Ospite del programma Di Martedì, all’indomani del voto sul referendum costituzionale, l’ex Segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani è stato interpellato dal conduttore sul 40 per cento ottenuto dallo schieramento sconfitto del “Sì”, Bersani ha dichiarato di voler partire da questa percentuale alle prossime elezioni. L’idea era stata sintetizzata in un tweet del democratico Luca Lotti: qui l’ex sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio e attuale ministro dello Sport aveva evocato due appuntamenti elettorali del passato. Nell’ordine, il risultato di Matteo Renzi, battuto proprio da Bersani, alle primarie “Italia Bene Comune” del 2012, e la percentuale del Pd alle Europee del 2014.















Bersani durante la trasmissione su La7 ha ricordato un’altra consultazione referendaria, datata 1985, sulla scala mobile. In quell’occasione, ha spiegato l’ex ministro, il “Sì” sostenuto dal Partito Comunista Italiano perse con il 45 per cento ma alle elezioni successive il Pci prese venti punti in meno. Facciamo un passo indietro nella storia recente.



Le regole della scala mobile



Secondo il Dizionario economico Treccani, la scala mobile rappresenta “il sistema di rivalutazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti”, ovvero il meccanismo che adegua i salari all’aumento del costo della vita. Venne introdotta in Italia nell’immediato dopoguerra, frutto di un accordo tra Confindustria e Sindacato, con l’obiettivo di “proteggere il potere d’acquisto dei salari, adeguando automaticamente la dinamica salariale a quella inflazionistica sulla base di aumenti che, a livello provinciale, erano uguali per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla categoria di appartenenza, ma diversificati per età e genere”, puntualizza Treccani. La scala mobile fu sottoposta a diverse riforme fino al 1975, quando venne stabilito un punto unico di contingenza, ossia un sistema di adeguamento delle retribuzioni valido per tutti i livelli professionali. Uno degli interventi più discussi degli anni a venire fu però quello messo in atto dal governo di Bettino Craxi: il presidente del Consiglio varò una serie di misure cosiddette anti-inflazione e con il decreto legge del 17 aprile 1984, convertito in norma il 12 giugno, la scala mobile venne tagliata di quattro punti.



Il ruolo del Pci e le elezioni del 1987



A promuovere il referendum per l’abrogazione della norma che prevedeva il taglio della scala mobile fu il Partito Comunista, che contestava al provvedimento l’effetto di una penalizzazione dei salari. Il 9 e il 10 giugno 1985 andò a votare il 77,85 per cento degli Italiani: il “No” vinse con il 54,32 per cento mentre il sì raggiunse il 45,68 per cento, la percentuale citata da Bersani. Tre anni dopo, alle elezioni politiche del 1987, Il Pci, fautore del referendum abrogativo di tre anni prima, che aveva incassato più del 45 per cento, ottenne un risultato diverso. Andando a spulciare i dossier del Viminale, leggiamo i numeri esatti di quella tornata: alla Camera conquistò il 26,58 per cento, mentre al Senato il 28,33. Quindi circa venti punti in meno, come sostiene Bersani. È inoltre bene notare che in valori assoluti il risultato conseguito al referendum può non rappresentare la stessa percentuale in un’elezione politica, dal momento che la percentuale di votanti è solitamente più alta per quest’ultima. I circa 15,5 milioni di voti che valsero il 45,68 per cento al Pci durante il referendum, varrebbero quasi 6 punti percentuali in meno se rapportati al numero di votanti nell’elezione del 1987 (calcolo effettuato sui voti della Camera, per la quale la soglia minima di età è la stessa di un referendum).



Il verdetto




L’ex Segretario del Pd Pierluigi Bersani ha affermato che il “Sì” al referendum abrogativo sulla scala mobile del 1985, promosso dal Pci, perse con il 45 per cento. Un insieme di voti che secondo l’ex ministro non confluì automaticamente nelle urne delle elezioni politiche successive, dato che il partito nel 1987 ottenne venti punti in meno. La dichiarazione di Bersani è vera perché gli archivi del Viminale confermano le cifre: al referendum sulla scala mobile il sì raggiunse il 45,68 per cento, alle elezioni il Pci incassò il 26,58 per cento alla Camera e il 28,33 al Senato.