Il segretario del PD Matteo Renzi ha confrontato i 23 milioni di euro a cui avrebbe rinunciato il Movimento 5 Stelle in questi anni, attraverso il meccanismo delle restituzioni tramite bonifici al centro del recente caso di “Rimborsopoli”, con la cifra a cui avrebbe rinunciato il PD abolendo il finanziamento pubblico ai partiti, secondo Renzi molto superiore.

Proviamo a capire come stanno le cose.

Il finanziamento pubblico ai partiti

Il contributo pubblico a favore di partiti o movimenti politici viene da lontano. Fu introdotto infatti per la prima volta dalla legge 2 maggio 1974, n. 195. Questa, modificata e integrata negli anni successivi – come la legge 18 novembre 1981, n. 659 – istituiva:
a. una forma di contributo statale per il funzionamento ordinario dei partiti;
b. un’ulteriore forma di contributo a titolo di rimborso per le spese elettorali da questi sostenute per le elezioni politiche, europee e regionali.

Con il referendum popolare del 18 aprile 1993, gli elettori hanno votato per l’abolizione dei finanziamenti per il funzionamento ordinario dei partiti politici. È rimasto invece il rimborso per le spese elettorali.

Tuttavia questo “rimborso” presentava delle anomalie, spesso bersagliate dalla stampa: non venivano infatti rimborsate le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali, ma veniva dato un rimborso forfettario in base ai soli voti ricevuti. Motivo per cui, fino ad anni molto recenti, si sosteneva spesso che il meccanismo dei rimborsi fosse in realtà solo un modo mascherato di mantenere il finanziamento pubblico ai partiti.


L’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti

Negli ultimi anni, le cose sono cambiate in modo sostanziale. Il 28 dicembre 2013, l’allora governo Letta presentò un decreto legge, approvato il 20 febbraio e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il giorno successivo, con cui è stato abolito il finanziamento pubblico diretto ai partiti, compresi i “rimborsi” elettorali.

L’abolizione è effettivamente entrata a regime nel 2017, una volta terminato il pagamento delle rate rimanenti per i rimborsi delle elezioni politiche del 2013.

Se è vero che il decreto legge ha abrogato il finanziamento pubblico diretto ai partiti, questo ha però lasciato spazio a un sistema di finanziamento indiretto basato sulle detrazioni fiscali delle donazioni private e sulla destinazione volontaria del 2 per mille dell’IRPEF.

Secondo l’ultimo rendiconto del Mef sulle dichiarazioni del 2017 relative al 2016, l’anno scorso il Partito Democratico ha ottenuto quasi 8 milioni di euro dal 2 per mille.

Lo Stato finanzia ancora i partiti?

Il sistema di finanziamento indiretto (donazioni e 2 per mille) non è tuttavia l’unico di cui godono i partiti. Oltre agli stipendi ricevuti da deputati e senatori (che includono anche le spese per staff e personale), lo Stato continua a finanziare i partiti attraverso contributi versati ai i gruppi parlamentari per il loro funzionamento.

Secondo uno studio di Openpolis, nel 2014 i gruppi della Camera hanno ricevuto circa 30 milioni di euro, quelli del Senato circa 19 milioni. In un recente articolo del Sole 24 Ore si parla di 260 milioni nell’arco della legislatura.

Le cifre destinate ai gruppi parlamentari dipendono dalla consistenza numerica dei gruppi stessi. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2016, in quell’anno la Camera ha trasferito ai gruppi 31,79 milioni; il PD ha potuto così beneficiare di 14,43 milioni, mentre il Movimento Cinque Stelle ha incassato 3,78 milioni. Anche al Senato il contributo ai gruppi rispecchia la loro grandezza: nel 2016 il PD ha beneficiato di 6,4 milioni, il Movimento 5 Stelle di 2,396 milioni.

Fatta chiarezza sulle diverse forme di finanziamento pubblico ai partiti e su che cosa significhi parlare della sua abolizione, passiamo ora alla verifica di quanto dichiarato da Matteo Renzi su Facebook.

Le rinunce del M5S

Nel corso della legislatura iniziata nel 2013, i parlamentari del M5S hanno effettivamente donato al Fondo di garanzia per le PMI oltre 23 milioni di euro derivanti dal taglio dei propri stipendi personali, come testimoniato dalla copia dei versamenti pubblicata dal Ministero dell’Economia.

Oltre alla rinuncia citata da Renzi, bisogna aggiungere che il Movimento Cinque Stelle non ha mai presentato la documentazione necessaria per ricevere contributi da parte dello Stato – era necessario in particolare avere uno statuto “conformato a principi democratici nella vita interna”, che il M5S per sua scelta non ha – rendendo quindi impossibili quei contributi (la questione è spiegata qui più nel dettaglio). Quindi, il Movimento Cinque Stelle non percepiva i rimborsi elettorali (ora aboliti) e non è inserito nella lista di partiti che possono percepire il 2xMille come previsto oggi.

Per quanto riguarda l’entità dei rimborsi, secondo il Collegio di controllo delle spese elettorali della Corte dei Conti, al M5S sarebbero toccati, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2017, 4.327.878,50 euro per le elezioni per il Senato e 4.189.991,11 euro per le elezioni per la Camera dei deputati. Cioè un totale di 42,6 milioni circa.

I rimborsi elettorali del 2010 e 2011

È possibile verificare i numeri citati da Renzi prendendo in esame direttamente i bilanci del Partito Democratico. Quello del 2010 quantifica i rimborsi ricevuti per le elezioni dei consigli regionali eletti nello stesso anno in 10 milioni 356 mila euro. A questa cifra vanno aggiunti i rimborsi elettorali ricevuti per le elezioni di Camera e Senato (2008), Parlamento Europeo (2009) e altri consigli regionali e provinciali eletti nel 2008 e nel 2009, che ammontano a 49 milioni 791 mila euro. Il totale di rimborsi ricevuto nel 2010 è quindi di 60 milioni 147 mila euro.

Esaminando il bilancio dell’anno successivo, è possibile constatare come i contributi ricevuti dallo Stato come rimborso delle spese elettorali ricevuti nel 2011 ammontassero a 57 milioni 974 mila euro. Entrambe le cifre sono in linea con quelle indicate dal segretario del PD.

Il PD ha rinunciato a 60 milioni?

Bisogna notare, però, che i numeri citati da Renzi fanno riferimento agli ultimi due anni in cui un i rimborsi elettorali sono stati particolarmente alti: la legge n.96 del 2012 (governo Monti; PD e PdL favorevoli, IdV contraria, Lega astenuta) ha dimezzato i contributi per il 2012 e stabilito delle riduzioni per gli anni successivi.

I bilanci del PD testimoniano questa progressiva diminuzione: nel 2012 i rimborsi si sono ridotti a 29 milioni 234 mila euro, nel 2013 a 24 milioni 751 mila euro, nel 2014 a 14 milioni 67 mila euro, nel 2015 a 7 milioni 393 mila euro e nel 2016 a 3 milioni 445 mila.

In questo senso, affermare che il Partito Democratico abbia rinunciato a 60 milioni non è corretto, perché se anche i rimborsi elettorali non fossero stati aboliti il loro ammontare sarebbe stato ben inferiore, in linea con le riduzioni previste dalla legge n.96 del 2012.



Figura 1. Totale rimborsi elettorali ricevuti dal Partito Democratico (2010-2016)

Il finanziamento pubblico al PD (“questa cifra”) è pari a zero?

Abbiamo visto come nonostante l’abolizione dei rimborsi elettorali, il finanziamento pubblico ai partiti – PD incluso – non sia “uguale a zero”. I partiti percepiscono infatti tuttora finanziamenti pubblici indiretti (donazioni e 2 per mille), mentre lo Stato continua indirettamente a finanziare le forze politiche attraverso contributi versati ai gruppi parlamentari.

Il PD ha rinunciato a 56 milioni in più rispetto a quanto fatto dal Movimento Cinque Stelle?

Il post di Matteo Renzi suggerisce infine che la differenza tra quanto rinunciato al PD (60 milioni) e quanto rinunciato dal Movimento Cinque Stelle (4 milioni) ammonti a 56 milioni di euro l’anno.

Questa affermazione è scorretta per almeno tre motivi: da un lato, come abbiamo appena visto, Matteo Renzi prende la cifra più alta degli ultimi anni citando i 60 e i 57 milioni di euro del 2010 e 2011. Con la legge 96/2012 – certo approvata anche per volontà del PD – quella cifra è scesa in modo sostanzioso negli anni successivi.

In secondo luogo, scegliendo di non presentare la documentazione necessaria e di non adottare uno statuto adeguato, il Movimento Cinque Stelle ha rinunciato di fatto anche ai rimborsi elettorali degli anni passati (42,6 milioni di euro per la legislatura) e alla somma annuale proveniente dal 2xMille.

Infine, Renzi compara due cose differenti: la riduzione fino all’azzeramento dei contributi pubblici ai partiti sotto forma di rimborsi elettorali – che è avvenuta per legge e interessa tutti – e le cifre versate dai parlamentari M5S tramite i famosi bonifici al Fondo di garanzia per le PMI, che vengono dai loro stipendi.

In breve

Riassumendo. Matteo Renzi quantifica in maniera esatta i rimborsi elettorali ricevuti nel 2010 e 2011 dal Partito Democratico, contributi che si sono ridotti progressivamente negli anni successivi (legge n.96 del 2012, governo Monti) e che dal 2017, come previsto da un decreto legge del governo Letta, sono stati definitivamente aboliti. Ma non è corretto affermare che il PD abbia rinunciato a 60 milioni l’anno visto che, se non fossero stati aboliti i rimborsi elettorali, l’ammontare di questi sarebbe stato molto minore di 60 milioni, considerato il trend discendente iniziato con il governo Monti (Figura 1).

Allo stesso modo, se è vero che i rimborsi elettorali percepiti dal PD ammontano ad oggi a zero, non è altrettanto corretto dire che l’attuale ammontare del finanziamento pubblico al PD sia uguale a zero: come abbiamo specificato, i partiti percepiscono tuttora finanziamenti pubblici indiretti (donazioni e 2 per mille) e diretti (contributi statali ai gruppi parlamentari). Di questi, solo i secondi sono percepiti anche dal M5S, che invece ha rinunciato ai primi.

Il verdetto

La differenza tra quanto rinunciato dal PD e quanto rinunciato dal M5S è diversa, e certamente inferiore se esistente, da quella suggerita dal segretario del PD (56 milioni l’anno). Ai 4 milioni dei bonifici al fondo per le PMI bisognerebbe infatti aggiungere i rimborsi elettorali non percepiti dal M5S dopo il 2013 (42,6 milioni) e il 2 per mille (non calcolabile: è impossibile stabilire quanto avrebbe ricevuto il M5S).

Renzi paragona infine due “rinunce” diverse: quella dei Cinque Stelle è legata ai contributi volontari da versare al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, quella del PD all’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti, legge voluta dallo stesso Partito Democratico ma che, ovviamente, si applica a tutte le altre forze politiche. Il paragone è traballante e il segretario del PD sceglie solo le cifre che fanno più comodo alla sua argomentazione: per lui il verdetto è “Pinocchio andante”.