21 luglio i leader europei hanno raggiunto un accordo sul Next Generation Ue, lo strumento attraverso il quale l’Unione europea – indebitandosi sui mercati – distribuirà agli Stati membri i fondi necessari a favorire la ripresa economica e sociale dopo la pandemia. Il programma vale in totale 750 miliardi di euro, di cui 360 miliardi in prestiti e 390 in sovvenzioni a fondo perduto.
Al momento non esiste ancora una ripartizione ufficiale dei fondi, ma si sa che all’Italia dovrebbe andare la fetta più sostanziosa dei fondi, circa 209 miliardi (82 in sussidi e 127 in prestiti) dal 2021 al 2027. Questa cifra è in realtà basata sulle «stime ufficiose del governo», come si legge in una scheda del Servizio Studi della Camera.
La parte principale del Next Generation Eu è il Recovery and resilience facility (in italiano, “Dispositivo di finanziamento per la ripresa e la resilienza”), che vale 672,5 miliardi di euro dei 750 totali.
Per beneficiare dei fondi del Recovery and resilience facility, gli Stati membri dovranno presentare i propri piani nazionali (qui la guida della Commissione europea per la stesura), delineando i programmi di investimento e di riforma sulla base dei criteri suggeriti dall’Unione europea. La scadenza per la presentazione di questi piani, come si legge sul sito della Commissione Ue, è il 30 aprile 2021.
All’inizio di settembre, il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni ha spiegato in un’audizione alla Camera che la Commissione ha sollecitato i diversi Paesi a presentare le prime bozze già a metà ottobre (data confermata anche dal sito della Commissione) per avviare un confronto fra istituzioni europee e nazionali durante la stesura dei programmi. Anche sulla scadenza definitiva, Gentiloni ha ricordato che «l’incoraggiamento è, ove possibile, a presentarli in forma definitiva anche prima di questa scadenza di fine aprile».
A che punto è l’Italia con la stesura di questo piano?
Il “Piano di ripresa e resilienza” italiano
Il 16 settembre il governo ha trasmesso alla Camere le linee guida per il “Piano di ripresa e resilienza italiano” (questo il titolo ufficiale), poi approvate il 13 ottobre. Dal 15 è iniziata l’interlocuzione con Bruxelles. Il ministro agli Affari europei Enzo Amendola ha ribadito il 22 novembre che il piano italiano sarà pronto per inizio gennaio.
Al di là delle linee guida, che definiscono in maniera molto ampia i settori in cui il governo interverrà e gli obiettivi degli investimenti, del piano italiano si conosce poco altro. Si sa però per certo che dal Recovery and resilience facility il governo si aspetta di ricevere 191,4 miliardi (circa 63,8 miliardi di sovvenzioni e 127,3 miliardi in prestiti), oltre il 91 per cento di tutte le risorse che le dovrebbero spettare dal Next Generation Eu.
Il lavoro preparatorio è stato affidato al Comitato interministeriale degli Affari europei, un gabinetto presieduto dal presidente del Consiglio o dal ministro per gli Affari europei e in cui partecipano il ministro degli Affari esteri, il ministro dell’Economia e gli altri ministri che hanno competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche all’ordine del giorno. Il coordinamento è in mano al ministro degli Affari europei Enzo Amendola.
Secondo quanto ha scritto Federico Fubini sul Corriere della Sera il 23 ottobre, «il piano italiano per i fondi di Next Generation Ue è circondato di una tale riservatezza, che i funzionari coinvolti hanno dovuto accettare regole precise». Per non far trapelare anticipazioni sui contenuti, ha spiegato Fubini, «persino a chi lavora direttamente sui progetti non è permesso portare con sé né stampare una sola pagina dai computer di Palazzo Chigi, dove si trovano i materiali».
Non è quindi possibile, ad oggi, dire con certezza a che punto sia il piano italiano, e tanto meno avere dettagli su cosa contenga e su come stia andando il dialogo con la Commissione Ue.
Spagna
Il 7 ottobre il primo ministro Pedro Sánchez ha presentato il piano nazionale spagnolo alla presenza di rappresentati delle istituzioni, parti sociali, dirigenti delle maggiori aziende del Paese e ambasciatori europei. Il piano è chiamato “Plan de Recuperación, Transformación y Resiliencia” (in italiano, “Piano di ripresa, trasformazione e resilienza”) ed è stato lanciato con lo slogan #EspañaPuede.
Nel testo ufficiale del piano, si legge che il Recovery and resilience facility «permetterà alla Spagna di ottenere finanziamenti per circa 140 miliardi, dei quali 72 in sussidi e il resto [68 miliardi] sotto forma di prestiti».
Come spiega un articolo del 19 ottobre del quotidiano El País, la Spagna punta a ottenere da subito le sovvenzioni per il 2021-2023 – che non devono essere rimborsate – ma per ora non richiederà i prestiti, che comportano un aumento del debito pubblico. «Fonti del governo» hanno riferito al giornale spagnolo il ragionamento alla base di questa scelta: «La Commissione Europea permette di richiedere i prestiti fino a luglio 2023. Cosa si guadagna richiedendoli adesso? Lo faremo, se ne avremo bisogno, per il periodo 2024-2026».
Il piano di ripresa spagnolo, quindi, si basa sulla previsione di ricevere 72 miliardi e si concentra solo sul triennio 2021-2023. Né il sito del governo né la stampa spagnola ne parla come di una “bozza”.
Abbiamo contattato i nostri colleghi fact-checker spagnoli di Newtral e di Maldita, che ci hanno detto che non è possibile dire se sia il piano definitivo, ma è improbabile che lo sia. Il 16 novembre, Sánchez ha scritto in un tweet che la Spagna sta portando avanti il confronto con la Commissione europea, informata dei «progressi» sul piano di ripresa.
Il documento presentato ufficialmente dal governo di Madrid il 7 ottobre, infatti, è in parte simile alle linee guida illustrate dall’esecutivo italiano: vengono descritte le debolezze del Paese, gli obiettivi degli investimenti e le riforme necessarie.
Ci sono però dettagli fondamentali sull’impiego delle sovvenzioni. La Spagna ha individuato dieci priorità e ad ognuna ha già associato la percentuale di fondi che vi sarà destinata: il 16 per cento per l’agenda rurale e lo spopolamento di alcune zone del Paese; il 12 per cento per politiche infrastrutturali e la resilienza degli ecosistemi; il 9 per cento alla transizione energetica; il 5 per cento per la modernizzazione della pubblica amministrazione; il 17,1 per cento per la digitalizzazione, il turismo e per un progetto chiamato “Spagna nazione imprenditoriale”; il 16,5 per cento per il Patto per la scienza e l’innovazione e per il rafforzamento del sistema sanitario; il 17,6 per cento per l’istruzione e la formazione professionale; il 5,7 per cento per le politiche per il lavoro; l’1,1 per cento per l’industria culturale. Il decimo obiettivo è la riforma fiscale, a cui però non è stata associata una percentuale di fondi (e gli altri nove arrivano già ora al 100 per cento).
In questi giorni Sánchez sta presentando il piano alle regioni e alle comunità autonome del Paese. Il 20 novembre è stato nella comunità autonoma de La Rioja, la terza regione visitata dopo la Comunità Valenciana e la Navarra.
Come abbiamo detto, sapendo così poco del piano italiano, è impossibile dire con certezza se quello spagnolo sia in uno stato più avanzato. Quello che sembra emergere, però, è un processo di maggiore condivisione sui contenuti della programmazione.
Francia
Il primo ministro francese Jean Castex ha presentato il 3 settembre il piano di ripresa nazionale. È intitolato “Plan de relance” (in italiano, “Piano di rilancio”) con il sottotitolo: “Costruire la Francia del 2030”. Il programma vale in totale 100 miliardi di euro, di cui 40 miliardi dai sussidi europei a fondo perduto del Recovery and resilience facility.
La programmazione francese al momento sembra decisamente avanzata. Il documento di presentazione infatti riporta già le cifre destinate a ogni settore: 30 miliardi andranno alla transizione ecologica, 34 alla competitività delle imprese e 36 alla coesione sociale. Per ognuno di questi macrosettori sono stati delineati gli interventi nel dettaglio. Non solo è indicata una cifra specifica per ognuna delle misure, ma si forniscono anche i link di servizio per indirizzare le aziende agli enti a cui possono rivolgersi o i siti su cui inoltrare la propria candidatura per ottenere i finanziamenti.
Tuttavia, come ha spiegato il giornalista William Audureau di Le Monde a Pagella Politica, il piano è stato presentato «prima della seconda ondata e di un secondo imprevisto lockdown», quindi il piano non si può ritenere «definitivo». Il settimanale francese L’Express il 23 novembre ha persino definito il piano di rilancio «già superato», dopo che la nuova fase acuta della pandemia ha costretto il Paese a tornare a restrizioni che colpiscono il commercio, il turismo, la ristorazione e la cultura.
Germania
La Germania è in una situazione molto diversa dagli altri Stati europei. Si stima che il Paese di Angela Merkel riceverà dal Recovery and resilience facility circa 22,5 miliardi.
Come hanno segnalato a Pagella Politica i colleghi fact-checker di Correctiv, i fondi europei destinati alla Germania non sono al centro del dibattito pubblico e non si parla di un piano di ripresa per investirli.
Per un motivo molto semplice: la Germania ha presentato già all’inizio di giugno, prima ancora che il Next Generation Ue venisse concordato fra i leader europei, un piano di rilancio nazionale da 130 miliardi di euro, pari al 4 per cento del Pil: 57 interventi per incentivare l’economia, un massiccio taglio delle tasse, bonus per le famiglie e per le imprese. In altri termini, una maxi-manovra nazionale che ha anticipato qualsiasi altro piano di rilancio, indipendentemente dai fondi europei.
In conclusione
Per beneficiare dei soldi del Recovery and resilience facility – la parte più consistente del Next Generation Eu – ogni Paese europeo è tenuto a inviare entro la fine di aprile 2021 un piano in cui dice all’Europa come intende spendere le risorse comunitarie, rispettando i vincoli imposti dalla Commissione.
Quest’ultima ha però caldamente invitato gli Stati membri a fornire le prime bozze dei piani già a partire da metà ottobre scorso.
Per ora, del “Piano di ripresa e resilienza italiano” si conoscono solamente le linee guida presentate dal Governo e approvate dalle due camere. Di conseguenza, è impossibile dire con esattezza a che punto siano i lavori di programmazione e se l’Italia sia in ritardo sulla tabella di marcia.
Intanto, sia la Spagna che la Francia hanno predisposto i propri piani nazionali, di cui ad oggi si conoscono più dettagli di quanto si possa dire del corrispettivo italiano. La Francia, tuttavia, ha presentato il proprio piano prima della seconda ondata e si troverà probabilmente a doverlo modificare.
La Germania merita un discorso a parte. Già a inizio giugno il Paese di Angela Merkel aveva presentato il proprio piano di rilancio, 130 miliardi completamente finanziati dalle casse tedesche, prima ancora che diventasse definitivo l’accordo sui fondi europei.
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