L’11 giugno 2019, in un intervento alla Camera rivolto al ministro dell’Economia Giovanni Tria, il deputato del Partito democratico Luigi Marattin ha detto che «sulla scadenza quinquennale» l’Italia sostiene un finanziamento del debito «a costi più alti della Grecia».

Ma è davvero così? Abbiamo verificato.

L’andamento dei titoli di Stato italiani a 5 anni

Il Buono poliennale del tesoro (Btp) con scadenza a 5 anni è il principale titolo quinquennale per volume di emissione. I Btp, insieme ai Bot (Buoni ordinari del tesoro), costituiscono i più importanti strumenti finanziari con cui lo Stato chiede fondi in prestito sui mercati internazionali.

Secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), nel 2018 sono stati venduti Btp a 5 anni per un valore complessivo di quasi 31,7 miliardi di euro, pari all’8,1 per cento dei circa 389,8 miliardi di titoli emessi dallo Stato nel 2018.

Queste obbligazioni vengono emesse ogni mese dal dipartimento del tesoro del Mef e prevedono una cedola semestrale, ossia un pagamento fisso percentuale che viene erogato ogni sei mesi al detentore del titolo. L’acquisto avviene tramite asta su un mercato – definito primario – a cui possono accedere gli investitori abilitati per legge (per esempio, banche e fondi di investimento).

Da inizio 2019 a oggi, ci sono state cinque aste di Btp a 5 anni.

Il loro rendimento – ossia la quota di interessi e cedola che lo Stato si impegna a pagare all’acquirente – è passato dall’1,49 per cento di fine gennaio al 1,81 per cento di fine maggio, con un aumento dello 0,32 per cento. In altre parole, gli investitori sono diventati meno propensi a comprare il Btp a 5 anni e quindi lo Stato è obbligato a offrire loro un ritorno maggiore sul loro investimento.

Sul mercato secondario – che come vedremo meglio in seguito è quello dove chiunque lo desideri può scambiare titoli – il Btp italiano a 5 anni è arrivato a essere scambiato a un tasso dell’1,85 per cento a metà maggio, ed è tuttora venduto a un prezzo più basso (e quindi a un tasso più alto) rispetto a inizio marzo.

L’andamento dei titoli di Stato greci a 5 anni

Al contrario dei titoli italiani, i titoli greci a scadenza quinquennale hanno subito un calo del rendimento da inizio marzo sul mercato secondario. Se in media a marzo 2019 un titolo greco a 5 anni aveva un rendimento del 2,69 per cento, a maggio questo valore era sceso al 2,17 per cento. Si tratta di una diminuzione dello 0,52 per cento.

Ciò sta a indicare una maggiore richiesta di titoli di Stato greci da parte degli investitori, disposti nel maggio 2019 a ricevere un ritorno inferiore sui loro investimenti pur di acquistare un titolo greco.

Non solo. Il 31 maggio – per la prima volta dalla crisi finanziaria globale del 2008 – un titolo quinquennale greco è stato scambiato sul mercato secondario con un rendimento più basso rispetto al corrispettivo italiano: 1,78 per cento contro 1,82 per cento. Un investitore avrebbe quindi avuto un maggiore ritorno economico se avesse acquistato un titolo italiano piuttosto che uno greco.

Allo stesso tempo, l’ultimo titolo di Stato greco a 5 anni emesso sul mercato primario è stato venduto con un tasso del 3,45 per cento (febbraio 2019).

Il costo per lo Stato sui titoli emessi

I titoli venduti sul mercato primario generano un costo diretto per lo Stato perché tramite queste operazioni il Paese si impegna a restituire il prestito con tanto di interessi a una data scadenza.

Una volta che un titolo viene emesso e venduto sul mercato primario, chi è in possesso del titolo può scambiarlo sul mercato secondario. Queste operazioni di solito avvengono tra banche e altri operatori finanziari.

Su questo mercato il suo prezzo può salire e scendere a seconda che il titolo acquisti o perda valore, ma ciò non comporta un ulteriore costo diretto per lo Stato. Infatti, il Paese sarà tenuto a versare solamente quanto promesso al momento dell’emissione.

Ciò non toglie però che se il prezzo dei titoli già emessi sale o scende sul mercato secondario, il Paese sia costretto ad aggiustare il prezzo di vendita (e quindi il tasso) sulle emissioni di titoli successive.

Come avevamo spiegato in una precedente analisi, il tasso sul mercato primario e quello sul mercato secondario si muovono di pari passo. Per questa ragione, se il 31 maggio la Grecia avesse emesso sul mercato primario un titolo con scadenza a 5 anni – quando il tasso sul mercato secondario era dell’1,78 – avrebbe potuto offrire un rendimento inferiore a quello dei Btp.

Tuttavia, dato che l’ultima emissione greca sul mercato primario (febbraio 2019) è avvenuta a un tasso superiore di quella italiana (3,45 contro 1,81 per cento), lo Stato italiano non ha ancora speso materialmente di più di quello greco per finanziarsi a 5 anni sui mercati finanziari.

Chi è messo meglio tra Italia e Grecia?

Sembra quindi che lo Stato greco avrebbe potuto emettere un titolo a 5 anni sul mercato primario con un rendimento inferiore a quello offerto dallo Stato italiano. Questo sarebbe accaduto nonostante la Grecia versi in condizioni economiche più difficili delle nostre.

Infatti, secondo i dati della Commissione europea, nel 2017 l’Italia aveva un rapporto debito/Pil del 131,4 per cento contro il 176,2 per cento della Grecia. Nello stesso anno, il tasso di disoccupazione greco era 10,3 punti percentuali più altro di quello italiano: 21,5 per cento contro 11,2 per cento.

La Commissione si aspetta che i fondamentali dell’economia greca miglioreranno da qui al 2020: il rapporto debito/Pil scenderà al 168,9 per cento; la disoccupazione calerà al 16,8 per cento; la crescita economica arriverà al 2,2 per cento e il rapporto deficit/Pil sarà dello 0,1 per cento nel 2020.

Al contrario, per l’Italia sono previsti aumenti del rapporto deficit/Pil (fino al 3,5 per cento nel 2020) e del debito, con un rallentamento della crescita (0,7 per cento nel 2020) e un tasso di disoccupazione stabile intorno all’11 per cento.

Perché un titolo greco rende di meno di uno italiano?

Abbiamo quindi visto che l’economia greca presenta migliori prospettive di crescita di quella italiana. Per questa ragione, gli investitori sono sempre più fiduciosi della possibilità di vedersi restituite le somme prestate allo Stato. Questo aumento di fiducia spiega perché il tasso sui Btp italiani a 5 anni sia in crescita e quello sui titoli greci sia in diminuzione.

Tuttavia, ciò non giustifica il fatto che i titoli greci siano venduti sul mercato a un tasso minore di quelli italiani. In fondo, la situazione di partenza in cui versa Atene è comunque peggiore di quella in cui si trova Roma.

Perché allora a maggio 2019 la Grecia avrebbe potuto offrire un rendimento inferiore dell’Italia sui titoli a 5 anni?

Il costo “nascosto” dei titoli greci

A differenza dell’Italia, lo Stato greco paga un ulteriore costo per finanziarsi sui mercati. A seguito delle turbolenze finanziarie che hanno interessato il Paese a maggio 2010, la Grecia ha avuto accesso a una serie di prestiti da parte della cosiddetta “Troika”.

La maggior parte dei fondi a cui ha avuto accessi il governo di Atene provengono però dall’European Stability Mechanism (Esm), uno strumento creato nell’ottobre del 2012 dall’Unione Europea per aiutare i Paesi dell’area euro che si trovano in difficoltà finanziarie.

Secondo i dati dell’Esm, dal 2012 la Grecia ha ricevuto 204 miliardi di euro: 141,8 miliardi dal 2012 al 2015 e 61,9 miliardi di euro dal 2015 al 2018.

Questi fondi sono indispensabili per permettere alla Grecia di finanziarsi sui mercati internazionali, poiché creano un cuscinetto a garanzia dei titoli emessi e permettono di ripagare i debiti contratti in precedenza con gli investitori.

Sebbene il rimborso delle cifre ricevute inizierà nel 2023, la Grecia sta già pagando degli interessi sui 204 miliardi di euro di prestiti ricevuti. Secondo l’Esm, il tasso medio di interesse pagato su questi 204 miliardi è dell’1,62 per cento annuo. A conti fatti, significa che la Grecia versa circa 3 miliardi di euro l’anno ai creditori per ripagare gli interessi sui prestiti.

Semplificando: se per finanziarsi a 5 anni o ad altre scadenze l’Italia paga quindi solamente ciò che deve a chi acquista i suoi titoli, la Grecia ha un doppio costo. Da una parte, il governo greco paga – come l’Italia – gli interessi sui titoli emessi; dall’altra deve poi pagare una parte consistente di interessi alle istituzioni internazionali che le hanno concesso dei prestiti.

Nel dettaglio, non è quindi vero che la Grecia ha dei costi più bassi dell’Italia per finanziarsi a 5 anni: al costo degli interessi sui titoli emessi si aggiunge anche la spesa per ripagare quanto dovuto ai creditori internazionali.

Inoltre, come ci ha confermato Eleftheria Kourtali – analista finanziaria di Ekathimerini.com [1] contattata da Pagella Politica – «senza i miliardi di prestiti utilizzati come copertura collaterale dei titoli emessi il rendimento delle obbligazioni greche non sarebbe mai calato così tanto».

Il verdetto

Il deputato del Pd Luigi Marattin ha dichiarato che l’Italia spende più della Grecia per finanziare il suo debito a scadenza quinquennale.

È vero che per la prima volta dal 2008 a fine maggio 2019 i titoli greci a 5 anni sono stati scambiati sul mercato secondario a un rendimento inferiore di quelli italiani, ma la dichiarazione di Marattin è imprecisa per almeno due motivi.

Il primo è che la Grecia non ha ancora venduto all’asta sul mercato primario un titolo a 5 anni offrendo un rendimento minore di quanto corrisposto dallo Stato italiano per un Btp a 5 anni.

In secondo luogo, anche se la Grecia vendesse un titolo a 5 anni a un tasso più basso del Btp a pari scadenza, sarebbe comunque costretta a sostenere un ulteriore costo sul titolo emesso. Infatti, lo Stato greco paga una percentuale consistente di interessi sui prestiti utilizzati a garanzia sui titoli emessi. Questa percentuale costituisce un costo “nascosto” che non è visibile se si guarda semplicemente al rendimento dei titoli sui mercati.

In conclusione, Marattin merita un “Nì”.




[1] Quotidiano greco in lingua inglese distribuito con il New York Times International e facente parte del consorzio Trust Project