Nella politica italiana il voto segreto è un istituto molto spesso criticato, perché secondo alcuni ha favorito il fenomeno dei “franchi tiratori” (vedi: Franchi tiratori), ma la sua esistenza ha una storia e una motivazione precisa. In generale, durante alcune votazioni parlamentari, il voto segreto viene utilizzato per garantire la massima libertà di espressione ai parlamentari, evitando i condizionamenti dei partiti di appartenenza.
Nell’Italia repubblicana, il voto segreto è stato utilizzato per la prima volta nel 1947, quando l’Assemblea costituente discusse un emendamento che puntava a cancellare dall’articolo 23 del progetto di Costituzione (poi divenuto l’articolo 29 nel testo definitivo) la parola «indissolubile». Fino a quel momento, l’articolo 23 recitava infatti: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio indissolubile».
La richiesta suscitò un’accesa discussione: la questione del matrimonio era un tema molto spinoso e divisivo, e i promotori del voto segreto erano convinti che, proprio nel segreto dell’urna, alcuni deputati avrebbero votato secondo coscienza e non secondo le direttive dei propri partiti. La votazione si tenne infatti a scrutinio segreto e l’emendamento venne approvato, con diversi deputati della Democrazia cristiana che, nel segreto dell’urna, avevano votato contro quanto prescritto dal loro partito.
A oggi il voto segreto è previsto dalla Costituzione per l’elezione del presidente della Repubblica, che si tiene con il Parlamento in seduta comune. Il voto segreto è poi previsto dai regolamenti della Camera e del Senato per alcune specifiche votazioni, di solito che riguardano persone o cariche, come per esempio l’elezione del presidente e dei membri dell’Ufficio di presidenza (vedi: Uffici di presidenza), che dirigono i lavori dell’assemblea. In questo caso, lo scrutinio segreto permette ai parlamentari di esprimersi esclusivamente sulle persone, senza condizionamenti da parte dei partiti, ed evita che i presidenti eletti possano fare poi favori a chi li ha votati. Lo scrutinio segreto non è consentito nelle votazioni sulla legge di Bilancio e sulle questioni di fiducia poste dal governo.
Nell’Italia repubblicana, il voto segreto è stato utilizzato per la prima volta nel 1947, quando l’Assemblea costituente discusse un emendamento che puntava a cancellare dall’articolo 23 del progetto di Costituzione (poi divenuto l’articolo 29 nel testo definitivo) la parola «indissolubile». Fino a quel momento, l’articolo 23 recitava infatti: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio indissolubile».
La richiesta suscitò un’accesa discussione: la questione del matrimonio era un tema molto spinoso e divisivo, e i promotori del voto segreto erano convinti che, proprio nel segreto dell’urna, alcuni deputati avrebbero votato secondo coscienza e non secondo le direttive dei propri partiti. La votazione si tenne infatti a scrutinio segreto e l’emendamento venne approvato, con diversi deputati della Democrazia cristiana che, nel segreto dell’urna, avevano votato contro quanto prescritto dal loro partito.
A oggi il voto segreto è previsto dalla Costituzione per l’elezione del presidente della Repubblica, che si tiene con il Parlamento in seduta comune. Il voto segreto è poi previsto dai regolamenti della Camera e del Senato per alcune specifiche votazioni, di solito che riguardano persone o cariche, come per esempio l’elezione del presidente e dei membri dell’Ufficio di presidenza (vedi: Uffici di presidenza), che dirigono i lavori dell’assemblea. In questo caso, lo scrutinio segreto permette ai parlamentari di esprimersi esclusivamente sulle persone, senza condizionamenti da parte dei partiti, ed evita che i presidenti eletti possano fare poi favori a chi li ha votati. Lo scrutinio segreto non è consentito nelle votazioni sulla legge di Bilancio e sulle questioni di fiducia poste dal governo.