Con lo strumento della fiducia il Parlamento esercita la sua funzione di indirizzo politico nei confronti del governo. In base all’articolo 94 della Costituzione, il governo «deve avere la fiducia delle camere», ossia della Camera e del Senato. Entro dieci giorni dalla sua formazione, un governo deve recarsi in Parlamento per ricevere la fiducia, che deve essere votata dalla maggioranza dei deputati e dei senatori. La Costituzione non dice altro sui voti di fiducia, ma i regolamenti di Camera e Senato aggiungono altre due possibilità per sfruttare lo strumento della fiducia.

In base ai regolamenti parlamentari, il governo può porre la cosiddetta “questione di fiducia” su un provvedimento, come la conversione in legge di un decreto-legge o di un disegno di legge, la cui approvazione ritiene fondamentale. Con la questione di fiducia, i tempi dell’esame del testo da parte del Parlamento si riducono, perché cade la possibilità per le aule di votare modifiche al testo. In questo modo, però, il governo rischia di perdere la fiducia di una delle due aule, nel caso in cui non avesse la maggioranza dei voti.

L’eccessivo ricorso dei governi alle questioni di fiducia è un fenomeno che da tempo caratterizza la politica italiana ed è stato in passato criticato più volte da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia. Una volta arrivata al governo però Meloni ha seguito la stessa strada dei suoi predecessori: il numero di questioni di fiducia poste dal governo Meloni dal suo insediamento, avvenuto il 22 ottobre, è infatti in linea con quello registrato dal secondo governo Conte e il terzo più alto tra gli ultimi nove governi, dietro solo ai governi tecnici di Mario Draghi e Mario Monti.

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