Il 27 marzo, ospite del programma Stasera Italia (Rete 4), il sottosegretario agli Affari esteri Guglielmo Picchi (Lega) ha riportato alcuni dati che riguardano i nostri connazionali all’estero.



Secondo il sottosegretario e deputato, il 65 per cento degli italiani all’estero sarebbe composto da cittadini di prima emigrazione, cioè emigrati dall’Italia nel corso della loro vita – e non, ad esempio, da immigrati di seconda o terza generazione, nati all’estero da genitori italiani. Il sottosegretario ha poi aggiunto che il governo gialloverde ha introdotto, per la prima volta, un requisito di conoscenza della lingua italiana (di livello B1) per acquisire la cittadinanza del nostro Paese.



Ma la percentuale di italiani all’estero di prima emigrazione citata da Picchi è corretta? Il requisito linguistico B1 è stato effettivamente introdotto per la prima volta dal governo Conte? Abbiamo verificato.



Quanti sono gli italiani all’estero?



Ad ottobre 2018 è stato pubblicato il rapporto Italiani nel Mondo a cura della Fondazione Migrantes (organismo della Conferenza Episcopale Italiana) e basato sui dati dell’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire).



I numeri degli italiani all’estero soffrono di un problema di affidabilità noto da anni. Nel 2011, l’allora presidente dell’Istat Enrico Giovannini aveva infatti spiegato come fosse complesso misurare i flussi migratori in uscita dall’Italia: i registri anagrafici e consolari da cui provengono i numeri presentano, da tempo, «problemi di qualità». In particolare, secondo Giovannini, queste fonti difettano di «esaustività, qualità e completezza delle informazioni». Per questo motivo i dati dell’Aire – curati dal Ministero dell’Interno – e quelli delle anagrafi consolari – curati dal Ministero degli Affari Esteri – risultano talvolta diversi tra loro. Per verificare il dato sul totale degli italiani residenti all’estero, guarderemo ad entrambe le fonti.



Secondo l’Aire, gli italiani residenti all’estero al 1° gennaio 2018 erano 5.114.469. Questa cifra è aumentata del 64,7 per cento dal 2006, quando erano 3.106.251.



I numeri riportati dal ministero degli Affari esteri sono diversi, ma più o meno in linea con quelli dell’Aire: nel 2017 si contavano, infatti, 5.603.215 cittadini italiani iscritti ad un’anagrafe consolare.






Grafico 1: Cittadini italiani iscritti all’Aire tra il 2006 e il 2018 – Fonte: Fondazione Migrantes



Il rapporto Italiani nel mondo stilato dalla Fondazione Migrantes e basato sui dati forniti dall’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire), evidenzia come il 51,9 per cento degli iscritti all’Aire (pari a circa 2,6 milioni di individui) abbia indicato come motivazione l’espatrio o la residenza all’estero: sono appunto gli emigrati di nuova generazione.



Picchi, dunque, sovrastima la percentuale di italiani emigrati all’estero di circa 12 punti percentuali. Invece che i due terzi, gli espatriati costituiscono poco più della metà del totale degli italiani residenti all’estero.



Il test di lingua italiana: un precedente



Dagli emigrati agli immigrati, passiamo alla questione del test di lingua per ottenere la cittadinanza. Non si tratta di una novità assoluta. Nel 2009, nel corso della XVI legislatura, ad esempio, i deputati Sarubbi (Pd) e Granata (Pdl) avevano presentato una proposta di legge (n. 2670) per riformare il processo di acquisizione della cittadinanza. Se approvata, avrebbe introdotto per la prima volta un requisito linguistico per acquisire la cittadinanza italiana.



Il provvedimento affiancava infatti alla necessità di residenza del cittadino straniero in Italia due ulteriori requisiti. Il primo (art. 5), di natura linguistica, condizionava l’acquisto della cittadinanza a «una conoscenza della lingua italiana parlata equivalente al livello A2, di cui al quadro comune europeo di riferimento delle lingue, approvato dal Consiglio d’Europa». Il secondo (sempre art. 5), di natura civico-culturale, richiedeva allo straniero la «conoscenza soddisfacente della vita civile dell’Italia e della Costituzione italiana».



La proposta di legge non venne però mai messo in votazione e si arenò in Commissione affari costituzionali della Camera nel 2010.



Il decreto sicurezza e immigrazione



Con la conversione in legge del dl 113/2018, conosciuto come “decreto sicurezza e immigrazione”, è stato introdotto il nuovo requisito per ottenere la cittadinanza italiana. Infatti, secondo l’articolo 9 comma 1 della nuova legge, l’acquisizione della cittadinanza è subordinata ad una conoscenza dell’italiano che non sia «inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (Qcer)».



Picchi ha dunque ragione quando afferma che il governo Conte è responsabile di aver introdotto un requisito linguistico per gli stranieri che fanno richiesta della cittadinanza italiana. Il livello richiesto è, come precisamente indicato dal sottosegretario agli Affari Esteri, il B1.



Il verdetto



Il sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi ha dichiarato che il 65 per cento degli italiani all’estero sarebbero cittadini di prima emigrazione. Il deputato della Lega ha poi affermato che il governo Conte ha introdotto, per la prima volta, un requisito linguistico (esame di lingua italiana di livello B1) per poter acquistare la cittadinanza del nostro Paese.



Per quanto riguarda il primo dato citato, il deputato della Lega commette un’imprecisione. Gli italiani residenti all’estero di prima emigrazione, secondo il rapporto Italiani nel mondo stilato dalla Fondazione Migrantes su dati dell’Aire aggiornati al primo gennaio 2018, sono circa i 51 per cento.



Per quanto riguarda poi la seconda affermazione, il sottosegretario Picchi ha ragione. Il governo Conte, con il decreto sicurezza e immigrazione, ha introdotto per la prima volta un requisito linguistico per ottenere la cittadinanza italiana. Il testo adottato dalla maggioranza gialloverde prevede che ogni individuo che richieda la cittadinanza debba avere un livello B1 di conoscenza della lingua italiana (secondo il quadro approvato dal Consiglio d’Europa).



Guglielmo Picchi merita un “C’eri quasi”.