«Sono norme [quelle della riforma della giustizia, ndr] talmente di buon senso che in passato le hanno sostenute o proposte anche diversi esponenti dell’opposizione»

È vero che vari esponenti dei partiti all’opposizione erano – o sono ancora oggi – favorevoli alla separazione delle carriere dei magistrati, introdotta in Costituzione dalla riforma costituzionale che il prossimo anno sarà sottoposta a referendum.

Per esempio, il deputato e segretario di Più Europa Riccardo Magi ha dichiarato che la separazione della carriere dei magistrati può essere uno «strumento utile a rafforzare garanzie e realizzare il giusto processo», ma ha motivato la sua mancata partecipazione al voto finale in aula con la mancata «chiarezza» del governo «su alcuni aspetti nodali» della riforma. Anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi si è detto più volte favorevole alla separazione delle carriere dei magistrati, ma sostiene che la riforma del governo Meloni sia stata «scritta male».

Discorso simile vale per diversi esponenti del Partito Democratico, che in passato hanno sostenuto la possibilità di separare la carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. Nel programma elettorale del 2022 dello stesso PD c’era la proposta di «istituire con legge di revisione costituzionale un’Alta Corte competente a giudicare le impugnazioni sugli addebiti disciplinari dei magistrati e sulle nomine contestate», e una proposta simile è contenuta nella riforma costituzionale voluta dal governo Meloni.

In ogni caso, il fatto che in passato singoli esponenti dell’opposizione abbiano sostenuto alcuni principi oggi presenti nella riforma non significa che condividano l’impianto complessivo della riforma, che per molti di loro è diverso per contenuti, garanzie ed effetti sull’equilibrio tra politica e magistratura, e proprio per questo viene contestato.

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