Il 25 giugno, a margine dell’Associazione italiana di costruttori italiani di macchine utensili (Ucimu), il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha detto che in Italia «abbiamo un cuneo fiscale sui salari […] che incide tra il 70 per cento e il 120 per cento».

Ma è davvero così? Abbiamo verificato.

Di che cosa stiamo parlando

Come spiega la Treccani, il “cuneo fiscale” è «la differenza tra quanto costa un dipendente al datore di lavoro e quanto riceve al netto lo stesso lavoratore, calcolata in percentuale del salario lordo».

A voler essere precisi, questa è la definizione del “cuneo fiscale e contributivo”, che come chiarisce l’Istat è la somma di due componenti: le imposte sui redditi da lavoratore dipendente, da un lato, e i contributi previdenziali a carico del datore di lavoro e del dipendente, dall’altro.

Generalmente, tuttavia, quando si parla di “cuneo fiscale” si prendono comunque in considerazione entrambi questi aspetti.

Il Contratto di governo ha promesso una riduzione strutturale della percentuale che viene trattenuta dal lordo in busta paga, ma come abbiamo verificato con il nostro progetto Traccia il Contratto questo impegno non è ancora stato mantenuto.

Il 2 aprile 2019, il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio aveva annunciato su Twitter che «per la prima volta dare lavoro in Italia costerà meno». Il riferimento era a un provvedimento stabilito dalla legge di Bilancio per il 2019, che prevedeva uno sconto fiscale del 30 per cento per gli imprenditori sulle tariffe dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail).

Questa misura è stata però criticata e accusata di ridurre gli incentivi per migliorare la sicurezza sul luogo di lavoro.

Il cuneo fiscale in Italia e nel mondo

Ogni anno, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) pubblica i dati sul cuneo fiscale dei suoi Stati membri, definito come «il rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore medio (una persona single con guadagni nella media e senza figli) e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore».

Secondo l’ultimo rapporto Taxing Wages 2019 – pubblicato l’11 aprile 2019 – nel 2018 in Italia la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del 47,9 per cento. In sostanza, su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore italiano arriva un netto di 52,1 euro.

Rispetto al 2017, si tratta di un aumento dello 0,20 per cento. Negli ultimi 18 anni le cose non sono cambiate molto: nel 2000, il valore del cuneo fiscale in Italia era del 47 per cento.

Questo valore, come abbiamo detto, è una media: il cuneo fiscale può raggiungere per esempio anche il 54 per cento per i cittadini singoli che guadagnano oltre 50 mila euro lordi l’anno.

Al primo posto della classifica del cuneo fiscale nei Paesi Ocse, nel 2018 troviamo il Belgio, con un cuneo fiscale del 52,7 per cento, seguito dalla Germania (49,5 per cento) e dall’Italia. La media Ocse è del 36,1 per cento, sostanzialmente stabile (-0,16 per cento) rispetto al 2017.

Gli altri Paesi del G7 hanno tasse sul lordo in percentuale più basse delle nostre: Francia (47,6 per cento), Giappone (32,6 per cento), Regno Unito (30,9 per cento), Canada (30,7 per cento) e Stati Uniti (29,6 per cento).

E in rapporto al netto?

In base a questi numeri, Boccia si sbaglia, e non di poco: il cuneo fiscale non incide sui salari tra il 70 per cento e il 120 per cento, ma in media per quasi il 48 per cento.

Il presidente di Confindustria, però, fa probabilmente riferimento a un altro indicatore, come si desume da un’analoga dichiarazione del marzo 2019: «Le tasse sul lavoro incidono fino al 120 per cento sul salario netto».

L’ammontare del cuneo fiscale può infatti essere ricalcolato in rapporto alla retribuzione netta, anziché in percentuale sul costo totale del lavoro.

Come cambiano i numeri?

Secondo le elaborazioni del Centro Studi Assolombarda sui dati Ocse, nel 2018 a 100 euro di netto in busta paga corrispondevano in media oneri per lavoratori e imprese di 92 euro.

In sostanza, rispetto al salario netto, il cuneo fiscale era in media del 92 per cento, in linea – a seconda del guadagno loro e della composizione del nucleo familiare – con il 70-120 per cento citato da Boccia.

L’anno scorso, in Germania questa percentuale era in media al 98 per cento, al 91 per cento in Francia e al 65 per cento in Spagna.

In conclusione

Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha detto che in Italia il cuneo fiscale incide sui salari tra «il 70 per cento e il 120 per cento».

In realtà, queste percentuali sono sbagliate se si fa riferimento al cuneo fiscale come il rapporto tra quanto costa un dipendente al datore di lavoro e quanto riceve al netto lo stesso lavoratore. Secondo i dati Ocse, nel 2018 questa percentuale nel nostro Paese equivaleva al 47,9 per cento.

Discorso diverso vale se si ricalcola il cuneo fiscale in rapporto al salario netto: in questo caso il cuneo fiscale incide in media per il 92 per cento, quasi la mediana esatta della forbice del 70-120 per cento citata da Boccia.