Il 12 dicembre, durante un’intervista con Repubblica, la ministra per le Pari opportunità del governo Conte II Elena Bonetti (Italia Viva) ha parlato del gender gap occupazionale in Italia, cioè del divario tra uomini e donne per quanto riguarda il lavoro.

Secondo Bonetti nel nostro Paese la nostra situazione è «più pesante» rispetto a quanto accade negli altri Paesi: mentre in Europa lavorano tre donne su quattro, in Italia ci si ferma a una donna su due. La ministra ha anche sottolineato che esiste un problema di scarsa rappresentanza femminile «nei luoghi decisionali e di potere». Ma come stanno davvero le cose? Abbiamo verificato.

Il confronto europeo

Le parole della ministra possono essere verificate guardando alle statistiche occupazionali pubblicate a maggio 2019 dall’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat) e relative al 2018. Considerati i 28 paesi Ue (incluso l’uscente Regno Unito), la percentuale di donne che lavorano nella fascia di età 20-64 è del 67,4 per cento: circa due donne su tre. L’Italia si ferma al 53,1 per cento, penultima nel confronto con gli altri Stati europei, dunque circa una donna su due.

Peggio di noi fa solamente la Grecia con il 49,1 per cento. Ai vertici della classifica per occupazione femminile troviamo invece nell’Ue la Svezia (80,2 per cento), la Lituania (76,7 per cento) e la Germania (75,8 per cento).

Donne al potere

Più difficile è quantificare in termini esatti la rappresentanza femminile «nei luoghi decisionali e di potere». Cerca di farlo, sulla base di un confronto mondiale, il Global Gender Gap Report 2020, studio realizzato dal World Economic Forum.

Il dossier misura la parità di genere in 153 Stati: l’Italia ricopre oggi la 76° posizione, in risalita di una sola posizione rispetto a quanto accadeva nel 2006.

Uno degli indici presi in esame è il Political Empowerment, l’emancipazione femminile in ambito politico. Il calcolo si basa sul rapporto fra donne e uomini in posizioni ministeriali, in Parlamento e a capo del potere esecutivo (primo ministro o presidente).

In questa specifica classifica, stando ai dati raccolti ed elaborati dal World Economic Forum, il nostro Paese si posiziona oggi al 44° posto rispetto ai 153 Paesi totali. Nel 2006 l’Italia ricopriva la 72° posizione. Oggi, anche se è corretto riconoscere un miglioramento al nostro Paese, sono pochi gli Stati dell’Europa occidentale che fanno peggio di noi: solo Lussemburgo, Malta, Grecia e Cipro.

Oggi il governo Conte II ha 7 donne ministre su un totale di 21 esponenti, un terzo dei rappresentanti. Come abbiamo spiegato in una puntata del nostro podcast, in una ipotetica classifica con gli altri Stati Ue, l’Italia si posizionerebbe a metà strada tra quei Paesi con un’alta rappresentanza femminile dove le ministre sono più dei ministri (come, ad esempio, la Svezia) e quelli dove invece la presenza femminile è un caso unico (come, ad esempio, la Lituania).

Con il governo Renzi era stata raggiunta, anche se per i soli primi 8 mesi dal momento del giuramento, la parità tra i sessi tra le ministre donne e i ministri uomini. Si è trattato, fino a questo momento, del miglior risultato ottenuto in ambito politico nella storia repubblicana del nostro Paese.

Infine, guardando ai dati aggiornati a dicembre 2019 dell’Inter-Parliamentary Union, istituzione globale che rappresenta i parlamenti nazionali, la Camera dei deputati italiana ha una rappresentanza femminile pari al 35,7 per cento, contro il 34,3 per cento del Senato. Confrontando i dati della Camera italiana con quelli delle camere basse o dei parlamenti monocamerali degli altri Paesi, l’Italia si trova al 33° posto su 187 Stati presi in esame.

La presenza nei Cda

La situazione è meno negativa se si considerano le performance aziendali.

A ottobre 2019 il Credit Suisse Research Institute, centro di ricerca della società finanziaria svizzera, ha pubblicato il rapporto CS Gender 3000. Lo studio prende in esame la presenza di donne nei consigli di amministrazione, in posizioni dirigenziali e in posizioni esecutive, in 3.000 aziende di 56 diversi Paesi.

Stando ai dati raccolti (qui il report scaricabile), l’Italia nel 2019 si è posizionata al quinto posto per percentuale di donne nei CdA, con un’incidenza pari al 33 per cento: una ogni due uomini. Meglio di noi hanno fatto solamente Francia (44,4 per cento), Norvegia (40,9 per cento), Belgio (35,9 per cento) e Svezia (35 per cento). Negli ultimi 5 anni, come evidenzia il report, i Paesi che hanno registrato un maggior aumento della percentuale di donne ai vertici delle aziende sono stati la Malesia, la Francia, l’Australia, la Germania e l’Austria, con una crescita tra il 9,4 per cento e il 12,8 per cento.

Il verdetto

Elena Bonetti ha detto che in Europa lavorano tre donne su quattro mentre in Italia una su due. La ministra ha poi parlato dell’esistenza di un problema di scarsa rappresentanza femminile «nei luoghi decisionali e di potere».

Guardando all’occupazione, il dato è corretto. Secondo i dati Eurostat relativi al 2018 nell’Unione europea (dato a 28 Stati) lavora circa il 67 per cento delle donne, contro il 53 per cento italiano.

Per quanto riguarda poi la scarsa rappresentanza in politica e in ambito dirigenziale, è bene distinguere i due settori. Se, a livello di ministri donne, l’Italia con un terzo dei rappresentanti di sesso femminile è oggi lontana da altri Paesi Ue dove le donne sono una maggioranza, bisogna però riconoscere che, stando a un report redatto da Credit Suisse, il nostro Paese ricopre le prime posizioni per quanto riguarda la presenza di donne nei CdA delle aziende italiane (33 per cento dei casi). Il secondo dato, per quanto ancora lontano dalla parità di genere, posiziona l’Italia al quinto posto dopo Francia, Norvegia, Belgio e Svezia.

Elena Bonetti merita un “C’eri quasi”.