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L’aumento dell’Iva in Giappone ha danneggiato l’economia?

| 27 febbraio 2020
La dichiarazione
«Ecco cosa ha comportato l’aumento dell’Iva in Giappone dal 8% al 10% rispetto al trimestre precedente: PIL -6,3%, spese per consumi -11,1%, export -0,4%, spesa in conto capitale -14,1%. Averlo evitato in Italia non è roba da poco»
Fonte: Twitter | 17 febbraio 2020
Ansa
Ansa
Verdetto sintetico
C'eri quasi
In un post su Twitter del 17 febbraio 2020, la deputata Beatrice Lorenzin ha commentato alcuni dati sull’andamento dell’economia in Giappone, collegandoli all’aumento dell’Iva disposto di recente nel Paese asiatico, e rivendicando il risultato del governo Conte II di aver evitato una situazione del genere in Italia.

Abbiamo verificato se i dati che la deputata del Partito Democratico cita siano corretti e se questo rapporto causa-effetto tra Iva e calo del Pil sia credibile.

L’Iva nel mondo e in Giappone

L’Iva (Imposta sul Valore Aggiunto) esiste ormai in oltre centosessanta Paesi del mondo, tra cui tutti quelli dell’Unione europea. All’estero è chiamata di solito Vat (Value Added Tax) o Gst (Goods and Services Tax), mentre in Giappone è nota semplicemente come “tassa sui consumi” (shōhizei). Il nome può cambiare, ma in tutti i casi stiamo parlando dello stesso tipo di tassazione indiretta.

In Giappone, la tassa sui consumi è stata introdotta nel 1989, con un’aliquota standard del 3 per cento. Da allora, è stata aumentata al 5 per cento nel 1997 e successivamente all’8 per cento nel 2014, restando comunque tra le aliquote più basse al mondo (in Italia ad esempio è al 22 per cento). Di recente, come abbiamo scritto anche in una nostra precedente analisi e come correttamente riporta Beatrice Lorenzin, l’aliquota è stata portata dall’8 al 10 per cento.

Il Pil giapponese nell’ultimo trimestre del 2019

Lorenzin cita quattro dati relativi ad altrettanti indicatori macroeconomici, che possiamo verificare sul sito ufficiale del governo giapponese, disponibile anche in inglese, nella sezione dedicata ai conti nazionali. Il documento che ci interessa è quello coi dati trimestrali del Pil relativi all’ultimo trimestre del 2019, pubblicato il 17 febbraio 2020.

In base a questo, risulta in effetti che nel quarto trimestre del 2019 il Pil è calato del 6,3 per cento, le esportazioni dello 0,4 per cento e la domanda interna dell’11,1 per cento. Lorenzin è però imprecisa nel parlare di “spesa in conto capitale”. Guardando ai dati ufficiali possiamo dire che, citando un -14,1 per cento, Lorenzin intendesse probabilmente fare riferimento agli “investimenti produttivi privati” (private non residential investment), che hanno in effetti visto una forte diminuzione nell’ultimo trimestre. La “spesa in conto capitale” è invece la somma di tutte le spese destinate a investimenti e opere pubbliche.

Per il resto, i numeri di Lorenzin sono essenzialmente corretti. Gli indicatori del Pil in discussione hanno visto tutti un peggioramento – più o meno accentuato – rispetto al periodo tra luglio e settembre, e questo calo si è verificato in effetti in corrispondenza dell’aumento dell’Iva di ottobre 2019.

Gli effetti dei rincari precedenti

Questi dati sono davvero l’effetto dell’aumento dell’Iva? Il fatto che due eventi siano avvenuti uno dopo l’altro non significa necessariamente che ci sia un nesso di causa/effetto. Per una prima verifica abbiamo quindi controllato sui dati ufficiali del governo giapponese, le cui serie storiche partono dal 1994, se l’economia giapponese abbia subito simili battute d’arresto in corrispondenza degli aumenti dell’Iva avvenuti in passato nel 1997 e nel 2014.

I due grafici seguenti mostrano le variazioni trimestrali degli stessi indicatori citati da Lorenzin per il 1997 e per il 2014. In entrambi gli anni, l’aumento dell’IVA è stato introdotto ad aprile, il che significa che dobbiamo guardare ai dati del secondo trimestre (Q2).
Grafico 1. Variazioni in percentuale rispetto al trimestre precedente delle componenti del Pil giapponese nel 1997 – Fonte: elaborazione su dati ufficiali del governo del Giappone
Grafico 1. Variazioni in percentuale rispetto al trimestre precedente delle componenti del Pil giapponese nel 1997 – Fonte: elaborazione su dati ufficiali del governo del Giappone
Grafico 2. Variazioni in percentuale rispetto al trimestre precedente delle componenti del Pil giapponese nel 2014 – Fonte: elaborazione su dati ufficiali del governo del Giappone
Grafico 2. Variazioni in percentuale rispetto al trimestre precedente delle componenti del Pil giapponese nel 2014 – Fonte: elaborazione su dati ufficiali del governo del Giappone
Come si vede, in entrambi i casi all’aumento dell’Iva è corrisposta una riduzione delle stime di crescita del Pil, più o meno accentuata, e a livello generale sembra che la tassa sui consumi abbia avuto, almeno nel breve termine, un effetto negativo anche sugli altri indicatori (tranne che sull’export, che se nel 2014 cala drasticamente, nel 1997 va addirittura in controtendenza).

Aumentare l’Iva è sempre un male?

Gli effetti delle variazioni dell’Iva sono dibattuti tra gli esperti ed è difficile trovare un consenso unanime.

Secondo la maggioranza degli osservatori internazionali, le cattive performance dell’economia giapponese in corrispondenza degli aumenti dell’Iva sono influenzate anche da altri fattori contingenti, come la crisi finanziaria asiatica e il debole settore bancario nel 1997 o il tifone Hagibis, che ad ottobre 2019 in Giappone ha causato morti, inondato città e portato alla cancellazione di alcune partite dei Mondiali di Rugby. Ma gli esperti si dividono sul peso da attribuire all’aumento dell’Iva e agli altri fattori.

Diversi e autorevoli giornali, come Il Sole 24 Ore, The Economist e The Wall Street Journal, pur menzionando questi altri elementi in gioco, pongono un accento negativo in particolare sull’aumento della tassa sui consumi che, andando ad incidere direttamente sui costi dei beni per tutti i cittadini, avrebbe effetti recessivi.

Altri esperti danno invece maggior peso a questi altri elementi e danno un giudizio positivo dell’aumento dell’Iva. Il Fondo Monetario Internazionale, per esempio, ha difeso in passato l’aumento delle aliquote in Giappone, sostenendo che la diminuzione del Pil conseguente al rincaro delle tasse sarebbe compensata nel lungo termine da una riduzione del debito pubblico (che in Giappone ammonta al doppio del Pil) legata alla maggiore affidabilità fiscale del Paese.

Insomma, è probabile che l’aumento dell’Iva abbia avuto delle ripercussioni negative sull’economia giapponese, come dice Lorenzin. L’aumento dell’Iva non è però l’unico fattore in gioco e non è certo che sia quello principale: altre concause potrebbero aver contribuito in misura determinante al peggioramento dei dati macroeconomici.

Il verdetto

Beatrice Lorenzin ha affermato che l’aumento dell’Iva in Giappone ha peggiorato gli indicatori economici del Paese alla fine del 2019. Abbiamo visto come i dati citati siano sostanzialmente corretti – al netto di un imprecisione terminologica – ma il rapporto di causa-effetto sia più problematico. Non c’è infatti unanimità tra gli esperti nell’attribuire all’aumento della tassa sui consumi il ruolo principale nel determinare l’andamento dell’economia giapponese.

Lorenzin merita dunque un “C’eri quasi”.

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