È vero che i poveri sono aumentati con il governo Meloni?

Questa accusa è stata fatta da vari partiti, tra cui Movimento 5 Stelle, PD e Sinistra Italiana. Vediamo che cosa dicono i numeri Istat
ANSA / MATTEO BAZZI
ANSA / MATTEO BAZZI
Nelle scorse ore alcuni partiti di opposizione hanno scritto che durante il 2023 il numero di poveri in Italia è aumentato. «Sono in peggioramento i dati sulla povertà assoluta», ha scritto sul suo sito ufficiale il Partito Democratico. «Con il governo Meloni si collezionano record; l’ultimo è quello di poveri assoluti: 5,7 milioni in Italia nel 2023», ha dichiarato su Facebook il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. «Istat ci comunica che nel 2023 in Italia ci sono stati quasi 6 milioni di poveri, con un aumento considerevole nel Nord» ha scritto sui social network il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. 

Questi numeri sono corretti? Abbiamo controllato.

Che cosa dicono le stime preliminari Istat

Il 25 marzo l’Istat ha pubblicato le stime preliminari sulla povertà assoluta in Italia. Secondo l’istituto nazionale di statistica, vivono in questa condizione le persone e le famiglie che non raggiungono la cosiddetta “soglia di povertà assoluta”. Questa soglia è fissata in una spesa mensile minima in alcuni beni e servizi considerati necessari per avere uno standard di vita accettabile. Non esiste una soglia di povertà assoluta uguale per tutta l’Italia: il valore della spesa mensile per essere considerati poveri cambia infatti a seconda di dove si vive, se al Nord o al Sud, in città o meno, e a seconda del numero di componenti di una famiglia e della loro età (qui si possono scaricare tutte le soglie di povertà). 

Secondo le stime dell’Istat – che, ricordiamo, sono al momento preliminari (quelle definitive saranno pubblicate a ottobre 2024) – nel 2023 in Italia viveva in povertà assoluta l’8,5 per cento delle famiglie e il 9,8 per cento delle persone. Nel 2022 queste due percentuali erano rispettivamente pari all’8,3 per cento e al 9,7 per cento. Presentando i dati, Istat ha scritto che la povertà assoluta in Italia mostra «un quadro di sostanziale stabilità rispetto al 2022», nonostante le percentuali appena viste indichino un leggero aumento. In valori assoluti, Istat stima che nel 2023 vivevano in povertà assoluta 5 milioni e 752 mila persone in Italia, suddivise in 2 milioni e 234 mila famiglie. Secondo le stime definitive del 2022, pubblicate a ottobre 2023, due anni fa questi numeri erano pari rispettivamente a 5 milioni e 674 mila e a 2 milioni e 187 mila. In un anno i poveri sarebbero quindi cresciuti di 78 mila unità e le famiglie di 47 mila unità.

Come mostra il Grafico 1, tra il 2014 e il 2018 l’incidenza della povertà assoluta è costantemente aumentata. Nel 2019, «in concomitanza con l’introduzione del reddito di cittadinanza», c’è stato un calo, a cui sono seguiti anni di aumento a causa della crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19 (2020-2021) e all’aumento dell’inflazione (2022).
Grafico 1. Incidenza della povertà assoluta tra le famiglie e le persone – Fonte: Istat
Grafico 1. Incidenza della povertà assoluta tra le famiglie e le persone – Fonte: Istat
Le stime preliminari di Istat mostrano che tra il 2022 e il 2023 la povertà è peggiorata soprattutto al Nord. Qui il numero delle famiglie e delle persone in povertà assoluta è aumentato, mentre nelle regioni del Mezzogiorno è calato. L’incidenza della povertà resta comunque più alta nelle regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali.

Sono rimasti invece stabili i dati sulle diverse tipologie di famiglie. Nel 2023 oltre il 20 per cento delle famiglie con almeno cinque componenti viveva in povertà assoluta, percentuale che scende al 6 per cento nelle famiglie composte solo da due persone. «La presenza di figli minori continua a essere un fattore che espone maggiormente le famiglie al disagio», ha scritto Istat. «L’incidenza di povertà assoluta si conferma più marcata per le famiglie con almeno un figlio minore (12 per cento), mentre per quelle con anziani si attesta al 6,4 per cento».

La differenza con il rischio di povertà

Come si spiegano questi nuovi dati sulla povertà assoluta con quelli presentati lo scorso 6 marzo da Istat, secondo cui nel 2023 il rischio di povertà in Italia sarebbe calato? La spiegazione sta nel fatto che il cosiddetto “rischio di povertà” è una cosa diversa rispetto alla povertà assoluta. Il rischio di povertà quantifica la percentuale di persone che vive in famiglie con un reddito inferiore alla soglia di rischio di povertà. La soglia si calcola in questo modo: come prima cosa si guarda la distribuzione di un particolare tipo di reddito, il “reddito disponibile equivalente”. Si prende il valore mediano, ossia quel valore del reddito disponibile equivalente sotto cui sta metà della popolazione, e sopra l’altra metà. La soglia del rischio di povertà è fissata in un valore pari al 60 per cento di questo valore mediano: chi ha un reddito inferiore a questa soglia, è a rischio povertà. Dunque, qui si fa riferimento a soglie di reddito, mentre con la povertà assoluta si parla di soglie di spesa. Sono diverse anche le metodologie con cui sono stimati il rischio di povertà e la povertà assoluta: per il primo viene usato un modello di microsimulazione, che simula appunto l’impatto di alcune politiche redistributive dei redditi; per la seconda si usano i dati sulle spese in consumi delle famiglie, che in parte sono raccolti con interviste.

Secondo Istat, nel 2023 il rischio di povertà è sceso dal 20 per cento al 18,8 per cento rispetto al 2022 grazie a tre misure che erano già in vigore prima dell’insediamento del governo Meloni, avvenuto il 22 ottobre 2022: l’assegno unico e universale per i figli a carico; il reddito di cittadinanza, che dal 1° settembre 2023 è stato affiancato per una parte dei beneficiari dal supporto per la formazione e il lavoro; e il cosiddetto “taglio del cuneo fiscale”, ossia la riduzione della differenza tra il lordo e il netto in busta paga. Lo scorso anno il governo Meloni ha modificato queste misure, per esempio ampliando il taglio del cuneo. Secondo Istat, le modifiche introdotte al reddito di cittadinanza non hanno contribuito al calo del rischio di povertà.

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