Dalla mezzanotte del giorno precedente una tornata elettorale fino alla chiusura dei seggi, ai politici italiani è vietato fare campagna elettorale. Non può essere organizzato nessun comizio, nessun annuncio o intervista in tv ed è vietata l’affissione di manifesti di propaganda.
Questo “silenzio elettorale”, spesso al centro di polemiche su vere o presunte violazioni, è stabilito dalla legge per tutte le elezioni che si tengono in Italia e serve a consentire ai cittadini un giorno per riflettere sul voto in totale autonomia. Non sempre però le norme sul silenzio elettorale vengono rispettate, anzi. L’attuale normativa sul silenzio elettorale presenta diversi limiti, soprattutto perché non include i social network, piattaforme utilizzate ormai da milioni di utenti e da tutti i principali politici italiani.
Più nel dettaglio, la legge sul silenzio elettorale risale al 1956 e stabilisce per il giorno precedente al voto il divieto di comizi o riunioni in luoghi pubblici, l’affissione di nuovi manifesti elettorali e lo svolgimento di qualsiasi attività di propaganda a meno di 200 metri dai seggi. Allo stesso modo non è concessa nemmeno la propaganda sulle emittenti televisive e radiofoniche, sia pubbliche che private. Chi viola il silenzio elettorale incorre in una pena che varia da una sanzione di circa 100 euro fino alla detenzione di un anno, anche se spesso in concreto non viene preso alcun provvedimento.
Tradizionalmente, il giorno del voto i giornalisti e i fotografi seguono i politici fino al seggio per le classiche foto mentre inseriscono la scheda nell’urna elettorale. Non è raro, in queste situazioni, che ai candidati venga chiesto di rilasciare una dichiarazione, che generalmente si limita a un appello alla partecipazione. Succede però, a volte, che tali dichiarazioni sfocino nel commento politico o addirittura nella propaganda, rompendo quindi il silenzio elettorale – solitamente senza incorrere in nessuna sanzione.
La legge sul silenzio elettorale attualmente in vigore non include Internet tra i “luoghi” nei quali è vietato fare propaganda, generando quindi un vero e proprio vuoto normativo. In questi ultimi anni non sono mancati i tentativi di modificare la legge sul silenzio elettorale aggiungendo anche Internet e i social network, ma nessuna proposta è stata approvata in Parlamento.
Questo “silenzio elettorale”, spesso al centro di polemiche su vere o presunte violazioni, è stabilito dalla legge per tutte le elezioni che si tengono in Italia e serve a consentire ai cittadini un giorno per riflettere sul voto in totale autonomia. Non sempre però le norme sul silenzio elettorale vengono rispettate, anzi. L’attuale normativa sul silenzio elettorale presenta diversi limiti, soprattutto perché non include i social network, piattaforme utilizzate ormai da milioni di utenti e da tutti i principali politici italiani.
Più nel dettaglio, la legge sul silenzio elettorale risale al 1956 e stabilisce per il giorno precedente al voto il divieto di comizi o riunioni in luoghi pubblici, l’affissione di nuovi manifesti elettorali e lo svolgimento di qualsiasi attività di propaganda a meno di 200 metri dai seggi. Allo stesso modo non è concessa nemmeno la propaganda sulle emittenti televisive e radiofoniche, sia pubbliche che private. Chi viola il silenzio elettorale incorre in una pena che varia da una sanzione di circa 100 euro fino alla detenzione di un anno, anche se spesso in concreto non viene preso alcun provvedimento.
Tradizionalmente, il giorno del voto i giornalisti e i fotografi seguono i politici fino al seggio per le classiche foto mentre inseriscono la scheda nell’urna elettorale. Non è raro, in queste situazioni, che ai candidati venga chiesto di rilasciare una dichiarazione, che generalmente si limita a un appello alla partecipazione. Succede però, a volte, che tali dichiarazioni sfocino nel commento politico o addirittura nella propaganda, rompendo quindi il silenzio elettorale – solitamente senza incorrere in nessuna sanzione.
La legge sul silenzio elettorale attualmente in vigore non include Internet tra i “luoghi” nei quali è vietato fare propaganda, generando quindi un vero e proprio vuoto normativo. In questi ultimi anni non sono mancati i tentativi di modificare la legge sul silenzio elettorale aggiungendo anche Internet e i social network, ma nessuna proposta è stata approvata in Parlamento.