Il 17 marzo, davanti al Palazzo della Regione Lombardia, a Milano, Matteo Salvini ha elogiato i recenti risultati del governo a proposito dei mercati finanziari. Parlando di spread con alcuni giornalisti, il vicepresidente del Consiglio ha detto (min. 01:32:20) che «siamo tornati ai livelli precedenti al governo Lega e Movimento 5 stelle».

In diretta a L’aria che tira su La7, il deputato del Partito democratico Luigi Marattin ha immediatamente criticato la dichiarazione di Salvini, dicendo che «lo spread precedente al governo Lega e Cinque stelle era 120, lo spread oggi è 235: maggiore di 120. L’Italia non può permettersi un vicepremier che dice balle del genere».

La dichiarazione del ministro dell’Interno è stata invece difesa da Claudio Borghi, deputato della Lega e presidente della Commissione Bilancio alla Camera, che su Twitter ha scritto che «prima del governo lo spread era a livelli più alti di quelli di oggi, come giustamente detto da Salvini».

Ma il leader della Lega ha ragione o no? Abbiamo verificato.

Perché si parla ancora di spread

Il termine spread indica in genere la differenza che c’è tra i tassi di interesse sui mercati secondari di due particolari titoli di Stato, con identiche caratteristiche: i Buoni del tesoro poliennali (Btp) italiani e i Bund tedeschi, entrambi con scadenza a dieci anni.

La Germania in questo caso viene presa come pietra di paragone perché la sua economia è considerata la più stabile d’Europa.

Lo spread di conseguenza è un indicatore della fiducia degli investitori italiani e stranieri verso il sistema economico e finanziario dell’Italia: maggiore è la differenza tra i tassi di interesse tra Btp e Bund, maggiore sarà la cifra che dovrà dare il nostro Paese a chi compra i suoi titoli di Stato per compensarli del maggior rischio di non ricevere indietro a scadenza il proprio investimento iniziale.

Di spread si è tornati a parlare molto tra novembre e dicembre dello scorso anno, quando il governo ha dovuto approvare la nuova legge di Bilancio, dopo una lunga trattativa con la Commissione europea. All’epoca, l’indicatore aveva toccato livelli che non si vedevano dal 2013, superando quota 320.

Oggi si torna a parlare di spread perché il governo, per voce del suo ministro Salvini, sostiene che le sue politiche abbiano finalmente rassicurato gli investitori.

Il livello dello spread “prima” del nuovo governo

Ricordiamo che lo spread è di norma espresso in punti base – 100 punti base corrispondono a una differenza dell’1 per cento – per renderne più facile la comprensione. Le variazioni tra due tassi, di solito, riguardano infatti differenze molto piccole, rilevate in centesimi di punto percentuale.

Il 18 marzo 2019 – data della dichiarazione di Salvini – lo spread ha chiuso a quota 233,8, dopo aver superato in giornata i 235 punti base (come riportato correttamente da Marattin). Il 15 marzo – il venerdì precedente, e ultima rilevazione disponibile per Salvini – il differenziale tra Btp e Bund si era invece fermato di poco sopra ai 241 punti base.

Questo dato è superiore o uguale al periodo precedente il nuovo esecutivo? Il punto centrale della dichiarazione di Salvini sta proprio qui, perché il ministro dell’Interno non chiarisce che cosa intende come intervallo temporale quando dice «livelli precedenti al governo Lega e Movimento 5 stelle».

Le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento si sono infatti tenute il 4 marzo 2018, mentre il nuovo esecutivo ha giurato il 1° giugno 2018, quasi tre mesi dopo.

Come era andato lo spread in questo intervallo di tempo? Il 2 marzo 2018 – un venerdì, ultima data disponibile come rivelazione sui mercati prima delle elezioni del 4 marzo – lo spread era su un livello di 128,6 punti base: quasi la metà del livello attuale.

Nei mesi precedenti il differenziale era stato leggermente superiore: a inizio gennaio, lo spread si aggirava intorno a un massimo di 160 punti base, attestandosi a febbraio intorno a quota 130. Negli ultimi cinque anni, da marzo 2014, lo spread è stato superiore ai 200 punti base solo alcuni giorni nell’aprile del 2017.

Tornando ai giorni successivi alle ultime elezioni, ad aprile 2018 il differenziale è rimasto più o meno stabile, aggirandosi tra i 120 e i 130 punti base. A metà maggio, però, lo spread è iniziato a salire, in coincidenza con il concretizzarsi delle trattative tra Lega e Movimento 5 stelle per la formazione di un nuovo governo. All’epoca, formalmente in carica c’era ancora il governo Gentiloni, operativo per il disbrigo degli affari correnti.

Il 18 maggio 2018 – data della firma del Contratto di governo tra Lega e M5s – lo spread aveva raggiunto quota 165,7 punti base, diventati 206,3 una settimana dopo, il 25 maggio.

Il 29 maggio, il differenziale aveva superato quota 303, per poi riscendere fino a 253,7 punti base il 31 maggio, giorno prima del giuramento del governo Conte – e a un livello di poco superiore a quello attuale, citato da Salvini.

Riassumendo: dal giorno prima delle elezioni alla formazione del nuovo governo, lo spread è passato da un minimo di circa 128 punti base (livello più basso rispetto al massimo di circa 160 toccato a inizio 2018) a un massimo di 303, per poi tornare a scendere a giugno 2018.

Il verdetto

Matteo Salvini è tornato a parlare di spread, dicendo che «siamo tornati ai livelli precedenti al governo Lega e Movimento 5 stelle». La sua dichiarazione è però ambigua, perché non chiarisce cosa intende per “precedenti”.

Se guardiamo al periodo prima delle elezioni di inizio marzo 2018, lo spread oggi è quasi raddoppiato, passando da circa 128 punti base agli oltre 240 attuali.

Se si considerano invece le settimane precedenti all’insediamento ufficiale del nuovo governo – avvenuto il 1° giugno 2018 – la dichiarazione di Salvini si avvicina di più alla verità. A fine maggio 2018, lo spread aveva infatti superato quota 253 punti base, un livello simile (seppure più alto) di quello attuale.

Nei giorni precedenti, comunque, lo spread aveva oltrepassato quota 300, che secondo alcuni commentatori era stato un segnale di sfiducia dei mercati nei confronti del governo nascente tra Lega e M5s.

Se allarghiamo lo sguardo agli ultimi cinque anni, lo spread non è quasi mai andato sopra la soglia dei 200 punti base, quindi sensibilmente meno dei 233 a cui ha chiuso il giorno della dichiarazione di Salvini.

In conclusione, Salvini merita un “Pinocchio andante”.